Giuseppe Leuzzi
Cresce la disoccupazione in
Europa, e si vuole che il record europeo sia del Sud Italia. Non è vero, il Sud
della Spagna sta peggio, l’Andalusia (con le Canarie), e la Grecia settentrionale.
Ma è vero che la disoccupazione è alta: 19,3 per cento in Campania, 18,7 in Sicilia,
18 in Calabria, 14,6 nella pur operossisima Puglia. Molto lavoro è in nero? Sì.
Ma è anche rifiuto del lavoro. Comunque, in nessuna di queste regioni si trova
un manovale. E con difficoltà l’artigiano - idraulico, falegname, elettricista,
pittore.
Il Mediterraneo i mediterranei, italiani, iberici, greci, che il Nord Europa disprezza, un po’ lo disprezzano anche loro – “è inquinnto”, “è un cimitero. Ma per i tedeschi, norvegesi, danesi, olandesi, sprezzanti, è un miraggio.
La metà dei giovani pugliesi (il 48,6 per cento) e siciliani (47,6) non ha la licenza media. Si dice che i ragazzi non vanno a scuola perché le famiglie li fanno lavorare. Ma questo era vero un secolo fa – è stato vero, per esempio, di mio padre, che pure era di famiglia borghese. Ma ora nessuno lavora.
Non basta una legislatura per proporre
politicamente il ponte sullo Stretto, mettere a bando il progetto, finanziare
l’opera, appaltare i lavori, risolvendo via via i contenziosi leguleistici. E
allora perché si propone? Per occupare di chiacchiere la “questione meridionale”?
Certo che sì.
Alberto di Monaco si scopre calabrese
Curiosa peregrinazione,
passata sotto silenzio, del principe di Monaco Alberto nella ex Calabria
Ulteriore Prima, l’attuale provincia di Reggio, sia nella Piana di Gioia Tauro,
tra Cittanova e Molochio, sia nella Locride, a Gerace. Come suole ormai da
qualche anno. Sulle tracce dei suoi antenati, banchieri di Genova, che qui
ebbero i primi possedimenti e titoli nobiliari, baroni e principi. A Cittanova,
sul sito della vecchia Curtuladi, ricorda che il fondatore fu nel 1618 Girolamo
Grimaldi. E commemora, col vescovo e ogni altra autorità, l’ultima erede, morta
nel terremoto del 1783, la principessa Maria Teresa. Anche nella piccolo Molochio
ha trovate tracce di famiglia, da vecchi documenti. A Gerace le tracce ha
trovato ancora più evidenti, nel palazzo Grimaldi-Serra, ora sede del
municipio.
Un attaccamento bizzarro, se
non si va ai presupposti. Che il Sud, la Calabria in specie, fosse nel Cinque-Seicento
dei banchieri genovesi, con i quali la Spagna, a Napoli e non solo, era indebitata,
lo sappiamo solo da Braudel. Gli storici da Napoli in giù, anche i più
accreditati, sono fermi al feudalesimo (che invece semmai pecca per non esserci stato,
questo è il problema storico del Sud: i padroni erano lontani) - a parte qualche
traccia in Galasso, che ha un po’ scorso gli archivi del Seicento in Calabria. Lavorare
sugli archivi è faticoso e rende poco, in termini di visibilità – con un po’ di
ideologia e frasi fatte il lavoro viene meglio: non si fatica e se ne è
gratificati.
Le tracce che Alberto di
Monaco vuole riesumare, con la sua annuale visita, per irrobustire e memoria, e
i quarti nobiliari, mostrano che il Sud era lasciato a membri secondari delle
famiglie, terzi e quartogeniti, collaterali, spesso impecuniosi, e comunque isolati
e poco produttivi – i Grimaldi come gli Spinelli, i Perrone e i tanti altri. Ma,
sia stato quello che è stato, la memoria fa difetto, malgrado la (enorme) messe
di pubblicazioni: troppi schemi di metodo, e soprattutto poca applicazioni.
Il Sud non è trasformista
Uno studio di “Lotta comunista”,
ottobre 2022, intitolato “Trent’anni di trasformismo”, comparando i dati
elettorali dal 1994 al 2022 mostra che non il Sud è “trasformista”,
contrariamente a quello che si pensa, anzi è piuttosto stabile nelle preferenze
di voto, fra le divisioni classiche di sinistra, centro e destra.
