Importare più panno inglese, per fare migliori vestiti, e più resistenti, nell’eventualità che si finisca dentro un coccodrillo. E proteggere comunque il coccodrillo, anche se ha inghiottito un uomo: gli animali sono buoni. Senza trascurare i giornali: tanto più bizzarra la situazione proposta, tanto più presteranno attenzione.
In un racconto, breve, Dostoevskij accumula un
crescendo di ridicole fantasie, sotto forma di principi politici, di politica
economica. Ridicolizzando il liberismo, quello che oggi diremmo il mercato, o
la globalizzazione, l’animalismo, che oggi diremmo postumano, e insieme
l’opinione pubblica, i media di oggi.
Un impiegatuccio bene ammanicato – ha in tasca
un biglietto per una vacanza in Europa – si reca a mo’ d’addio con la moglie e
un amico a visitare, nel lussuoro Passage
alla parigina che adorna il.centro di Pietroburgo, gli animali curiosi
presentati in un antro puzzolente da due girovaghi tedeschi, una madre arcigna
col figlio: una scimmia, un coccodrillo. Che sembra inerte, ma poi spalanca le
fauci, e a varia riprese inghiotte l’impiegato col biglietto. Un disastro? Sì
e no: il malcapitato in attesa di digestione nella pancia del coccodrillo
attira una folla enorme di curiosi, gli affari marciano benissimo per i
tedeschi, e l’impiegatuccio si ritrova protagonista, un teorico, professorale:
dal ventre della bestia si mette a esaltare
i fasti del liberismo, proponendosi come un nuovo Fourier, l’utopista. Mentre
gli animalisti minacciano rivolte contro chi vorrebbe “fustigare” l’animale,
come è stato richeisto dall’amico nella prima concitazione – che però, a quanto
pare, in russo può significare anche “sbudellare”. E la mglie, belloccia, è più
libera di consolarsi.
Il secondo di due raconti, che ridicolizzano la
svendita della Russia - come Dostoevskij fa contemporaneamente negli scritti
giornalistici degli stessi anni: “Una brutta storia”, 1862, e questo “Il
coccodrillo”, 1665. Coevi di “Umiliati e offesi”, 1861, e “Memorie del sottosuolo”,
1864.
Finita la brillante lettura viene da chiedersi:
è una critica “di destra” al liberismo, come l’avrebbe fatta un secolo dopo Solženicyn? Il “principio
economico” che l’inghiottito predica è il capitale libero. Poiché la Russia non
ha i capitali, bisogna portarli dall’estero, invogliando i capitalisti
stranieri. Come? Vendendo loro quello che vogliono. E la rivoluzione dentro
“un carcere”, la pancia del coccodrillo? “Gli uomini selvaggi amano
l’indipendenza, gli uomini saggi amano l’ordine”.
Ma la critica è ambivalente, e più radicale: è
un liberismo che sconfina nel nichilismo – il liberalismo più conseguente è
anarchico.
Serena Vitale rifà la traduzione, peraltro brillante,
di Cristina Moroni per l’edizione Oscar dei “Racconti” di Dostoevskji, curata
da Giovanna Spendel.
Fëdor
Dostoevskij, Il coccodrillo, Adelphi, pp. 97 € 12
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