Non si finisce di spolpare Mps: l’aumento di capitale richiesto per la riprivatizzazione del gruppo non è diverso dai tre precedenti, dei terribili anni 2010, di un dissesto che ha bruciato 18 o 19 miliardi. Arrivate alla scadenza, tra otto giorni, le banche collocatrici riducono gli impegni di sottoscrizione dell’inoptato, e provano a passarli ai partner industriali del gruppo, l’assicuratore Axa e il gestore Anima. I quali naturalmente chiedono in cambio condizioni di miglior favore per vendere agli sportelli del gruppo polizze e fondi. A spese della gestione bancaria.
Si capisce da questi (prevedibili) sviluppi che Unicredit si sia
ritirato in buon ordine dall’ipotesi acquisizione del gruppo senese. Poiché il
problema non sono i suoi conti, migliorati e migliorabili, ma il viluppo di
interessi, soprattutto politici, che continuano a stritolarlo.
Come Mps, malgrado una buona gestione e una presenza ottimamente
divisa sul territorio, non riesca a uscire dalle sabbie mobili, sembra incomprensibile.
Ma solo se non si sa che è preda sempre della politica. Che è stata ed è “bianca”, fino a
Renzi e dopo, e non “rossa” come si suppone.
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