La comparazione non è propriamente
fra Sud e resto d’Italia, perché al Sud la rivista aggrega anche il Lazio, in
un Centro-Sud, ma l’indicazione si può ritenere all’ingrosso valida – in fondo
Roma nel Veneto risulta remota, si può testimoniare per esperienza, e il Sud
per il professor Miglio cominciava all’uscita dal tunnel della Bologna-Firenze.
Molto ha cambiato il Nord,
che nel 1992 votava a sinistra (Pci, Psi) per 33,1 per cento, uno su tre, e due
anni dopo solo per il 22,6, fino a restringere la preferenza, il 25 settembre,
al 12,3 per cento - a1 17,5 mettendo i 5 Stelle a sinistra. La Lega il Nord ha
votato – anche questo contrariamente alla percezione corrente – alternativamente,
al 16 per cento nel 1994 e poi al 3 virgla qualcosa o al 4 per cento nel 2001 e
nel 2006, giusto per farla rientrare in Parlamento: una preferenza ondeggiante,
come di recente, fra il 34 per cento alle Europee 2019 e l’8 per cento del 25
settembre. A lungo ha votato in massa Berlusconi, al 21 e più per cento, fino
al 2013, riducendone poi considerevolmente il sostegno – a settembre al 4,8 pe
cento – con un passaggio in massa, si può dire, da Forza Italia più che dalla
Lega, a Meloni (salita come si sa in quattro anni da poco più dell’1 per cento
al quasi 19).
Il Sud (con Lazio) è più stabile.
Votava a sinistra nel 1992 per il 22,3 per cento, ha votato Pd il 25 settembre per
poco meno del 9 per cento, e per quasi il 14 per cento 5 Stelle. Votava Msi per
l’11 per cento nel 1992, ha votato An per il 15 per cento nel 1994, e ha votato
Meloni per il 12,6 per cento quest’anno. Era molto Dc, per 31 per cento, e solo
in parte ha votato Berlusconi, per una percentuale tra il 14 e il 28 per cento,
ora ridotto al 4 – era Dc di destra.
L’astensione invece è vera, è
sempre stata alta dopo il crollo dei partiti storici: era del 20 per cento nel
1992, è stata del 27 per cento due anni dopo, è ora al 45,5. Su dice del Sud
che l’astensione è elevata per via dell’emigrazione: molti meridionali stabiliti
lontano mantengono la residenza originaria, e non sempre tornano a votare. Ma
il raddoppio dell’astensione è venuto in anni recenti, quando questo fenomeno si
è ridotto a dimensioni marginali.
Nell’ultimo quindicennio è al
Nord che l’astensione si è moltiplicata, e nell’area che la rivista chiama
Quadrilatero (Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Umbria): dal 13,8 nel 1994 al
Nord al 34,2 a settembre, e dal 12,9 al 34 nel Quadrilatero, triplicata.
Non è però da rivedere la
nozione di trasformismo? Se la stabilità di orientamento politico è un dato più
positivo o più negativo – in termini di esercizio democratico, di capacità di
giudizio, di difesa degli interessi legittimi, di promozione, economica e
sociale. Cambiare parere politico è legittimo, e anzi auspicabile, se non è
legato a interessi di bottega, come si deve presumere della massa dell’elettorato.
E anche, evidentemente, più proficuo: il Sud non ha voce politica.
La città è senza sindaco, ma non importa
Il sindaco è condannato,
anche in appello, dopo il preliminare e il tribunale. In base alla legge è
sospeso ma non di più, e in attesa della Cassazione si può fare finta di nulla.
A Reggio Calabria, dove questo accade, si fa finta di nulla: il consiglio comunale tace, tace anche l’opposizione, e per i media è una cronaca come le tante
altre, gli incidenti d’auto eccetera. Il Comune è amministrato da un facente
funzioni, un consigliere anziano che è di un altro partito del sindaco. Il
sindaco è Pd, una delle promesse del Pd, l’f.f. è di Renzi, immaginarsi.
Reggio Calabria è anche città
metropolitana, cioè il sindaco è anche capo della Provincia, e quindi tutta la
ex provincia di Reggio ora città metropolitana ha anch’essa un facente funzioni.
