lunedì 17 ottobre 2022

Torna in America il romanzo storico, con Manzoni (dopo Nievo)

Una nuova traduzione dei “Promessi sposi”, di Michael Moore, presidente del Pen Club New York, interprete dell’ambasciata italiana all’Onu, per il mercato americano, in tempi di rifiuto dei prolissi romanzi storici dell’Ottocento? Manzoni dimostrerebbe che il genere non è così disastroso, non per il lettore. Quello che alcuni scrittori (Acocella cita Jonathan Franzen, che non è “andato mai oltre la pagina 50 di ‘Moby Dick’”, e il rifiuto di tanti d’inoltrarsi in “Vanity Fair” o in “David Copperfield”) si rifiutano di leggere per principio, e che gli stessi lettori amanti del genere praticano “saltando” liberamente.

Il problema non è la lunghezza, o prolissità (Acocella ricorda l’ultimo traduttore dei “Miserabili” di V. Hugo, Norman Denny, che confessava di averli ridotti – anche se alla fine restavano sempre 1.200 pagine – perché ripetitivo, e troppo carichi di aggettivi, anche “dieci o dodici” attaccati a un sostantivo), ma la presunzione “storica” alla verità con i pareri contrapposti di personaggi e critici: “Nella mente del tipico scrittore ottocentesco di romanzi storici questo è solo ovvio”, per cui può bene “interrompere la sua storia per darci una lezione sulla bianchezza della balena o sulle guerre di successione nel Nord Italia nel diciassettesimo secolo”. Acocella richiama Henry James, scrittore  pure non breve ma ostile al romanzo storico, perché manca di “composizione”, cioè di focalizzazione: “Un quadro senza composizione disdegna la sua più preziosa possibilità di bellezza. Ci può essere vita in mancanza, incontestabilmente, “La Famiglia Newcome” ha vita,  come ce l’hanno “I tre Moschettieri”, “Guerra e pace”, ma che cosa significano artisticamente questi grandiosi lenti gonfi mostri, con i loro bizzarri elementi di accidentale e di arbitrario?” – l’accidentale e l’arbirario no, non “significano? .

La nuova traduzione di Manzoni è la prima in cinquant’anni. Acocella si chiede perché il romanzo, un pilastro in Italia, fuori sia quasi sconosciuto. Moore fa l’ipotesi nell’introduzione che il romanzo sia stato risentito come troppo italiano, per esempio per le sue preoccupazioni di morale cattolica. Ma la riproposta Acocella dice olo opportuna: il romanzo è anche “prolisso, noioso per alcuni, prezioso per altri”, ma ha le grandi tregedie, guerra, fame, peste, e gli effetti sui poveri, ha sentimentalismo in discreta dose, ha passaggi lirici e passaggi sociologici di ritornante interesse, “insomma, è un romanzo storico esemplare”.

Seguono nel saggio un ritratto di Manzoni, familiare e personale, con i suoi problemi di lingua, e la cura, o il puntiglio, della scrittura, e una lunga dettagliata sinossi del romanzo – “il cap. 1 si apre come un fiore”.  La conclusione è la parte più interessante, dopo l’annotazione che la debolezza del romanzo è il plot, “o l’organizzazione del plot”, e la vaghezza delle psicologie, “dopo che ci siamo abituati alle contorsioni di Henry James e E.M.Forster”. Conclusione opinabile, ripassando le storie di fra Cristoforo, dell’Innominato, della monaca di Monza. Ma con un guizzo sorprendente: “I promessi sposi” sono “più simili a un’opera, pieni di assoli, duetti, cori, e passaggi lirici, che, da quello che si vede, sono lì più per amore dell’arte che per qualsiasi altro intento”.

Ma, poi, è proprio vero che il romanzo storico ha fatto il suo tempo? Al grande pubblico americano, prima di questo nuovo “Promessi sposi”, sono state proposte le “Confessioni” di Nievo, mille pagine, senza plot – con gaudio della traduttrice Frederika Randall, specie per le inflessioni venete, verbali, familiari, sociali: il plot non sarà questa “diversità”, specificità?

L’edizione a stampa del settimanale reca il titolo “National Treasure”.

Joan Acocella, Italy’s great historical Novel, “The New Yorker”, free online

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