Una sconosciuta opera lirica, quella del titolo, deve inaugurare il teatro di Caltanissetta per decisione del prefetto, un toscano, Bortuzzi, suscitando polemiche e proteste, come è – era – della “buona borghesia”, cioè notabilare, siciliana e meridionale. In un crescendo che culmina in botti, e non per per festa. Una vicenda grottesca che si aggroviglia, su uno sfondo paziente e dolente: una storia di fine Ottocento, ma non sembra.
È
il primo romanzo del Camilleri “maturo”, 1995, quello che ne decreterà la fama
mondiale. Attorno a un aneddoto che rende al meglio la sua miscela narrativa,
tra l’irrazionale, il comico e il tragico, o traumatico. Il tutto naturalmente
molto siciliano, essendo espresso nella sua speciale lingua, innestata sulla parlata
agrigentina. Una sorta di Pirandello a lieto fine, paternità spesso dichiarata,
e con – non dichiarati ma evidenti – echi dell’“abate” Meli, palermitano
questo, e - un po’ – la verve storica
dei catanesi, Capuana, Verga.
Camilleri
racconta sempre vicende della Sicilia “profonda”, provinciale. Reale, fuori delle
architetture programmate per l’isola, di mafiosi, ingravidabalconi, e baroni. Quella
che s’incontra, di notabilato, ignoranza, saccenza, solitudine, e garbo, o sollecitudine.
Che lui, per l’aneddoto che qui racconta, spiega in “Nota” di avere trovato nella
“Inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia (1875-1876)”,
inchiesta parlamentare, pubblicata dopo un secolo, 1969, dall’editore Cappelli
di Bologna: “Una vera miniera”, la dichiara Camilleri. Che ne ha già derivato
il romanzo “La stagione della caccia” e il saggio “La bolla di componenda”.
Questo
racconto nasce dalla testimonianza, il 24 dicembre 1875 (il Parlamento lavorava
la vigilia di Natale, un secolo e mezzo fa), del giornalista nisseno Giovanni
Mulé Bertolo, particolarmente accanito contro il prefetto Fortuzzi, e “Il birraio
di Preston” che il prefetto impose. Un rappresentazione finita a gazzarra,
finché, dice il giornalista, non “entrarono in teatro militi a cavallo, truppa
con le armi”. I parlamentari a questo punto, nota Camilleri, “preferiscono
glissare e passano ad altro argomento”.
Ma hanno ascoltato quanto basta a Camilleri per inventarsi il resto.
“Il
birraio di Preston” esiste, opera di Luigi Ricci. Camilleri dice di essersi
procurato libretto e partitura grazie a Dirk Carsten van der Berg – un
musicologo, tedesco, che è stato uno degli ultimi allievi di Camilleri all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica,
diplomato nel 1992. Avesse avuto a disposizione google avrebbe fatto anche
un’altra storia: Ricci, napoletano,
prolifico, compositore di oltre trenta opere in poco più di cinquant’anni di
vita, finito maestro di cappella a San Giusto nella Trieste austriaca, dopo il
fallimento a Milano delle sue “Nozze di Figaro”, si consolò con l’amore di due
gemelle boeme diciassettenni, Franziska “Fanny” e Ludmila “Lidia”, con le quali
convisse a Trieste, Odessa e Praga. Scrisse “Il birraio” su libretto di
Francesco Guidi, letterato fiorentini.
La prima rappresentazione si fece alla Pergola, il teatro di Firenze, nel 1847 -
non sono note riprese, a parte quella del romanzo, di Caltanissetta: si spiegherà
con questa ascendenza fiorentina la testardaggine del prefetto.
“la Repubblica” inaugura con questa specie di
“opera prima” – ma la primissima (edita) verrà col prossimo numero, “La
conoscenza delle cose” – la ripubblicazione di gran numero dei romanzi di Camilleri.
Che continua quindi a essere un grande fenomeno editoriale, ma ancora manca di
un assetto critico – non se ne conoscono, solo apprezzamenti, del tipo “io lo
conoscevo bene” si diventa Autori se si ha un Critico.
Camilleri,
Il birraio di Preston, “la
Repubblica”, pp. 234 € 8,90
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