Sono materiali di una polemica vecchia, di sessant’anni fa, 1963 per l’esattezza, che però sembrano ancora di oggi: il saggio di Eco “Per una indagine sulla situazione culturale”, che contestava la politica culturale del Pci, pubblicata sulla rivista ideologica dello stesso Pci, “Rinascita”, in due numeri successivi, il 5 e il 12 ottobre, la replica alle critiche di Eco confidata da Togliatti a Rossana Rossanda, e le contestualizzazioni dei fratelli Crapis, Claudio allievo di Eco e Domenico storico della cultura. Delle tesi Eco-Rossanda e del dibattito che seguì, per alcuni mesi, tra intellettuali e funzionari del Pci. Un libro già pubblicato cinque anni fa, a Bologna, con grafica e titolo da vecchia Editori Riuniti, “Umberto Eco e il Pci”, senza fortuna.
Il
Pci è morto da alcuni decenni, ma la supponenza resta inalterata – ridotta,
perché la “base” si restringe, ma contemporaneamente infettiva, contagiando il
partito Democratico, benché a maggioranza ora cattolico, se non di sacrestia. Rossna
Rossanda si era ricreduta già molti anni prima, ma la supponenza è la stessa,
alla Rasi, sui giornali, nei partiti. Con la smorfia del complesso di
superiorità, inscalfibile. Identici anche il “moralismo” dei “valori”, parole
che Eco usava tra virgolette nel suo saggio.
Un
libro sulla durata, si potrebbe dire. Ma non per ridere: sulla durezza, o
inspiegabilità, della fede. Che eleva. È facile convincere, se è per elevare:
succede agli ex comunisti come ai novelli islamici – di più alle novelle
islamiche, felici nell’annullamento.
Claudio
Crapis-Giandomenico Crapis, Umberto Eco
e la politica culturale della sinistra, La Nave di Teseo, pp. 272 € 12
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