Per l’Unione Europea la guerra è – è stata finora – civile: tra fautori e contrari a un calmiere (il price cap) dell’energia. Guerra civile è concetto che non si può allargare troppo, ma la Ue funziona così. Il calmiere, si sa, non è una buona soluzione: di applicazione difficile, può creare disarmonie invece di impedirle o controllarle. Ma per un solo prodotto e fra soggetti così agguerriti, in quanto grandi consumatori, potrebbe funzionare.
A
Bruxelles si calcola che il costo delle fonti di energia, petrolio, gas,
carbone, è prossimo al 10 per cento del pil – più del doppio, per avere un’idea,
del costo per gli Stati Uniti, fermo al 4,5 per cento. Nell’arco dell’anno,
non solo quindi nei mesi della guerra, mille miliardi di dollari in più sono
pagati dalla Ue ai fornitori di energia, Russia, Norvegia, Algeria, Stati Uniti,
rispetto al 2021.
Ma si decide
di non fare niente. Per nessun’altra ragione che l’omaggio al mercato – anche se
sconvolto dalla guerra russa all’Ucraina. In realtà perché alcuni paesi dell’Unione
si proteggono meglio degli altri, per una migliore distribuzione degli
approvvigionamenti, o semplicemente perché hanno più disponibilità con cui pagare.
Sembra strano, ma è – è stato finora – così: la concorrenza fra paesi europei gioca
a favore del caro-energia, e dei profitti di guerra.
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