L’economista –ma gli editori preferiscono classificarlo filosofo – dei limiti alla crescita, testimonial vivente, ora ottantaduenne, del Club di Roma che inaugurò la materia cinquant’anni fa con “I limiti dello sviluppo”, poi molto in voga con la crisi petrolifera l’anno successivo, fa la sintesi di molte sue pubblicazioni in linea col rapporto del 1972. Con l’evocazione di una vita felice con meno produttività (investimenti) e meno produzione, e probabilmente con meno reddito disponibile. Ma anche con meno tempo libero, si augura, giacché lo considera tempo obbligato, dal sistema produttivistico - il tempo che tutti, più o meno, coltivano e auspicano, mentre si arrabbattano a sopravvivere al meglio.
L’idea
–l’utopia – è di tutti, non è l’argomento di un filosofo o di una scuola. Cioè,
potrebbe esserlo, ma a condizione che si cerchi una risposta realistica e non
utopistica, desiderante. A quello siamo buoni tutti. Limitarsi a privarsi del
titolo di economista, come fa Latouche, non serve. Anche perché bisogna sapere che
negli ultimi trent’anni l’Italia (ma, poi, l’Europa tutta) si è impoverita relativamente
al resto del mondo globalizzato (non si è impoverita in assoluto, ma nel contesto).
E ogni anno aggiunge mezzo milione di persone ai nuovi poveri.
Non
è il solo problema, è uno di tanti. Siamo tutti contro il consumismo, e contro
il produttivismo. Ma poi? Tanto più se si considera il non far niente un
sottoprodotto delproduttivismo – mi pagano per lavorare meno perché spenda i
soldi nel tempo libero… Nel loro piccolo i grillini, testimoni in Italia della
decrescita felice, sono quelli che hanno moltiplicato il debito per mantenere in
qualche modo i nuovi poveri.
Serge
Latouche (con Marco Aime), Breve storia
della decrescita, Bollati Boringhieri, pp. 144 € 16
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