Seconda, o terza serie, questa volta all’insegna del melenso. Del dolciastro, l’invaghimento della tempestosa Tataranni per il carabiniere, ora maresciallo, suo aiutante. Melenso, appunto. Il ritmo c’è, ma sul vuoto.
Le storie di
Mariolina Venezia si distinguevano per i personaggi fuori dagli schemi:
Tataranni furiosa, il marito quieto, la figlia, il Procuratore Capo, le amiche,
le feste, le vacanze. Un po’ come l’ambiente, Matera, la Lucania, i tanti nomi
e le scene di paesi e paesaggi sconosciuti, i dialetti, i cibi. La sceneggiatura
di questa seconda o terza serie le fa rientrare invece nel solito schema Rai 1,
delle pene. Delle pene d’amore nella fattispecie – nessuno perde il posto,
nessuno ha un incidente invalidante, nessuno è povero, gli altri schemi del
dolorismo buonista. Col lieto fine assicurato, ci si può scommettere con
sicurezza. Ma, nel corso delle puntate, si annunciano con altrettanta certezza pene
lunghe e noiose.
La bravura di
Vanessa Scalera, la “Immacolata” che meglio di ogni altro interprete si era
adeguata al ritmo e agli schemi sopra le righe, questa volta non basta. Anzi,
ne è la prima vittima – più che decisa è perplessa, ma del ruolo che le fanno
interpretare: la ruga verticale sulla fronte sembra doppia, o tripla, ne spegne
il ghigno. Tanto più si apprezza a posteriori l’energia con cui aveva saputo creare
un personaggio altrimenti poco credibile, impetuoso e avventato ma vincente.
Con l’energia della migliore tradizione, di Isa Danieli o Concetta Barra nel
classico di De Simone “La gatta cenerentola”, da “tarantata” – si ha voglia di parlare
contro i gigioni e i mattatori ma l’attore ha sempre, deve avere, un che di tarantato,
d’“invasato”, avevano ragione gli antichi greci che per primi lo
sperimentarono. Ci vuole però una trama e un testo, situazioni e dialoghi credibili.
Francesco Amato, Imma
Tataranni, Rai 1
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