C’era, e c’è, la Dc, di sinistra, dietro la foglia di fico del presidente Mussari mandato da D’Alema, e l’ingenua telefonata del segretario diessino Fassino (“Abbiamo una banca”), a capo della disavventura senza fine del Monte dei Paschi. Avviata dietro le quinte da Giovanni Bazoli, l’avvocato-banchiere creatore di Intesa - di cui il vescovo di Brescia, per il quale Bazoli inizialmente lavorava, diceva che “ha un pelo sullo stomaco alto così”.
Il 17 aprile 2005 Scalfari apriva per conto di Bazoli la
questione, in un incongruo postscriptum a un articolo sulla crisi di governo chiesta dalla Dc di Follini, e da Fini, contro Berlusconi, “Una crisi degna dei
racconti di Gogol” (l’articolo si può leggere online). Fingendo di prendere
posizione a favore dell’opa dell’olandese Abn Amro su Antonveneta e dello
spagnolo Santander su Bnl, nel nome del mercato, Scalfari apriva il fuoco
contro il governatore della Banca d’Italia Fazio, reo di promuovere cordate
nazionali per le due banche sotto tiro. “Se le manovre guidate dal governatore sboccassero in
altrettante Opa più favorevoli agli azionisti delle banche contese, non ci
sarebbero obiezioni di merito anche se non rientra nei compiti della Banca d'
Italia di discriminare gli operatori europei non italiani”, scriveva. E
aggiungeva: “Ma qui non si tratta di contro-Opa, bensì di cordate camuffate ma
assolutamente evidenti”.
Scalfari
meglio di ogni altro sapeva che senso dare al “mercato”, quello che lui voleva
dire non è quello che ha detto – è anche legittimo far fallire le opa, e non
necessariamente con un’altra opa più favorevole. Scalfari avviava la caccia a
Fazio, vecchio “popolare”, avversario di Bazoli, pur esso Dc ma di sinistra:
gli aveva consentito di creare Intesa, ma ne aveva bloccato l’acquisizione di
Generali – col 4 per cento del gruppo assicurativo in capo a Banca d’Italia. Bazoli
apertamente aveva criticato e criticava il ruolo che Fazio si assumeva come
Banca d’Italia nell’assestamento bancario – tanto più dopo il passaggio alla “banca
universale” (credito commerciale e a medio e lungo termine) decretato dall’America
di Clinton un decennio prima.
Scalfari concludeva
chiamando a raccolta le forze del futuro Pd: “Aggiungo e sottolineo, un’opposizione
consapevole avrebbe dovuto far sentire energicamente la sua voce in difesa del
mercato, delle sue regole, degli azionisti e soprattutto dei principi della
libera concorrenza tra imprenditori europei. Il fatto che ciò non sia avvenuto
con la dovuta energia suscita in noi stupefatta preoccupazione”. E partì la
caccia, ferale, della “opposizione consapevole” a Antonveneta.
Saltato Fazio, Abn Amro si compra subito Antonveneta. Pagando un ottimo prezzo agli azionisti della banca del Santo, 26,50 euro. Due anni dopo Abn Amro finisce in mano a Santander, Royal Bank of Scotland, e Fortis, un gruppo belga, e nello “spezzatino” che ne segue Antonveneta va al Santander. Che in poche settimane la rifila a Mps per nove miliardi, cifra monstre nel canone di valutazione europeo. Malgrado un passivo che a fine 2011 ammonterà, fatte infine le dovute valutazioni, a diciotto miliardi, quindici dei quali per “crediti vantati da terzi” – erano otto nel 2008. Mps dall’affaire Antonveneta in poi, dove molti compagnucci della parrocchietta si erano locupletati, nel Veneto, in Spagna e in Toscana, non si è saputo più gestire (la miscela politica dissolutrice è la stessa del partito Democratico, che nasceva in parallelo con Mps-Antonveneta).
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