Racconti liberi di Primo Levi subito dopo il (ritardato) successo del racconto di Auschwitz e dopo, quindici “divertimenti di fantascienza”. Liberi dalla memoria, come lui stesso spiega nel risvolto della prima edizione. Quindi narrati in un primo momento con qualche senso di colpa. Ma poi, dice, si è reso conto che sono, sempre filtrati dal ghigno di Rabelais, non del tutto dissimili, figurando tutti nel “sonno della ragione”. Solo che qui i “mostri” sono benevoli, e anche sorridenti, o meglio invitano al sorriso. Dietro lo scudo di Rabelais, ancora lui, dove dice “perché non credere all’inverosimile”?, e “non lo dice anche il Proverbio XIV di Salomone, «Innocens credit omni verbo»”?
Primo Levi aveva
ambizione e vena letteraria, narrativa. Qui se ne giustfica, come di una pausa,
di una follia passeggera, ma la pausa saranno stati i lunghi anni dell’internamento,
della sopravvivenza, della testimonianza dell’internamento e della sopravvivenza.
Poi ha fatto vari tentativi epr liberarsene, e questo è il primo. Che l’editore
però, e cioè Italo Calvino, gli ha consigliato di pubblicare sotto pdeudonimo
(venne fuori un inconsulto “Damiano Malabaila”) per non “disturbare i lettori”
– i lettori di “Primo Levi”. D’immediato successo all’uscita, nel 1966, senza
sorpresa, non da parte dei lettori. Ma non “collocato” dalla critica, oltre che
dall’editoria: si finse che non fosse Primo Levi, anzi non si recensì nemmeno,
essendo i racconti comunque lontani anche dal canone della fantascienza (cui
presiedevano Fruttero e Lucentini, transfughi da Einaudi in Mondadori proprio per
curare la fantascienza). In questa riedizione, in una collana sontuosa di
“classici”, sopperiscono Martina Mengoni e Domenico Scarpa.
Una grande cultura
di formazione emerge. Di richiami al “Genesi”, benché da ebreo laico, a
Rabelais naturalmente, a Aldous Huxley, che si leggeva molto ai suoi anni
verdi, a Raymond Queneau, di moda nel dopoguerra, specie col suo
“presentatore”, Calvino. In una scrittura semplice, e sorprendente ancora oggi:
sono racconti che, leggendoli a occhi chiusi, trascurando il destino tragico
dell’autore, sono gai, affascinanti, profetici. L’ultimo racconto, “Trattamento
di quiescenza”, vede l’età della pensione in rapporto con la fantasia o il
sogno: quello che oggi si chiamerebbe di “realtà aumentata”:
Primo Levi, Storie
naturali, Einaudi, pp. XIV-280, € 20
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