venerdì 21 ottobre 2022

Il dominion della lingua

Alle 13.30 di giovedì la premier inglese Liz Truss, che alle 13.30 di mercoledì affermava ai Comuni “sono una combattente, non una codarda”, si è dimessa. Come? Tra i conservatori inglesi succedono cose di cui non si sa mai la ragione.

Il settimanale “The Economist” intanto andava in stampa con una copertina che raffigurava la premier in tenuta guerriera ma falsa, da centurione romano del Colosseo per la foto-ricordo mediante gratifica, sotto la scritta “Welcome to Britaly”: non c’è niente di peggio dell’Italia - o è invidia?

“Il paragone è inesatto”, spiega la direttrice inviando la rivista online, della copertina intempestiva. Ma “cattura qualcosa di reale”. Che cosa? Tre, “per l’esattezza”: l’instabilità politica, la crescita stentata (pochi investimenti, scarsa produttività), le gestione dei titoli pubblici di debito, fonte d’incertezza.

Questo è vero e non lo è. Nel senso che la cosa si potrebbe dire al contrario: tutto quello che l’Italia ha fatto sulla traccia britannica, le privatizzazioni, della sanità e degli altri servizi pubblici, le Autorità di controllo, la grande distribuzione, con centri commerciali, il seven-eleven, le domeniche aperte, è stato un disastro, sociale ed economico. Differisce solo la narrazione, come il funerale di Elisabetta II ha dimostrato, lo storytelling, e in questo l’Italia è sicuramente il cattivo esempio. E naturalmente differisce la lingua: l’italiano non è l’inglese.

Nei fatti, come dice la direttrice dell’“Economist”, che cos’altro ha l’Inghilterra per pretendere di fare il maestro di scuola? “Unboxed”, si legge oggi, la fiera della creatività britannica – liberata (dalla Ue), intende il nome  - è costata 120 milioni di sterline ma pochi sono andati a vederla, nemmeno un quarto di milione di persone. Londra ha fatto la Brexit per la vanità di poche persone. Ha una famiglia reale che si vende benissimo, perché tutti sappiamo l’inglese, senza fare nulla, eccetto che scandali. Ma non è una scuola di buona amministrazione. Non nelle nazionalizzazioni, non nelle privatizzazioni. Non nel governo dell’economia, che ristagna da cinquant’anni. Dopo aver costretto gli inglesi alla tessera annonaria per dieci anni dopo la guerra. Non della moneta: Soros si arricchì nel 1982 a spese della lira, ma ancora di più a spese della sterlina. Benché gli inglesi da un decennio potessero viaggiare all’estero solo con 50 sterline. Per non parlare delle guerre ribalde, da ultimo all’Iraq.

Ma non c’è paragone fra la Gran Bretagna e l’Italia, “The Economist” ha ragione: l’Italia ha perso la parola, come Liz Truss.

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