Giuseppe Leuzzi
Claudio Bisio “al Sud” per
girare “Benvenuti al Sud”, ricorda a Renato Franco sul “Corriere della sera”:
“Quando arrivavo al Sud”, per le riprese, “io all’inizio andavo in giro con un
giubbotto antiproiettile, perché avevo paura che mi sparassero”. Lo dice per ridere?
Non sembra.
Il Narco-Stato
“Per il porto passano ogni anno
50-60 miliardi di cocaina. E il traffico porta violenza e rapimenti, come
quello tentato pochi giorni fa del ministro della Giustizia. Un magistrato
lancia l’allarme: nel cuore della Ue si rischia un Narco-Stato”. Non è il porto
di Gioia Tauro, è il porto di Anversa.
A Gioia Tauro si conclude
un’operazione della Guardia di Finanza durata quattro anni con l’arresto di un
funzionario delle Dogane, che quattro anni fa “schermò” un container-droga allo
scanner. Insieme con un gruppo di operai, che avrebbero aiutato il funzionario a
travasare i contenuti dal container-madre ad altri. E i trasportatori che
avrebbero portato la droga in giro per l’Italia. Dopo quattro anni?
Fa notizia solo Gioia Tauro.
Altra cocaina si trova, in questi casi "regolarmente”, a Livorno, alla Spezia ,
a Genova, ma non significa niente, solo contrabbando, di stupefacenti, ai
terminali container. Per non dire di Anversa, dove la cocaina intercettata - solo quella intercettata - va sulle 90 tonnellate, ogni anno.
Niente vino, siamo meridionali
La produzione di vini
tutelati vede tra i primi venti solo un vino del Sud, il Primitivo di Manduria,
in quattordicesima posizione, con 30 milioni di bottiglie. Due, volendo
calcolare l’Etna bianco, al ventunesimo posto, con 5 milioni di bottiglie.
Eppure la Sicilia, spiega il presidente
del Consorzio Doc Sicilia, Antonio Rallo, lavora “più di 42 mila ettari, su un
totale di 97 mila in Italia, con criteri di sostenibilità”, dunque di particolare
qualità, in linea con i gusti, “in pratica un’estensione superiore a quella
dell’intera Nuova Zelanda”. Ma l’effetto
non si sente: le dop, i consorzi, le promozioni pubbliche non riescono a smuovere
le vendite. Incapacità di vendere? No, è la proprietà.
La proprietà anche delle vigne
è al Sud estremamente frazionata. Nei venti anni del millennio c’è stata una
spinta alla concentra zione, promossa dal governo e dall’industria vitivinicola in
tutta Italia. Al Sud e nelle isole si è passati da 395.493 aziende a 131.038. Ma
la superficie media per azienda è di due ettari, poco più. Il Sud è sempre anarcoide.
Nemo propheta in patria
A lungo l’Ucraina è stata
Russia, “Piccola Russia”. Benché con una propria lingua, e autonomia amministrativa.
Ma la nobiltà era legata alla corte di Pietroburgo, poi Mosca, I suoi migliori
letterati, Babel’, Bulgakov, Grossman, dopo Gogol’,ancora nel primo Novecento sono
scrittori russi.
Gogol’ si manifestava
ucraino per i gusti e il modo d’essere, il ballo, le barzellette, le bizzarrie.
Ma per questo anche apprezzato in Russia. Le testimonianze a lui contemporanee
sono lusinghiere, per lo più – perlomeno in quanto ucraino: ha “un’aria da
ucraino malizioso”, è ricco di “quel particolare umorismo che appartiene
soltanto ai piccoli russi”, è di “inimitabile umorismo ucraino”. Del resto, scriveva
il russo meglio di come parlava l’ucraino.
