astolfo
Gatto in caduta – Un gatto in
caduta riesce comunque ad assestarsi per cadere sulle zampe, contravvenendo
alle leggi fisiche della caduta. E tanto meglio ci riesce quanto più è maggiore
l’altezza di caduta. Il fatto fu testimoniato per la prima volta dal fisico
francese Étienne Jules Marey nell’ottobre 1894 alla francese Académie des
Sciences, con una serie di foto che documentavano la progressione della caduta
e la torsione del felino, dal dorso alle zampe. Questo tipo di caduta
contravveniva alla legge della conservazione del momento angolare, secondo la
quale corpi non rotanti non avvieranno la rotazione a meno di forza esterna. Senza
una spinta il gatto non avrebbe potuto rotare su se stesso. Ma l’evidenza
contraddice il principio.
Fra le tante spiegazioni tentate del
fatto, la più accettata è che il gatto può permettersi la rotazione di una
parte della spina dorsale se l’altra parte rimane ferma o ruota in senso
contrario. È come se il gatto avesse una schiena doppia. Le due parti ruotando
in senso contrario consentono il movimento di torsione.
Senza spiegazione è invece l’altezza di
caduta, che sembra (dai casi esemplati) ridurre l’esito dell’impatto tanto più
la caduta è elevata. Come se il maggior tempo di caduta consentisse al felino
di organizzare i muscoli per attutirne l’effetto.
Matrimonio omosessuale – Si praticava di fatto, con riconoscimento
legale quanto a diritti acquisiti e ereditari, ben prima che diventasse parte
della “campagna dei diritti”. Colin Turnbull (1924-1994), l’antropologo
londinese specialista dell’Africa, naturalizzato americano nel 1965, lo
sottoscrisse nel 1960. Sottoscrisse e scambiò una promessa di matrimonio
formale col più giovane partner Joseph Allen Towles (1937-1988), americano,
incontrato ventenne a New York, dove Towles era approdato nel 1957 per fare
l’attore: nel 1959 l’incontro con Turnbull, l’anno dopo i voti matrimoniali.
Towles è poi diventato anche lui un antropologo sul campo, e i due
s’incontravano in East Africa e nel Congo a cavaliere 1970, per ricerche in
Uganda, e fra le tribù congolesi confinanti.
Towles morirà
nel 1988 di Aids. Scontento delle memorie già pubblicate di Turnbull, “The
Human Cycle”, che non fanno menzione del loro rapporto. La coppia si era
costruita una residenza nel 1967 a Lancaster, in Virginia, “Chestnut Point”.
Turnbull donerà tutti i materiali delle ricerche in comune con Lowles
all’università di Charleston, sotto il nome unicamente di Towles. Di Aids
morirà lo stesso Turnbull, nel 1994.
Pirandello – Fu fascista?
Sì, convinto. Che avesse preso la tessera dopo l’assassinio di Matteotti,
ordinato da Mussolini, per anticonformismo è ipotesi di Montanelli. Che così
l’ha spiegata sul “Corriere della sera”, nella rubrica delle lettere al
direttore che teneva con la testatina “Stanze, il 17 marzo 2001. Intitolata
“Pirandello e il «tubo vuoto». Rispondendo a un lettore che gli poneva il
problema in questi termini:
“Luigi Pirandello fu tra i primi
intellettuali ad aderire al fascismo chiedendo direttamente a Mussolini la
tessera del Pnf (gennaio ’24), subito seguito da Riccardo Bacchelli, Corrado
Alvaro e tanti altri. Senonché, dopo l’adesione, dovette darsi da fare per
convincere il suo massimo critico, Tilgher, della validità del consenso dato
affermando che il movimento fascista era una «necessità storica». Le chiedo:
condivide, nell’ottica di oggi, la sintetica motivazione di Pirandello?”
Montanelli rispose con una testimonianza: “Caro Bertorello,
Io conobbi Pirandello in un’altra fase della sua vita, purtroppo l’ultima. Era
la fine del ’36, io rientravo dall’Etiopia. Una delle mie prime visite la feci
a Massimo Bontempelli che, senza conoscermi, mi aveva molto aiutato nella
pubblicazione del mio primo libro, «XX battaglione eritreo». Mi chiese di
accompagnarlo all’Accademia d’Italia, di cui era membro, dove aveva un
appuntamento non ricordo con chi.
“Ci trovammo per caso Pirandello, al quale Bontempelli mi presentò e col quale
cominciammo a chiacchierare della situazione politica.
“Essendo rimasto lontano dall’Italia per due anni, non immaginavo che questa
situazione fosse così scopertamente marcia da indurre i due interlocutori a una
diagnosi tanto spietata: oltre tutto, eravamo in uno dei sacrari del regime, di
cui entrambi facevano parte.
“A un certo punto mi presi la libertà d’intervenire per chiedere, un po’
sprovvedutamente: «Ma allora questo regime come fa a stare in piedi ?».
Ricordo che Pirandello mi guardò quasi con tenerezza. Poi mi disse:
«Semplicissimo, ragazzo mio: questo regime è un tubo vuoto, che ognuno può
riempire di ciò che più gli aggrada. I vecchi conservatori ci vedono il
ripristino dello Stato, i nazionalisti il culto della patria, i liberali l’ordine,
i socialisti la corporazione, gli intellettuali la feluca e lo spadino
dell’accademico, o alla peggio il sussidio del Minculpop... Un simile regime,
chi può aver interesse a buttarlo giù?».
