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Alle origini del mito Marlowe
Il primo romanzo di Chandler, l’inizio
della sua seconda vita, o terza, o quarta: dopo il militare, mezzo britannico e
mezzo americano nell’esercito canadese, il matrimonio con Cissy, il grande
amore, ma di 18 anni più grande, e l’alcol. Tornato sobrio ripartì con la scrittura,
d’invenzione invece che giornalistica, e alla vigilia della guerra debuttò
infine riconosciuto con questo che è il primo caso di Philip Marlowe – la prima
invenzione di un detective presto famoso dopo Sherlock Holmes (i detective
precedenti di Chandler, nei racconti sparsi in rivista, si chiamavano Carmady,
Mallory e Delmas).
Un racconto oggi scolastico:
Chandler esordiva dopo un periodo difficile, di inoperosità, crisi coniugale,
alcol. Scrive cose del tipo: “Indossava un vestito marrone ben stirato e c’era
una perla nera sulla sua cravatta. Aveva le lunghe dita nervose di un uomo dal
cervello rapido. Si mostrava pronto per una lotta”. Oppure: si può diventare “stranieri”,
nascondendosi in un’altra città, ai margini, con nomi falsi, ignoti ai più, ma
prima o poi si finisce per ritornare in sé “nel sistema fiscale”. Ma Marlowe,
alla sua prima apparizione, fa centro, e diventa subito un mito – soprattutto al
cinema, impersonato da una lunga serie di star, Dick Powell, Humphrey
Bogart, Robert Montgomery, Elliott Gould, Robert Mitchum, Steve Martin, e
specchiato dal Jack Nicholson di Polanski, “Chinatown”, fino al “Grande
Lebowski” dei fratelli Coen, che gli dedicano un cameo.
Raymond Chandler, Il grande sonno, Adelphi, pp. 261 € 19
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