Quattro settimane a Villasimius nel maggio del 1954 accendono la fantasia di Jünger per una delle sue più godibili “cacce sottili” dei luoghi, delle curiosità naturali, delle persone, dei linguaggi e gli usi. A partire dall’albergo della signora Bonaria, dai suoi pensionanti, nelle cene in comune, e dalla sua famiglia, il signor Carlino, marito, la “serva”. Col cagnetto ringhioso della villa prospiciente del signor Rossi – l’amabilità in persona, lo colmerà di frutta e di saggezza. E l’umanità piccola con cui passa le giornate, il cavatore di granito, pastori pensierosi, giovani indolenti e gai, il doganiere, il pescatore.
Come sempre rilassato e immaginativo al Sud, “patria spirituale”, nel Mediterraneo, in Sardegna dopo la Sicilia, Jünger offre giorno per giorno al lettore una vacanza avventurosa entro i limiti della costa di Villasimius, che chiama “Illador” (una lusitano-castigliana, isola d’oro?) – la costa preferisce alla città. Una memoria ricca di tutto il superfluo. L’elogio del fico d’india – ragionato. Repulsione e magia – mito e psicologia - del serpente. La sacralità dello scarabeo, che si nutre di sterco. Le proprietà, perfino bizzarre, di colori, odori, profili ordinari. La felicià, il tempo, la storia, Jünger non omette neanche qui la filosofia che pure aborre – ma in giuste dosi. C’è già qui perfino l’“olio di Lucca” - “quello bollito tre volte, che gratta in gola”. Con le pentole di alluminio, piuttosto che di coccio o di rame, come dovrebbero - con profusione di argomenti. Accanto alla sociopsicologia della “proprietà”, del bene proprio, anche nel mezzo della povertà. E alla riflessione sulla natura naturans - senza menzionare Giordano Bruno, fratello in petto? Nel mezzo del lirismo hölderliniano sull’isola, appassionato e sacrale. Ci sono perfino “i virtuosi accusatori dale mani pulite” – Di Pietro e Davigo, per dire?
In Sardegna Jünger ritrova il tempo non tempo che predilige, la persistenza, la durata, contro l’effimero del cambiamento, del presente ininterrotto. Questa vacanza è per lui, e per il lettore, come fermare il tempo.
Un volume composito. Diario di viaggio, da Civitavecchia a Olbia e Villasimius, e ritorno. Con finale da Civitavecchia a Genova, passando per la costa Apuana, dove è sepolto il figlio diciottenne, morto in guerra confinato come obiettore in un battaglione disciplina: “Guardai alla finestra. Il luogo mi era noto, Carrara-Avenza. Là svettavano gli oscuri cipressi del cimitero di Turigliano. Con la montagna splendente sullo sfondo”. Il diario è accompagnato da una lunga riflessione su un tipo di scarabeo, “Lo scarabeo spagnolo”, che non dura una notte. E da una profusa visita al museo di Cagliari, “Terra sarda”. Curato da Quirino Principe, con note colte e intelligenti – salvo l’accostamento, p. 87, tra “Uranier” e “Uranist”, avventato.
Ernst Jünger, Terra
sarda, Il Maestrale, pp. 235 € 8
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