zeulig
Antigone –
Impersona l’inconciliabilità della legge col sentimento. Così si suole dire. È
di fatto un grande racconto, un romanzo, anzi un romanzo storico, in forma
teatrale, di tragedia. Di una donna, gentile e animosa insieme, che lotta
contro un apparato, di leggi e di potere, che trova ingiusto. Ma Creonte, il
nemico e persecutore, che impone il dovere della legge, anche lui sa e sente
tutto questo.
Il tema sarà posto da Platone,
molto dopo dunque Eschilo e la sua eroina, per mezzo di Socrate nel “Critone” e
nel “Fedone” – col Socrate storico si arriva all’opposto di Antigone,
all’accettazione di una giustizia dichiaratamente falsa. La giustizia è un
potere mondano, la Giustizia, che può assolvere o condannare anche senza
giustizia, in base alle leggi. Antigone è la coscienza individuale, il
sentimento di ogni essere vivente, che può essere e può non essere in accordo
con la legge, la quale invece si vuole astratta, impersonale. Ma il tiranno
Creonte anche lui ha argomenti: è, deve essere, il garante di quell’ordine che
solo può dare la pace e la giustizia.
Ordine che, sappiamo, è mobile,
nei fini e nei limiti (divieti, pene). Mentre la ribellione di Antigone è
costante, i suoi presupposti lo sono.
Si può dire Antigone in astratto (prescindendo dalla tragedia cui dà il nome) l’opposizione o antitesi alle semplificazioni che la legge implica. Il motore quindi del suo costante adeguamento, della legge.
Dio – “È il libro dell’universo” – lo dice il filologo
americano, grande dantista, Charles Hall Grandgent, annotando il “Paradiso”.
Eutanasia – Ricorre molto nella filosofia antica, Platone (“Le Leggi”, “Fedone”), Seneca, Cicerone. E nelle utopie, anche di timorati di Dio come Thomas More.
Filosofia tedesca - Si può dire in breve della morte: la morte dell’arte (Hegel), di Dio (Nietgzsche), dell’essere (Heidegger). Ossessionata dalla morte: ma perseguitata, oppure invaghita?
Felicità – Jünger propone di definirla per opposizione al potere, e “quindi” di genere femminile, essendo il potere inoppugnabilmente maschile. È una riflessione a cui si lascia andare all’osservazione di un nido di falco, dentro una torre saracena in Sardegna (“Terra sarda”, 88-89): “A volte occhieggiamo, come attraverso questa feritoia, nell’officina dell’universo e nelle forme che esso produce. La visione di un simile animale araldico dà l’immediata certezza che il potere è una delle chiavi d’accesso. Ma come ogni colore esige il suo colore complementare, così anche il potere è una realtà a due facce, che soltanto nell’altro da sé si accende di una luce davvero illuminante”. Questo Altro cosa può essere? “La Bellezza, l’amore? Potrei individuarlo nella felicità: se il potere è il principio maschile dell’universo, la felicità è il principio femminile”. E ciò che lo rende accettabile: “Senza quest’ultimo, che lo completa e lo equilibra, il potere può diventare terribilmente odioso” – quindi, si direbbe, perento, per quanto durevole.
Un tesoro,
da schiudere: “Come il potere è una chiave, così la felicità è qualcosa da
dischiudere e rivelare, un tesoro che giace inesauribile nel fondo
dell’universo”.
Predestinazione – È la base di molto cristianesimo. Ma non ne è
la negazione – che bisogno c’è di Cristo?
La
venuta di Cristo non serve a lavare la colpa del peccato originale? E dunque?
Dio sarebbe uno cattivo, che punisce senza colpa?
Storia – È sempre bella (ammirevole, rinfrancante) nelle rovine, nelle antiche macerie. Anche non belle - suggestive, armoniose. Perché la bellezza circonda comunque le antiche macerie? Un po’ è l’effetto nostalgia – di qualsiasi mondo morto, anche riprovevole. Un po’ perché la “nostra epoca”, la contemporaneità, è di necessità strumentale (alla riproduzione, alla sopravvivenza, al progresso), e quindi altera la dinamica in cui si concepiscono (si realizzano) le forme. Un po’ “entra in gioco la rivelazione dei misteri matematici, che agisce sullo spirito come la vista della bellezza nuda sui sensi. Dietro i mezzi che assoggettano lo spazio, lo sguardo intuisce un’altra forza cui lo spazio si assoggetta: lo spirito. Esso sfavilla e si specchia in essi come nel ferreo scudo di Achille” - E. Jünger, “Terra sarda”, 60-61.
La storia come sguardo posato sulla bellezza nuda. O anche, sempre Jünger, id., 23, come poesia – della storia come storiografia, per la sua “intensità evocatrice”: “Questa facoltà di evocare per incantesimo la più antica umanità dalle sue ombre è uno dei nostri grandiosi spettacoli”. Reperti, fonti primarie, dati esistevano, esistono da sempre, ma perché cominciano a parlare oggi, e in un determinato modo – “essi hanno la funzione di talismani, è impressionante vedere, quando vengono sfiorate dalla lampada di Aladino, che cosa sale dalle arcate dei millenni...”.
Tempo – È
sempre presente, non si saprebbe concepire diversamente. Come passato, come
futuro, sono suoi aspetti, con tutte le variazioni grammaticali (concettuali),
passato remoto, passato prossimo, futuro anteriore. Riviviamo oggi il passato e
non potrebbe essere diversamente.
È Croce, la storia è sempre
contemporanea, e non lo è. È di più. Non potrebbe essere diversamente per
l’esigenza stessa del presente. Che ha bisogno del passato, anche fantasioso,
mitico, e si fa vanto di un futuro. Chi non ha un passato se lo inventa.
Nasce da qui lo stress fra latini e germanici in Europa,
acuto fino a Hitler e poi sotto il tappeto ma insorgente. Senza delitto di
pregiudizio, la differenza la fa la scrittura (la memoria).
Verità - È vano aspettarsi che la religione o la filosofia ristabiliscano la verità: “I fatti zoologici si producono sul piano zoologico, e quelli demoniaci sul piano demonologico”, Jünger in guerra lo vede. Ma non sarà la stessa cosa che dire: ci vuole un nazista contro un nazista? un terrorista contro un terrorista? È un vicolo cieco, da cui bisognerebbe poter uscire – la verità va con la libertà, strano, ma vero.
La
Germania, per dire un caso estremo, che s’era imbucata nel genocidio, è potuta
tornare indietro. Altrimenti si potrebbe dire che la liberazione è stata
nazista.
zeulig@antiit.eu
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