astolfo
Padre Coughlin – Il
più acceso antisemita americano, dopo Lindbergh, l’aviatore – e dopo Ford, l’industriale
delle macchine? Sicuramente il più popolare - a lungo dimenticato, ora esumato da James Ellroy e Joshua Cohen nei loro ultimi romanzi: individuò e utilizzò per primo la radio
come veicolo propagandistico. Le sue trasmissioni settimanali negli anni 1930
si stimava avessero un seguito di trenta milioni di ascoltatori. A lungo ebbe (subì)
anche un numero impressionante di corrispondenti: si stimava che cica 80 mila
americani ogni settimana gli scrivessero.
Era un sacerdote cattolico, con incarichi anche pastorali. Ma molto
preso dalla politica. Di stampo fine Ottocento, anche se vivrà a lungo, fino al
1979, morendo di 88 anni. Inizialmente sostenitore di Franklin D. Roosevelt e
del New Deal, ne divenne presto critico, giudicandolo troppo condiscendente con
le banche. Che per lui erano il demonio, divinità del denaro. Anche perché le identificava
con la “finanza ebraica”, cui attribuiva tutti i peccati, e soprattutto le
guerre e il comunismo.
I banchieri ebrei, la finanza ebraica, un complotto ebraico che trama
le guerre, anche quella di Hitler, anche quella del Giappone contro gli Stati
Uniti, erano il suo nemico e l’obiettivo ricorrente della sua rubrica
radiofonica. L’anticapitalismo presto estese all’antisemitismo di ogni tipo. E
al sostegno dichiarato a Mussolini, e a Hitler.
In contrasto pubblico con molti vescovi americani, ma sostenuto in privato da altri, non fu mai sanzionato dalla chiesa. Perdette invece l’uso della radio nel 1939, un mese dopo l’invasione tedesca della Polonia, quando in America furono imposte restrizioni alla libertà di parola in materia di “questioni pubbliche controverse”. Era però, malgrado l’antisemitismo radicale e la capacità oratoria, persona schiva e tranquilla, e si ritirò a fare il parroco. Fino alla pensione, nel 1966. Ma sempre scrivendo contro gli ebrei: lasciò vari opuscoli in cui gli ebrei non fomentavano più la guerra, ma il comunismo.
Pomerania – È il cuore della Germania, che adesso non è più
Germania (così come la Slesia, altro nucleo storico della Germania), salvo la
piccola parte del Land Meclemburgo-Pomerania Anteriore, nel Nord-Est. In
massima parte è annesso dalla Polonia. Una piccola parte è anche svedese, dal
trattato di Stettino del 1630, nel corso della guerra dei Trent’anni.
Era uno dei nuclei originari della
Germania, attorno al Baltico. Abitato da tribù tedesche e slave, Veleti,
Obodriti e Casciubi. Attorno alle città di Danzica e Stettino. Il ducato di Stettino
fu parte del Sacro Romano Impero, dal dodicesimo secolo fino al diciassettesimo,
sotto i duchi Greifen (del grifone, registrato
nel 1190 nel sigillo del duca di Pomerania Casimiro I). Poi fu prussiano, fino
alla Grande Guerra.
Il ducato pomerano di Danzica fu annesso dall’Ordine Teutonico nel Trecento, che se ne era appropriato con le Crociate del Nord nel corso del Duecento, per la conquista e la cristianizzazione delle tribù baltiche. I Cavalieri Teutoni favorirono anche una vasta immigrazione di contadini tedeschi. Ma ai primi del Quattrocento vennero in contatto e allo scontro con i cristiani russi, ortodossi, a Pskov e Novgorod (la “battaglia del lago ghiacciato” è raffigurata da Eizenstejn nel film “Aleksandr Nevsky”), e con una diversa organizzazione dei polacco-lituani, che sotto al guida di Ladislao II Jagellone li sconfissero a Tannenberg, 1410. Fino a metà Seicento, al secondo trattato di Stettino, 1653, quando la Pomerania se la spartirono la Svezia (in minima parte) e la Prussia, l’ex ducato di Danzica fu polacco.
Paul Robeson - Il romanziere James
Ellroy inscena in “Perfidia” un’esibizione di Robeson col suo classico “Old’
Mar River” a una manifestazione anti-patriottica del partito Comunista di Los
Angeles l’8 dicembre 1941, dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbour. Poi “con
l’arietta da operario ‘Joe Hill’”. Infine “con l’’Otello’ di Verdi, adesso era
il Moro di Venezia”. Ma lo dice “il troubadour
dei lavoratori nonché alunno di Princeton” – concetto che ribadisce poi: “Un negro
uscito da Princeton magnificava la lotta di classe”. No, Robeson veniva da
Princeton, dove era nato, da un ex schiavo “fuggiasco” diventato nella
cittadina pastore presbiteriano, di una chiesa per afroamericani, e da Maria Louisa Bustill, di Filadelfia,
quacchera, di ascendenza Ibo (nigeriana) e anglo-americana, dai tratti molto
“caucasici”, come allora si diceva. Aveva studiato dapprima alla Rutgers, l’università
statale del New Jersey, dove , per l’eccellenza negli sport, ebbe una “chiave”
Phi Beta Kappa (riconoscimento di eccellenza), e poi in un’università
prestigiosa, ma era la Columbia, di New York – che peraltro si riteneva più
rispettabile e di miglior livello che Princeton, anche se a Princeton insegnava
all’epoca Einstein. Alla Columbia Robeson si era laureato in Legge.
