Alle 13.30 di giovedì la premier inglese Liz Truss, che alle 13.30 di mercoledì affermava ai Comuni “sono una combattente, non una codarda”, si è dimessa. Come? Tra i conservatori inglesi succedono cose di cui non si sa mai la ragione.
Il settimanale “The Economist” intanto
andava in stampa con una copertina che raffigurava la premier in tenuta
guerriera ma falsa, da centurione romano del Colosseo per la foto-ricordo
mediante gratifica, sotto la scritta “Welcome to Britaly”: non c’è niente di
peggio dell’Italia - o è invidia?
“Il paragone è inesatto”, spiega la direttrice
inviando la rivista online, della copertina intempestiva. Ma “cattura qualcosa
di reale”. Che cosa? Tre, “per l’esattezza”: l’instabilità politica, la crescita
stentata (pochi investimenti, scarsa produttività), le gestione dei titoli pubblici
di debito, fonte d’incertezza.
Questo è vero e non lo è. Nel senso che
la cosa si potrebbe dire al contrario: tutto quello che l’Italia ha fatto sulla
traccia britannica, le privatizzazioni, della sanità e degli altri servizi
pubblici, le Autorità di controllo, la grande distribuzione, con centri commerciali,
il seven-eleven, le domeniche aperte, è stato un disastro, sociale ed economico. Differisce solo la
narrazione, come il funerale di Elisabetta II ha dimostrato, lo storytelling, e in questo l’Italia è
sicuramente il cattivo esempio. E naturalmente differisce la lingua: l’italiano non è
l’inglese.
Nei fatti, come dice la direttrice dell’“Economist”, che cos’altro ha l’Inghilterra per pretendere di fare il maestro
di scuola? “Unboxed”, si legge oggi, la fiera della creatività britannica –
liberata (dalla Ue), intende il nome - è
costata 120 milioni di sterline ma pochi sono andati a vederla, nemmeno un quarto
di milione di persone. Londra ha fatto la Brexit per la vanità di poche persone.
Ha una famiglia reale che si vende benissimo, perché tutti sappiamo l’inglese, senza fare nulla, eccetto che scandali.
Ma non è una scuola di buona amministrazione. Non nelle nazionalizzazioni, non
nelle privatizzazioni. Non nel governo dell’economia, che ristagna da
cinquant’anni. Dopo aver costretto gli inglesi alla tessera annonaria per dieci
anni dopo la guerra. Non della moneta: Soros si arricchì nel 1982 a spese della
lira, ma ancora di più a spese della sterlina. Benché gli inglesi da un decennio
potessero viaggiare all’estero solo con 50 sterline. Per non parlare delle
guerre ribalde, da ultimo all’Iraq.
Ma non c’è paragone fra la Gran Bretagna
e l’Italia, “The Economist” ha ragione: l’Italia ha perso la parola, come Liz
Truss.
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