Nel 1847, avendo
viaggiato da Mosca a Pietroburgo con la famiglia dell’amico e benefattore moscovita
Aksakov, si rifiuta a Pietroburgo di andare ad abitate da un magnate ucraino, che
lo aspettava, e va a stare dagli Zukovskij. Zukovskij non lo ha letto, quando
lo legge, su insistenza di Aksakov, non lo apprezza, e ai suoi ospiti moscoviti
spiega che gli ucraini sono vanitosi, e che Gogol’ era ben un ucraino, “uguale
a quelli che descriveva nei suoi racconti comici”.
Si dice nemo propheta in patria, ma questo è
vero solo delle popolazioni subordinate. Quelle che hanno una patria ce l’hanno
perché vi si riconoscono, anche soltanto per convenienza.
Quanto era povera Venezia
Facendo
la descrizione ennesima e il conteggio della miseria a Napoli, in una delle sue tante
lettere appassionate e documentate, Pasquale Villari scriveva a Dina, direttore
de “L’Opinione”, a marzo del 1875 (la lettera era un articolo, in realtà), per difendersi
dall’accusa di vedere male solo a Napoli. No, argomentava, vedo il male dove
non si condiziona la carità pubblica - l’assistenza, il “pane” - “all’istruzione e all’obbligo del lavoro”. E
si giustificava:
“Perché
si veda quanto questo male sia generale non paia che io voglia
prendere tutti gli esempi dal Mezzogiorno d’Italia, ne citerò uno del
Settentrione. Nella Rivista Veneta (voi. IV, fase. 5°, 1874) è stato poco fa
pubblicato dal professore Cecchetti dell’Archivio dei Frari, un lavoro in cui
si dànno alcune statistiche assai eloquenti. Dal 1766 al 1789 si trova che
Venezia ebbe una media di 2000 poveri. Le cose sono da allora in poi talmente
peggiorate, che nel 1860 erano nei registri di beneficenza inscritti 31, 891
individui in una popolazione di 123, 102 abitanti. Nel 1861 la popolazione
discese a 122,564, e gli inscritti alla beneficenza salirono a 32,422. Nel 1867
la popolazione discese a 120,889 e nel catalogo della beneficenza erano
registrati 33,978 individui. Questi erano, nel 1869, 35,000; nei 1870, 35,728;
nel 1871, 36,200.
“E
qui finisce la statistica, non senza notare che bisogna, per l’anno 1871,
aggiungere circa 700 poveri vergognosi, i quali rappresentano altrettante
famiglie. È vero che negli ultimi anni la popolazione di Venezia ebbe qualche
lieve aumento, essendo nel 1871 salita a 128,901 abitanti; ma in sostanza dai
calcoli ufficiali del signor Cecchetti risulta un continuo aumento di poveri,
e risulta che un terzo circa della popolazione di Venezia è ora sussidiato
dalla beneficenza, o almeno scritto ne’ registri come meritevole di sussidio.
“Ho
sentito molti e molti domandare: perché lo spirito intraprendente, operoso,
audace qualche volta sino all’eroismo, degli antichi Veneti, non è ancora
cominciato a risorgere colla libertà? Le ragioni sono infinite. Però tra le
ragioni, a mio avviso, non è ultima questa, che la carità cittadina ha
accumulati infiniti tesori, i quali sono ora destinati ad impedire che quello
spirito risorga”.
Nuovi emigranti, in cerca di fatica
Gli immigrati hanno
cancellato gli emigranti, che invece ci sono, per lo più ventenni, e partono in cerca di fatica. Di un’occupazione
ma per lo più senza mestiere, quella manovalanza che si rifiuta di praticare a
casa. Di ventenni del Sud, siciliani, calabresi, anche campani. Emigrati per fare lavori
occasionali, umili, a orari tirannici, in climi freddi, pagando l’affitto, in
una stanza in tre o in Quattro per risparmiare qualcosa, invece che a casa
propria. Emigrati anche per fare le pulizie. O il contadino, con alloggio
allora gratis ma isolati, con acqua anche non corrente.
