giovedì 8 settembre 2022

Cronache dell’altro mondo - razziali 2 (220)

In contrasto con la critical race theory, storicamente la tratta atlantica degli schiavi africani viene per numeri in terza posizione, nel Sei e Settecento, dietro quella araboislamica, e le guerre tribali interne all’Africa – in base alla documentazione reperita e ricostruita dallo storico marxista americano Lovejoy.

“La schiavitù in Africa”, scrive Lovejoy, “e il relativo commercio degli esseri umani ebbero la loro maggiore espansione in almeno tre periodi, dal 1350 al 1600, dal 1600 al 1800, e dal 1800 al 1900”.
Lo schiavismo moderno è nato con l’islam. “Per più di 700 anni prima del 1450 il mondo islamico praticamente costituì l’unica influenza esterna sull’economia dell’Africa”. I jihad fecero subito molti schiavi, europei soprattutto e russi delle steppe meridionali, con qualche africano. Poi, cessata l’espansione attraverso il Mediterraneo, il serbatoio del lavoro servile divenne l’Africa. I primi commercianti europei di schiavi, i portoghesi, operavano per mercati islamici, in Nord Africa, più che per le piantagioni di canna da zucchero che si venivano creando nelle isole dell’Atlantico, Madeira, Canarie e Capo Verde.

La conquista coloniale fu facile – ancora Lovejoy – perché le istituzioni africane non c’erano più. Eccetto che in Etiopia, stato cristiano, non schiavista.

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