Breve riflessione sull’ombra, in Oriente e nell’Occidente. Per un elogio della cultura giapponese, disposta attorno alle ombre, e una critica della luce invadente, dell’Occidente. Gli Occidentali, al laccio del progresso, della spiegazione di ogni mistero, vanno alla ricerca continua di “una chiarezza più viva”, escludendo la più piccola zona d’ombra.
Vari “panorami” o visioni sono qui descritti in cui l’ombra moltiplica e avvalo a gli stessi scoppi di luce: una seta, un raggio, una lacca, gli interni delle case di geisha, dei monasteri, dei gabinetti domestici (“il gabinetto giapponese è concepito per il riposo dello spirito”), staccati dalla casa e riposti, dell’argenteria che piace patinata, del il tokonoma” che adorna ogni casa – una rientranza nela parete, nella quale collocare fiori o dipinti. Mentre l’Occidetale non sa nemmeno concepirla, l’omnra: è passato “dalla candela al petrolio, dal petrolio al gas, dal gas all’elettricità” - e l’Orientale no?
Opera
del 1933, più “preziosa” (manierata) che inventiva, che Giovanni Mariotti
apprezza - pur con qualche ombra. L’elogio dell’ombra topico è poi diventato
quello di Borges, vicino alla cecità – la sua semibiografia poetica. Che non ha
nulla a che vedere con Tanizaki, ma curiosamente lo richiama: si vuole l’ombra
virtuosa e virtuosista.
Junichiro
Tanizaki, Libro d’ombra, Bompiani,
pp. 96 € 12
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