La questione immigrati nasconde gli emigranti, che ancora ci sono, e non per “un futuro migliore”. Emigranti per fare cose che si possono ma non si vogliono fare a casa. Dove non ci sarebbe da pagare l’affitto. E la spesa alimentare costa un terzo. C’è anche il ventenne emigrato in Germania per fare le pulizie domestiche a 8 euro l’ora, senza la casa, senza l’orto, in una periferia da poco, con un paio di ore al giorno di pendolarismo, pagando il biglietto di treno e autobus, o la benzina. O per fare l'operaio a Rostock - a Rostock, sotto zero? - e trovarsi sul posto di lavoro alle sette di mattina.
Si emigra perché si vuole emigrare, cambiare comunque aria, anche se per il peggio. Schermandosi con la retorica del “non c’è lavoro”. Quando quello che ci sarebbe ma si rifiuta a casa si fa fuori, con dispendio. Per non parlare dei tanti mestieri per i quali non c’è pazienza o attitudine, e bisogna ricorrere agli immigrati: cure domestiche e specialità artigianali, idraulico, falegname, elettricista, pittore, tappezziere, taglialegna, potatore.
Puglia
Ha un padre pugliese il nuovo premier australiano, Anthony Albanese, laburista. È nato da una relazione della madre, australiana di origini irlandesi, con Carlo Albanese, cameriere alla Sitmar, Socirtà Italiana Trasporti Marittimi, durante un viaggio da Sidney a Southampton nel 1962. Al ritorno, la madre finse di avere sposato Carlo, poi morto, diceva, in un incidente d’auto, e si diede il nome Albanese. Salvo dire la verità al figlio ai 15 anni. Carlo si disinteressò del figlio, spiegava nell’unica e ultima lettera alla madre del future primo ministro, perché era fidanzato a Barletta e perché, aggiungeva, “chi mi assicura che sia mio?”
Al ritrovamento rocambolesco, organizzato dal figlio, già soggetto preminente del partito Laburista australiano, nel 2009, attraverso l’ambasciata australiana a Roma, Carlo ha fatto “ottima impressione” al figlio sconfessato. Ma lui non sapeva nulla del figlio, non lo aveva mai cercato e non leggeva evidentemente i giornali. Il Sud sta meglio fuori che dentro?
È lite senza fine fra un insegnante del liceo “Majorana” di Bari e la preside, l’insegnante asserendo che è stato malmenato da due energumeni a scuola per aver messo una nota a una studentessa, la preside accusando l’insegnante di mentire, e di avere avuto “comportamenti non consoni a un docente”. Il docente vanta “sedici anni di insegnamento al Nord”, ma è anche lui di Bari. La verità è sempre doppia?
Il docente del “Majorana” di Bari si difende attaccando: “Io in quella scuola non ci metto più piede”. E spiegando: “Con una utenza di quella risma è impossibile calcare la mano più di tanto, perché non sono ricettivi, sono abituati a fare i cavoli loro”. E: “In quella scuola vige l’anarchia, con atteggiamenti da parte degli alunni di tipo delinquenziale, mafioso”. La preside dice: “I miei alunni non sono mafiosi. I nostri ragazzi lavorano dall’età di 16 anni e molti di loro mantengono le famiglie”. Il professore abbandona la scuola assicurando: “Sono stato lì solo due settimane”. Lui “viene dal Nord”, ribatte la preside, e questo è tutto.
Foggia è ora terra di mafia.
Trent’anni fa era la città dei miracoli di Zeman nel calcio, e di Casillo “re
del grano”. Nonché di Arbore e – quasi – Muti. Al centro del Tavoliere, la maggiore
area cerealicola dell’Europa occidentale. Ora fa sempre la Borsa del grano duro,
ma sotto le mafie? La storia si fa anche al rovescio.
“Uno dei luoghi comuni sulla Puglia del 900 era l’assenza di scrittori”, nota Mario Desiati su “7”: “Invece c’è stata una grande letteratura”. Invece no, malgrado i nomi che Desiati elenca. Molta letteratura del tormentato Novecento è meridionale, siciliana, napoletana, sarda, perfino calabrese. La Puglia è più serena – Desiati la dice orientale?
leuzzi@antiit.eu
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