Il senso della lingua di Camilleri
Una “ripresa”
importante, anche per non addict di Camilleri. Il titolo è alta
filosofia – Merleau-Ponty, “Senso e non senso”: “…. Il corso delle cose è
sinuoso…”. Lo svolgimento è di Camilleri apprendista, di se stesso. E non è granché,
va detto sbito.
Il primo romanzo,
che lui data aprile 1967-dicembre 1968, vent’anni o più prima di Montalbano. Passato
per diversi grandi autori e editori, Dante Troisi, Niccolò Gallo, Nino Palumbo,
Franco Scaglia, Sergio Amidei, a nessun effetto. Finché non se ne fece uno
sceneggiato Rai in tre puntate, “La mano sugli occhi”, regista Pino Passalacqua,
e l’editore a pagamento Lalli consentì a pubblicarlo a condizione di figurare
come editore nei titoli di coda. E siamo a settembre 1978. Pubblicato senza
nessuna eco.
Il romanzo è stato
recuperato dopo “Il birraio di Preston”, che fu un successo. Ma non siamo
ancora a Montalbano. C’è un maresciallo dei Carabinieri, Corbo, ma non ne è la
copia. Altri ingredienti già ci sono. L’incubo. Il circolo dei notabili – calco che sarà poi costante in Camilleri dell’impareggiabile
primo fortunato Sciascia, “Le parrocchie di Regalpetra”: l’avvocato,
il dottore, l’ingegnere, il ragioniere, i discettatori, a tempo perso. C’è una
prima geografia di luoghi per qualche verso riconoscibili. Ma non c’è la squadra
dei soliti noti, Mimì, Fazio, Catarella, Adelina, il dottor Pasquano, che fa
correre la narrazione. E non c’è neanche il gusto semplice, e ardito, del plot:
molte divagazioni non si seguono, oltre che rallentare la lettura.
Quello che è importante
del libro è la nota finale. In cui Camilleri spiega la formazione del suo
linguaggio. Come una sua lingua interna, pensata sintatticamente in italiano ma
parlata con i ritmi e i suoni suoi personali, della lingua in cui era nato e
cresciuto, storpiata semmai dalla lontananza e dalla discontinua frequenza.
Un primo romanzo
dedicato all’amato e rispettato padre.
Andrea Camilleri, Il
corso delle cose, “la Repubblica”, pp. 143 € 8,90
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