giovedì 15 settembre 2022

Lettera da una provincia dell’impero

La pax americana (i.e. l’impero) è tormentata e tormentosa. Forse da potenza riluttante. O forse no, da potenza che si nasconde, per furbizia e colpa insieme.

Per furbizia mascherata da colpa? La frequentazione dei tycoon americani, tanto careful, direbbe di sì.

Non c’è impero nella storia che nasca problematico, controvoglia. Contestativo e divisivo al suo interno.

Le certezze della vittoria del 1945, fino all’uso spensierato della bomba atomica, sono durate poco. In Vietnam, 1970, erano frantumate. Ma già prima, nella “contestazione” (la “disobbedienza civile” di Arendt) erano indebolite. Quelle certezze che, stranamente, fanno la forza della Russia, malgrado il crollo del sovietismo, e ora del panslavismo, frantumato in guerre “civili”, contro i serbi, contro i russi, contro gli ucraini.

L’impero americano è singolarmente analogo all’impero romano nei secoli della repubblica. Litigioso, critico e autocritico, e sempre in espansione, anche di mera prepotenza. Facendosi un dovere di non restare fermo. È la natura degli imperi “democratici”, nei quali il soldato è, in qualche modo, anche decisore? Imperi di repubbliche in armi. Per un motivo (la libertà, la legge) o un altro: le repubbliche vogliono giustificativi, l’imperialismo repubblicano è fatto così. Ipocrita? Si.

Un impero democratico non è forse possibile. A Roma durò proprio contro la repubblica.  Quello inglese è stato più articolato, attorno a un nucleo parlamentare, per natura quindi divisivo, ma unito nel disegno imperiale, animatore per i più diversi motivi di una opinione pubblica costantemente, anche ferocemente, jingoista.

L’impero americano si è dichiarato morto già un paio di volte. In termini militari ed economici col Vietnam, e il dollaro allo sbando, in termini politici con la contestazione, i diritti” e il “trumpismo”. Ancora ieri argomentava di essere sfidato e quasi dominato dalla Cina. Ma sempre è stato occhiuto, selettivo ed efficace nella proiezione esterna, minuziosa.

Esemplare, perfino singolare, la mobilitazione dell’Europa disarmata contro Putin e la Russia. Al punto da spingere la Russia – il mondo slavo è pure grande parte dell’Europa – verso l’Asia. Per non parlare dei controlli minimi, sugli atti singoli, di personaggi anche marginali nell’economia dell’impero (Andreotti, Craxi).

Governare attraverso la crisi è – potrebbe essere – la ricetta: nascondere la mano imperiale dentro un guanto critico e autocritico. Oggi l’America è divisa, fra l’estremismo dei diritti, di ogni possibile minoranza, e quello identitario. Ma ha governato e governa il mondo. Non esimendosi da colpi di Stato, a partire dall’Iran di Mossadeq nel 1953 – un paio di dozzine sono stati contati, in Medio Oriente e in America Latina. Il mondo per altro avendo saldamente governato nella guerra fredda – quello libero, ma anche la Cina, e poi il Vietnam. E dopo, da trent’anni, dalle presidenze Clinton, con la “globalizzazione” mercantile e finanziaria.

L’Europa in particolare gli Stati Uniti governano facile, con tatto, senza bisogno di forzature – con la “servitù volontaria” di Montaigne-La Boétie, anzi dei “volenterosi collaboratori” delle tante guerre che via via intraprende. Non esimendosi da interferenze nella politica, specie in Italia: ufficialmente, tramite l’ambasciata, da Clara Boothe Luce a Richard Gardner, e sottobanco, tramite finanziamenti oppure dossier - come ora, alla vigilia del voto, per gli imprecisati “finanziamenti russi”.

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