La pax americana (i.e. l’impero) è tormentata e tormentosa. Forse da potenza riluttante. O forse no, da potenza che si nasconde, per furbizia e colpa insieme.
Per furbizia mascherata da colpa? La
frequentazione dei tycoon americani, tanto careful, direbbe di sì.
Non c’è impero nella storia che nasca
problematico, controvoglia. Contestativo e divisivo al suo interno.
Le certezze della vittoria del 1945, fino
all’uso spensierato della bomba atomica, sono durate poco. In Vietnam, 1970,
erano frantumate. Ma già prima, nella “contestazione” (la “disobbedienza civile”
di Arendt) erano indebolite. Quelle certezze che, stranamente, fanno la forza
della Russia, malgrado il crollo del sovietismo, e ora del panslavismo,
frantumato in guerre “civili”, contro i serbi, contro i russi, contro gli ucraini.
L’impero americano è singolarmente
analogo all’impero romano nei secoli della repubblica. Litigioso, critico e autocritico,
e sempre in espansione, anche di mera prepotenza. Facendosi un dovere di non
restare fermo. È la natura degli imperi “democratici”, nei quali il soldato è,
in qualche modo, anche decisore? Imperi di repubbliche in armi. Per un motivo
(la libertà, la legge) o un altro: le repubbliche vogliono giustificativi, l’imperialismo
repubblicano è fatto così. Ipocrita? Si.
Un impero democratico non è forse
possibile. A Roma durò proprio contro la repubblica. Quello inglese è stato più articolato,
attorno a un nucleo parlamentare, per natura quindi divisivo, ma unito nel disegno
imperiale, animatore per i più diversi motivi di una opinione pubblica costantemente,
anche ferocemente, jingoista.
L’impero americano si è dichiarato morto
già un paio di volte. In termini militari ed economici col Vietnam, e il
dollaro allo sbando, in termini politici con la contestazione, i diritti” e il “trumpismo”.
Ancora ieri argomentava di essere sfidato e quasi dominato dalla Cina. Ma sempre
è stato occhiuto, selettivo ed efficace nella proiezione esterna, minuziosa.
Esemplare, perfino singolare, la
mobilitazione dell’Europa disarmata contro Putin e la Russia. Al punto da spingere
la Russia – il mondo slavo è pure grande parte dell’Europa – verso l’Asia. Per
non parlare dei controlli minimi, sugli atti singoli, di personaggi anche
marginali nell’economia dell’impero (Andreotti, Craxi).
Governare attraverso la crisi è –
potrebbe essere – la ricetta: nascondere la mano imperiale dentro un guanto
critico e autocritico. Oggi l’America è divisa, fra l’estremismo dei diritti,
di ogni possibile minoranza, e quello identitario. Ma ha governato e governa il
mondo. Non esimendosi da colpi di Stato, a partire dall’Iran di Mossadeq nel
1953 – un paio di dozzine sono stati contati, in Medio Oriente e in America
Latina. Il mondo per altro avendo saldamente governato nella guerra fredda –
quello libero, ma anche la Cina, e poi il Vietnam. E dopo, da trent’anni, dalle
presidenze Clinton, con la “globalizzazione” mercantile e finanziaria.
L’Europa in particolare gli Stati Uniti
governano facile, con tatto, senza bisogno di forzature – con la “servitù
volontaria” di Montaigne-La Boétie, anzi dei “volenterosi collaboratori” delle
tante guerre che via via intraprende. Non esimendosi da interferenze nella
politica, specie in Italia: ufficialmente, tramite l’ambasciata, da Clara
Boothe Luce a Richard Gardner, e sottobanco, tramite finanziamenti oppure dossier
- come ora, alla vigilia del voto, per gli imprecisati “finanziamenti russi”.
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