Un film in quattro episodi sulla pena di morte. Sulle impiccagioni – in Iran usa l’impiccagione, ma senza cerimonia: al chiuso, all’alba, per vie spicce, appendendo i condannati e poi togliendo loro il supporto di sotto.
I primi due episodi
claustrofobici, in grigio. La vita normalissima di un impiegato modello: lascia
la mattina il luogo di lavoro con una interminabile serpentina dal garage
multipiano, col sacco di riso avuto in premio, di un edificio che s’intravvede
essere il tetrissimo carcere di Evin, fa il marito e il padre amorevole, va a
letto presto, si alza alle tre, procede alle abluzioni ordinarie, esce senza far
rumore, nella città vuota si ferma ai semafori, ritorna dentro l’ufficio
angusto che ha lasciato. A questo episodio, “Il Diavolo non esiste”, segue la
notte agitata di un plotone di disciplina, soldati di leva addetti alle
esecuzioni: agitata perché uno di loro si rifiuta di farlo. Con action movie
finale, che finisce in una gioiosa “Bella ciao” cantata da Milva - tutta
intera come solitamente non si ascolta, con le parole in sovrimpressione.
Gli altri due episodi
sono nella natura, idilliaca. Un giovane che da soldato ha dovuto sottrarre la
sedia a un condannato, si rovina e rovina per questo il gioioso ritrovamento
con la fidanzata una volta libero dalla naja. Un anziano medico “morto civile”
nella fattoria in montagna che si è costruita per sopravvivere, senza patente, passaporto,
professione, assistenza, minato dal cancro ai polmoni, vuole vedere una volta sua
figlia: l’ha concepita dopo la fuga rocambolesca da Evin, e prima della sua rimozione
dallo stato civile in quanto disertore, seguita dall’emigrazione della
fidanzata, che non si sapeva incinta, col migliore amico di entrambi.
Quattro film in realtà.
Quattro storie complesse, e sceneggiate per un lungometraggio, compresse in quattro
episodi, per quasi tre ore di proiezione. Storie attraversate anche da
considerazioni sulla legge: la leva obbligatoria, pena la morte civile, la pena
di morte. Sullo sfondo dell’Iran degli ayatollah, quindi cupo, anche se senza
una denuncia diretta, o polemica. Ma, nelle immagini, di un Iran inconsueto per
gli amatori del cinema di questo paese: ambienti montani, verdeggianti, di
rifugi e torrenti, lieti solo a vedere. Non remoti, sono i dintorni di Shemiran,
il quartiere settentrionale di Teheran – che è città di montagna, dai mille metri
di Teheran Sud, dei bazarì, il commercio minuto, ai 1.700 metri di Shemiran:
la valle di Darband e le altre numerose alle pendici dei monti Elburz, alle
propaggini del Demavend, il vulcano spento che è la cima più alta del Medio
Oriente fino al Pamir, e troneggia con le nevi perenni dei 5 mila metri sulla
giungla afosa del Caspio da un lato e sulle tramotane di Teheran dal lato sud.
Rasoluf ha una
lunga storia, anche lui, di carcerazione e divieto di operare, a partire dal
2010, dagli anni neri della presidenza Ahmadinejad. Poi tollerato. Il film è stato
Orso d’Oro al festival di Berlino del 2020.
Mohammed Rasoluf, Il
male non esiste, Sky Cinema Due
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