L’ “americano più conosciuto al mondo
negli anni 1930 e 1940”, un afroamericano di 1,91 di altezza, basso-baritono da
concerto, molto presente negli Stati Uniti e in Inghilterra, attore di teatro a
New York, nella Harlem Renaissance, primi anni 1920 (“The Emperor Jones”, “All
God’s Chillun got Wings”) e a Londra (“Voodoo”, e due stagioni di “Emperor
Jones”), e di cinema (“Show Boat”, “Sanders in the River”). Già giocatore
professionale di football – alla Columbia si pagò gli studi come giocatore di
football, anche al massino livello, la National Football League. L’“Otello” di
Verdi mise in scena e interpretò in tre stagioni differenti, di cui la prima a
Londra.
Molto noto fu anche Robeson per le sue
prese di posizione politiche, radicali nello spettro americano. Dapprima a Londra, col sostegno ai
disoccupati della Grande Recessione e agli studenti “antimperialisti”. Poi, sempre
da Londra, col sostegno ai repubblicani nella guerra civile di Spagna. Negli
Stati Uniti col sostengo al Council on African Affairs (Caa), o International
Committee on African Affairs (Icaa), un’organizzazione anti-coloniale e
panafricanista. Di cui fu sempre il presidente – l’eminente intellettuale W. E.
B. Du Bois, il primo afroamericano ad addottorarsi, a Berlino e Harvard, negli
anni 1890, uno dei fondatori della Naacp, l’ancora influente National
Association for the Advancement of Coloured People, ne era il vice.
Finita la guerra, ma già nel 1944, Robeson entrò nel mirino dell’Fbi per le simpatie verso l’Unione Sovietica. Prima della guerra aveva anche partecipato ad alcune manifestazioni di “compagi di strada” (raccolte fondi, festival, aiuti umanitari) organizzate da Willi Müntzenberg, il geniale dirigente delle attività di propaganda del Comintern, l’organizzazione internazionale di Mosca. Fu indagato ufficialmente negli anni di McCarthy, primi 1950, ma non incriminato. Avendo però rifiutato di misconoscere i suoi orientamenti politici, nel 1950 era stato privato del passaporto. Ritornò a Harlem, e vi editò un periodico, “Freedom”. Nel 1958 riebbe il passaporto, a seguito della causa vinta presso la Corte Suprema da un Rockwell Kent, privato del passaporto perché comunista professo, contro John Foster Dulles, segretario di Stato – Foster Dulles, il segretario di Stato delle due presidenze Eisenhower, 1952-1959, era stato nei tardi anni 1930, rappresentante a Berlino di un grande studio legale americano, fervente sostenitore di Hitler.
Stupro di Nanchino –
Detto anche “massacro di Nanchino”, la vecchia capitale cinese fino all’avvento
di Mao (la costituzione di Taiwan la considera tuttora la capitale della Cina),
è stato è resta un sorta di “Olocausto” cinese, il fatto divisivo più di ogni
altro tra Cina e Giappone, non ricucito nemmeno nel recente riavvicinamento
produttivo, nel quadro dell’economia globale. Avvenne nell’invasione giapponese
della Cina nel 1937. Avvicinandosi le truppe giapponesi alla capitale, il
presidente generale Chiang Kai-schek la ritenne non difendibile, e immaginava, ritirandosene, di lasciarla “città aperta”,
non da assaltare. Ma il contrario avvenne: i giapponesi, entrati senza
resistenza nella città smobilizzata, si ritennero liberi di ogni sorta di
violenza. Per sei settimane, tra dicembre 1937 e gennaio 1938, si abbandonarono
a stupri ripetuti di ogni donna, e assassinii dei cinesi in cui s’imbattevano
di ogni età e condizione. Praticarono
soprattutto le decapitazioni – si disse anche di neonati.
Le stime delle vittime del “massacro” o “stupro” variano, da 300 mila a poche centinaia, secondo alcuni storici giapponesi revisionisti – ma il governo giapponese ha riconosciuto ufficialmente che strage ci fu. Documenti americani resi pubblici di recente hanno portato il calcolo delle vittime a mezzo milione, mettendo in conto anche i morti in città e fuori prima della sua resa. Al processo di Tokyo nl 1948, una sorta di tribunale di guerra o di Norimberga, che giudicava la guerra nippo-cinese e la guerra mondiale, il comandante militare giapponese a Nanchino, generale Iwane Matsui, fu condannato a morte e giustiziato. Il generale protesse al processo il ruolo avuto dal principe Yasuhio Asaka, che sarebbe stato invece l’animatore dell’eccidio. Asaka non venne giudicato anche per gli impegni presi dal generale Mac Arthur, plenipotenziario americano, direttamente con l’imperatore, di tenere fuori dal processo la famiglia reale. Asaka era zio per matrimonio dell’imperatore Hirohito, suo minore di quattordici anni. Vivrà ancora a lungo, fino al 1981, di 94 anni.
astolfo@antiit.eu
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