“La tragedia della vita è non che le cose belle muoiono presto, ma che diventano vecchie e immiserite”. Dopo un romanzo di bevute, e di passione – oltre ai morti, è pure un giallo.
Il più lungo, alla vista
perfino prolisso, presentandosi in 53 capitoli, dei grandi racconti di Chandler
e forse il più appassionante. Non il giallo svelto, da risolvere, ma un dramma
di caratteri. Partendo dall’alcol, che negli anni del romanzo, i 1950, bruciava
molta letteratura in America, dramma, poesia, narrativa, anche delle donne. E
anche autobiografico, nell’amore che invecchia, nel personaggio dello scrittore Roger Wade,
forte bevitore, in crisi creativa.
L’intreccio si muove tra
mille accadimenti, anche morti naturalmente, che Marlowe deve decifrare. Nel
dolore per un amore, o ideale di bellezza, che c’è e non c’è. Lungo,
complicato, e tuttavia scorrevole. Di un autore di
cui Adelphi fa la riedizione, dopo la prima scoperta, di Oreste Del Buono e
Attilio Veraldi cinquantanni fa, e la
ripresa di Laura Grimaldi venticinque anni fa – nel mezzo alcuni tentatitvi di
Roberto Pirani. Di cui è stato detto : “Chandler scriveva come se il dolore si
sentisse davvero e come se la vita avesse davvero un senso”. Uno scrittore, non
un giallista. Che il genere giallo ha portato al livello mainstream, letterario - più e meglio di Hammett, altro forte bevitore. in parte
sopravvalutato per la biografia: agente Pinkerton dapprima, antisindacalista,
poi comunista, perseguitato dal governo, anche col carcere, “portato”, in vita
e postumo, dalla moglie Lilian Hellman, la commediografa. Qui pratica sornione,
al cap. 328, lo stream of consciousness,
rimproverandoselo: “Tre aggettivi, schiappa di scrittore. Non sai nemmeno il
flusso di coscienza schiappa di scrittore senza limitarlo a tre aggettivi,
perdio?” Detto allo scrittore pseudonimo.
Chandler, molto “inglese”,
molto “polite”, nella forma verbale e
in quella sentimentale, è però nero al fondo, e sa essere rapido. Al cap. 28
usa tutte le parole della pornografia per descrivere una scena pulitissima, e
tuttavia “sessualizzata”, voyeuristicamente. “La legge non è la giustizia”,
spiega l’avvocato a Marlowe in carcere: “È un meccanismo, molto imperfetto Se
premi esattamente i bottoni giusti e sei anche fortunato, la giustizia può fare
capolino nella risposta”. Il signor Spencer, il cliente di Marlowe, ride
spesso, e per questo risulta simpatico: “Il suo riso e la sua voce erano
entrambi piacevoli. Parlava al modo che i newyorchesi usavano prima che
imparassero a parlare Flatbush” – dal vecchio quartiere di Brooklyn. O
l’indolenza dei ricchi, derivata dall’inappetenza:” C’è sempre qualcosa da fare
se non devi lavorare o stare attento ai conti. Non è un grande divertimento ma
i ricchi non lo sanno. Non ne hanno mai avuto uno. Non vogliono niente
assolutamente, se non forse la moglie altrui, e quello è un desiderio molto
pallido in confronto a come la moglie dell’idraulico vuole tende nuove per il
salotto”. Col fascino già del telefono, della chiamata che non arriva,
dell’apparizione da remoto - certo, non l’adorazione di oggi, ma l’attesa c’era
già.
Raymond Chandler, Il
lungo addio, Adelphi, pp. 437 € 24
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