Anche lui di Renzi e non del partito al governo a Reggio, il Pd. Ma nessuno
s’indigna e niente si muove: i 97 Comuni attendono pazienti – forse non si
aspettavano nulla neanche prima?
La legge non obbliga il
prefetto a intervenire, come sarebbe invece il caso se un consigliere avesse un
biscugino in odore di mafia, e la storia prosegue senza sussulti. Si capisce anche
la città sia male amministrata, e la provincia peggio, ma questo è la normalità,
nessuno si aspetta granché dalla politica. A parte qualche favore. La cosa curiosa
è che neanche l’opposizione si muove, i berlusconiani, i meloniani, i
salviniani.
La condanna non fa notizia localmente, e nemmeno in Italia, benché sia di una certa gravità – un sindaco condannato. Perché il sindaco è del Pd, una promessa del Pd? Questa sarebbe proprio una cattiva notizia.
Aspromonte
È in autunno al meglio. I castagni carichi. I faggi rossi - pieni di ombre ma non infernali, sorridenti, per quanto assorti. Il corbezzolo, piccolo e grande, a puntini rossi. Larici e frassini giallo bruciati, solitari o in gruppo.
Avevamo il foliage in casa, ben prima dei film di
Woody Allen, a strafare, e non lo sapevamo – se non fosse per l’America, non ci
scopriremmo.
L’autunno non vi è malinconico, ma un sollievo colorato. Tanto più per poterlo vivere in solitario, malgrado le famiglie dei cercatori di funghi, moleste, in ciabatte – si sa che il fungo è indifeso. Anche per la lunga estate, da ottobre a san Martino.
L’America ora ci vuole togliere il foliage, giacchè lo dichiara in estinzione? Ma non bisogna avere paura, siamo già morti in molti altri modi, non solo per l’America - l’America, che ci fa, montagne remote comprese, ci disfa anche volentieri, è volubile. Non è vero che il foliage è morto, in Aspromonte dà spettacolo.
Il cono sul mare è una montagna diversa, non essendo vulcanica. È anzi una montagna di sabbia, ma compatta, che le fondamenta tiene salda. E alberata, in ogni suo centimetro quadrato, viva cioè e vissuta. Con terrazzamenti come grandi balconate aperte alla luce, matronali, ubertose. Da ogni lato aperta sull’orizzonte chiaro, marino, si direbbe sorridente.
Ma non ha avuto nome, fino a qualche secolo fa – nemmeno Strabone, così dettaglista, la nomina. Era una selva impenetrabile da un lato, un deserto dall’altro. È stato a lungo Montagna segreta, fino al tempo di Corrado Alvaro, un secolo fa. L’hanno aperta i Feltrinelli, con i disboscamenti.
È stata a lungo un montagna segreta, rifugio di eremiti, d’Occidente e d’Oriente, di ebrei, mussulmani - ed evidentemente ricercati, a vario titolo. Noi che siamo il paese più alto e più interno della Montagna siamo pieni di Pagano e Morabito, facciamo – facevamo, ieri è già remoto - il bianco mangiare, e il pollo e il pesce ripieni – il pesce in montagna. Alcuni avevano in sospetto anche il formaggio fresco, quando capre e pecore pure abbondavano, per la “melitenza”.
È – era, fino a ieri - popolato da saghe. Straniere, francesi, introdotte dai Normanni: Guerin Meschino, Orlando. Che gli diedero il nome.
È stato un grande ritorno per Pasqua quello del 1997, appena usciti dall’autostrada, accompagnati nei trenta chilometri d’inerpicata al paese, tra valli aperte tra i tornanti ombrosi dalla cometa. La cometa di Hale-Bopp, come la chiamano, netta, scintillante, si disegna, si sgrana, si muove, nell’aria tersa. Non c’è ombra, nessun velo, tra noi e il cielo, che si mostra vivo, sorridente quasi, rilassato: l’aria è tersa, è ancora tersa, niente fumi, niente polveri, niente sporcizie. Su fino alla conchiglia su cui il borgo si adagia. trasparente, secca – il panno steso è già asciutto. Un’aura di paradiso, anche il freddo di aprile pungente sembra rinvigorente. Un’altra epoca glaciale, solo un quarto di secolo fa? Un inganno della memoria? Ora l’umido sale a folate, qualche mattina sale pure la nebbia.
leuzzi@antiit.eu
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