“A me non c’era altro amore che importasse che quello della carne” - “Atti impuri”, 84. I primi due “scartafacci” di Pasolini pubblicati postumi, nel 1982. I primi di una serie ormai corposa di racconti di sesso. A connotazione autobiografica fortemente voluta, sottolineata: in entrambi i racconti il ventenne adulto, maestro, poeta, rispettato, concupisce con ardore illimitato ragazzi del contado, bruni o biondi, ne va in cerca, in bici, a piedi, ai bagni nel fiume, al ballo, al cinema. I due racconti sono del bisogno di rimorchiare, tra i venti e i venticinque anni, per un susseguirsi di contatti fisici, o bramiti, di pene di amore corporale.
La cosa più
interessante è che sono testi del 1950, o poco prima - così assicura Concetta
D’Angeli, che ha messo a punto i dattilo-manoscritti dei due racconti e ne ha
curato la pubblicazione. La biografia di Pasolini ne è quindi in parte
rivoluzionata: il processo per pedofilia in Friuli, la rottura col padre, il
passaggio (la “fuga”) a Roma con la madre. Pasolini non era disperato e nemmeno
impaurito: passa dalla campagna a Roma per darsi un’altra dimensione. A Roma,
racconta in “Atti impuri”, è già stato per farsi un’idea, a maggio del 1947. E una
volta stabilito a Roma prova di tutto, anche l’erotismo spinto di questi
racconti. Che, come pare dagli appunti in margine, avrebbe voluto anche
pornografici, come farà poi, da ultimo, con “Petrolio”. Libero pure dal padre,
che ricorda in “Atti impuri” per quello che era, senza astio né irrisione –
alla data 6 giugno 1946. E in “Amado mio” alla scena finale al cinema di
Caorle, ammirando due efebi locali, “uno biondo… l’altro bruno”, di questo vede
“il capo grosso, la bocca rotonda e mal disegnata, deliziosamente simile al
padre…” – con i puntini di sospensione. Della madre accennando, in felice
sintesi, “la sensibilità” – o anche: “Mia madre è troppo nativa, ingenua”. Con
spazio perfino per la fede religiosa, perduta ai quindici anni, ora ritrovata,
seppure in forme speciose. L’accusa di pedofilia, che lo avrebbe costretto alla
fuga, è ridotta alle chiacchiere astiose di un pittore pazzo, che voleva
distruggere gli affreschi delle chiese di Casarsa e Viluta.
Sul padre, sul
punto della fede, si prolunga, fino a identificarvisi: “Mio padre, ufficiale,
era alquanto indifferente alla religione, benché ci conducesse a messa tutte le
Domeniche; egli non viveva e non vive di queste cose. Anch’egli come me (ma
attraverso che divergenti cammini!) ha ridotto la sua esistenza a se stessa. In
lui coesistono, è vero, delle sovrastrutture, e ci crede: l’onore, la nazione,
la praticità ecc.”.
“Atti impuri”
viene in in forma di diario. Nico Naldini nel 1980, quando pareva potersi occupare
degli inediti, attesta che Pasolini teneva un diario, e ne ha pubblicato dei
brani, che poi si ritrovano in “Amado mio”, in “Poesia e pagine ritrovate”. Un racconto
dapprima costruito, poi, a metà, confuso, sotto forma di pezzi aggiunti, senza
revisione né coordinamento: è il racconto dell’amore infelice e felice per un
ragazzetto Nisiuti, che poi il narratore, a metà, abbandona, per “farsi”
altri ragazzi, come capita.
Il protagonista senza
nome di “Atti impuri” fa tutto quello che Pasolini faceva a Casarsa e Versuta:
la scuola, la poesia, le sagre, i balli, i boschetti appartati liungo il fiume.
Per un lungo tratto il racconto è anche, caso unico nella enorme produzione
pasoliniana, dell’amica degli anni di guerra a Casarsa, la violinista Pina
Kalz, sotto il facile adattamento in Dina: il romanzo, ricorrente nella prima
parte, dell’infatuazione che lui non poteva corrispondere. E, anche questo caso
unico, ogni tanto ricorre Guido, il fratello giovane partigiano ucciso da altri
partigiani, con un tranello. Ma Guido ricorre incidentalmente, per la notizia
della morte, per “i tremendi mesi del lutto”, per il lutto stranamente breve,
per una messa in suffragio. In questo ultimo caso sacrilegamente: le pratiche
con un ragazzo di cui non sa il nome lo hanno eccitato tutta la notte, dice
l’io narrante, “sì che stamattina (una giornata finalmente splendida di sereno)
mentre si celebrava una Messa nella chiesetta di Viluta in suffragio di mio fratello nell’anniversario della morte,
assistendovi non riuscivo a staccare da me quel volto, che mi colmava di una
sfibrante dolcezza” – e continua: “Vivevo tutto nel mio ricordo troppo recente,
nel contatto ancora fisico con quel ragazzo fino a ieri straniero, che mi era
stato più vicino di quanto lo sia mai stata mia madre”.
“Amado mio”,
racconto breve, meno della metà di “Atti impuri”, è un corpo a corpo con un
quindicenne in una lunga estate lungo le rive del Tagliamento, a cui dà nome
Iasìs, la ninfa nell’antica Grecia. Anche lui spesso trascurato per altri
rapporti. Con un cameo memorable di Gilda-Rita Heyworth. E con una celebrazione
di Caorle.
In una nota
affettuosa Attilio Bertolucci dice i racconti “due idilli, e insieme elegie,
della gioventù”. No, semmai della pedofilia - Pasolini non sentì mai l’età (non
ne ebbe il tempo?). Ma niente di elegiaco, non sono “Dafni e Cloe”: sono
racconti del desiderio, carnale. Autobiografici, scopertamente, solo velando,
poco, i nomi. Più interessante, e oggi documentabile, dopo le opere postume
successive, sono i due racconti come parte di un progetto di Pasolini di
scardinare gli interdetti. Tra questi l’osceno o il porno in letteratura, anche
naturalmente nella specie gay. Un progetto non insistito ma ripetutamente
alluso.
Tutto vi concorre
in queste prime narrative, scritture del desiderio e dell’atto. Compreso
l’aggettivo “kafkaesco”, che non c’entra nulla. E con l’insulto – lo scandalo
aggiunto – di un paio di citazioni di Goethe in “Atti impuri” come rivolte
all’amato, mentre sono due distici del poemetto “Erlkonig”, il lamento del
padre amoroso sul figlio morente. In questa urgenza, ripetitiva, non c’è dolore
né afflizione, neppure nei riguardi della mamma. Solo l’inquietudine di una
sessualità insistente, insaziabile. Ma di godimento e non di sofferenza - di conquista.
Si direbbe che Pasolini ricalchi i romanzi erotici libertini, convogliando sui
ragazzi fantasie e iperboli dei libertini del Settecento ai danni delle dame.
Ma non sembra il caso: i libertini sono l’unico riferimento che non cita fra i
tanti. È come il cacciatore folle a caccia, senza dispiacere per la preda.
Pier Paolo
Pasolini, Amado mio\ Atti impuri,
Garzanti, pp. 211€ 15
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