Tradotta nel pieno della siccità post-covid, un’opera rinfrescante. Corbin,
storico delle sensibilità (sulla scia della “storia delle mentalità” di Lucien
Febvre) e dei fenomeni naturali, l’ombra, il mare, gli odori, il riposo, i
suoni, il silenzio, ne fa la storia. Materiale e letteraria: il diluvio,
l’ombrello, l’alluvione, la siccità, la grandine, la meteorologia. E “le
emozioni provate dall’individuo in rapporto alla pioggia, alla neve, alla
nebbia e alle folate di vento”. Si parte, anche qui, dal Settecento. “A
fine secolo s’intensifica la sensibilità individuale ai fenomeni metereologici”.
Se ne aprla e se ne scrive. Per primo l’autore di “Paul e Virginie”, Bernardin
de Saint-Pierre, con degli “Études sur la nature”. Il primo anche ad annotare
che “i rumori melanconici” della pioggia “accompagnano, durante la notte, in un
dolce e profondo sonno” - quando non sono tempestosi, perché allora non si
dorme e anzi si ha paura.
La letteratura poi diventa sterminata: Leonardo (quanti diluvi universali
nel Rinascimento), Walt Whitman, Victor Hugo, Van Gogh, Verlaine. E i riti di
propiziazione – e di espiazione, di celebrazione.
Una ricerca studiosa, e di diletto – l’uomo è curioso. Sapendo che, come
diceva Roland Barthes, “niente è più ideologico del tempo che fa”. Ideologico
forse no, ma idiosincratrico sì: c’è chi soffre nel temporale, e chi ne gode.
Del resto, siamo fatti di acqua e la pioggia è benvenuta, ma non sempre.
Alain Corbin, Breve storia della pioggia, Marietti 1820, pp. 64
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