Una nuova traduzione dei “Promessi sposi”, di Michael Moore, presidente del Pen Club New York, interprete dell’ambasciata italiana all’Onu, per il mercato americano, in tempi di rifiuto dei prolissi romanzi storici dell’Ottocento? Manzoni dimostrerebbe che il genere non è così disastroso, non per il lettore. Quello che alcuni scrittori (Acocella cita Jonathan Franzen, che non è “andato mai oltre la pagina 50 di ‘Moby Dick’”, e il rifiuto di tanti d’inoltrarsi in “Vanity Fair” o in “David Copperfield”) si rifiutano di leggere per principio, e che gli stessi lettori amanti del genere praticano “saltando” liberamente.
Il
problema non è la lunghezza, o prolissità (Acocella ricorda l’ultimo traduttore
dei “Miserabili” di V. Hugo, Norman Denny, che confessava di averli ridotti –
anche se alla fine restavano sempre 1.200 pagine – perché ripetitivo, e troppo carichi
di aggettivi, anche “dieci o dodici” attaccati a un sostantivo), ma la presunzione
“storica” alla verità con i pareri contrapposti di personaggi e critici: “Nella
mente del tipico scrittore ottocentesco di romanzi storici questo è solo ovvio”, per cui può bene “interrompere
la sua storia per darci una lezione sulla bianchezza della balena o sulle guerre
di successione nel Nord Italia nel diciassettesimo secolo”. Acocella richiama
Henry James, scrittore pure non breve ma
ostile al romanzo storico, perché manca di “composizione”, cioè di focalizzazione:
“Un quadro senza composizione disdegna la sua più preziosa possibilità di
bellezza. Ci può essere vita in mancanza, incontestabilmente, “La Famiglia
Newcome” ha vita, come ce l’hanno “I tre
Moschettieri”, “Guerra e pace”, ma che cosa significano
artisticamente questi grandiosi lenti gonfi mostri, con i loro bizzarri
elementi di accidentale e di arbitrario?” – l’accidentale e l’arbirario no, non
“significano? .
La
nuova traduzione di Manzoni è la prima in cinquant’anni. Acocella si chiede
perché il romanzo, un pilastro in Italia, fuori sia quasi sconosciuto. Moore fa
l’ipotesi nell’introduzione che il romanzo sia stato risentito come troppo italiano,
per esempio per le sue preoccupazioni di morale cattolica. Ma la riproposta Acocella
dice olo opportuna: il romanzo è anche “prolisso, noioso per alcuni, prezioso
per altri”, ma ha le grandi tregedie, guerra, fame, peste, e gli effetti sui
poveri, ha sentimentalismo in discreta dose, ha passaggi lirici e passaggi
sociologici di ritornante interesse, “insomma, è un romanzo storico esemplare”.
Seguono
nel saggio un ritratto di Manzoni, familiare e personale, con i suoi problemi
di lingua, e la cura, o il puntiglio, della scrittura, e una lunga dettagliata sinossi
del romanzo – “il cap. 1 si apre come un fiore”. La conclusione è la parte più interessante,
dopo l’annotazione che la debolezza del romanzo è il plot, “o l’organizzazione del plot”,
e la vaghezza delle psicologie, “dopo che ci siamo abituati alle contorsioni di
Henry James e E.M.Forster”. Conclusione opinabile, ripassando le storie di fra
Cristoforo, dell’Innominato, della monaca di Monza. Ma con un guizzo
sorprendente: “I promessi sposi” sono “più simili a un’opera, pieni di assoli,
duetti, cori, e passaggi lirici, che, da quello che si vede, sono lì più per
amore dell’arte che per qualsiasi altro intento”.
Ma,
poi, è proprio vero che il romanzo storico ha fatto il suo tempo? Al grande
pubblico americano, prima di questo nuovo “Promessi sposi”, sono state proposte
le “Confessioni” di Nievo, mille pagine, senza plot – con gaudio della traduttrice Frederika Randall, specie per
le inflessioni venete, verbali, familiari, sociali: il plot non sarà questa “diversità”, specificità?
L’edizione
a stampa del settimanale reca il titolo “National Treasure”.
Joan
Acocella, Italy’s great historical Novel,
“The New Yorker”, free online
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