“Quando uscimmo, dissi a Bontempelli: «Non mi è parso molto entusiasta della
situazione».
“«Ma sai - mi rispose - lui chiese la tessera del partito all’indomani del
delitto Matteotti per dispetto e provocazione verso tutti coloro che in quel
momento buttavano via tessera e distintivo pensando che il regime fosse finito...».
“Una spiegazione, come vede, molto diversa da quella che Pirandello avrebbe
dato a Tilgher, ma che poteva anche coabitare con essa.
“Pirandello di politica si interessava poco. È quindi possibile che fosse uno
dei tanti italiani che, delusi dalla democrazia, o meglio dal modo italiano
d’intendere e praticare la democrazia, avesse realmente visto nel fascismo una
«necessità storica» e che la spinta risolutiva all’adesione gli fosse venuta
dalla «gestione» (chiedo scusa dell’orrenda parola) che gran parte
dell’antifascismo stava facendo dell’affare Matteotti, fino a provocare anche
in fior di galantuomini la reazione contraria a quella che si voleva.
“Per intenderci: Giovanni Amendola era uomo di alto intelletto e di coscienza
illibata: ma ciò non toglie che il suo Aventino sia stato un marchiano errore e
abbia precipitato la corsa del fascismo verso il regime, cioè verso la
dittatura.
Comunque, dal momento (1924) in cui si schierò a quello in cui lo incontrai,
anche per Pirandello il fascismo era diventato ben altra cosa da ciò che ve lo
aveva attratto. Perché quella del fascismo è la storia di una parabola che va
dal duce equestre che impugna la spada dell’Islam a quello pèndulo da un gancio
di piazzale Loreto; e non so quale di queste due raffigurazioni sia, per noi
italiani, la più vergognosa.
“Ci hanno insegnato, almeno, qualcosa? Ne dubito, caro Bertorello.”
Di fatto, Pirandello era stato fascista da
subito. Il 28 ottobre 1923, a un anno dalla Marcia su Roma, aveva scritto su
“Idea Nazionale” (“La vita creata”) che c’era una analogia stretta tra la
propria arte, o visione della vita, e la politica di Mussolini. La tessera del
Pnf richiese con questa motivazione: “Sento che per me questo è il momento
propizio di dichiarare una fede nutrita e servita sempre in silenzio”. Questo
il 19 settembre 1924. Il 23 era a udienza privata con Mussolini a palazzo Chigi
(l’occasione fu bollata di opportunismo da parte di Amendola, “Un uomo
volgare”).
A Mussolini Pirandello chiese di fondare e
dirigere un Teatro di Stato. Mussolini si disse favorevole, ma lesinerà i
finanziamenti: invece dei milioni di lire che Pirandello si attendeva, disporrà
solo un quarto di milione, a rate, a singhiozzo
– Pirandello l’anno dopo fonderà il suo teatro, che chiamerà dell’Arte, a
proprie spese, per “lanciare” Marta Abba, giovane attrice venticinquenne
milanese molto carrierista, che sfrutterà fredda l’irretimento del sessantenne
Pirandello. Mussolini in realtà non stimava scrittori e artisti, da Pirandello
a Malaparte e ai futuristi, pur facendosi un compito - come poi, curiosamente,
Stalin – di avere con loro un rapporto personale: elargiva sussidi, ma in
misura insufficiente, giusto come pegno, e non rifuggiva – come poi sempre
Stalin – da misure vessatorie, confino, impoverimento.
Mussolini boicotterà, per quanto era in
suo potere, il Nobel a Pirandello, promuovendo la candidatura di D’Annunzio. Il
premio andrà nel 1926, equanimamente?, a Grazia Deledda, isolana come
Pirandello e non “eroica” (Fiume) alla D’Annunzio. Nel 1934 il Nobel fu
assegnato a Pirandello, ma non fu una festa in Italia, Mussolini non volle.
Dopo avere già personalmente punito, nello stesso anno, Pirandello, con due
decisioni. Avendo assistito alla prima della “Favola del figlio cambiato”, ne
aveva ordinato il sequestro, perché ambientata in un bordello. E nel quadro
della promozione di D’Annunzio aveva imposto a Pirandello la regia della
“Figlia di Jorio”, al teatro Argentina, in una produzione lussuosa, con scene
di De Chirico. Il “capolavoro” andò in scena il 10 ottobre, quando già il Nobel
era stato assegnato a Pirandello. Mussolini darà allora l’ordine di sottacere
il conferimento del premio, e anche la cerimonia solenne della premiazione a
Stoccolma.
Con l’autorevolezza del Nobel, Pirandello confermerà il suo credo fascista: “La massa non ha una propria volontà”. E ancora un anno dopo, il 15 agosto 1935, poco prima di morire, scriverà al figlio Stefano: “Ho visto una recente fotografia del Duce nell’atto di parlare a Eboli: m’è parso il Davide del Bernini”.
astolfo@antiit.eu
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