La trama e il film sono semplici: un uomo vittima di ictus chiede alla figlia amorevole di farlo morire. Segue l’inevitabile sconcerto della figlia, delle figlie, l’uomo ha due figlie, della cugina che vive a New York, dell’ultimo amante – l’uomo è omosessuale, lo è sempre stato, anche quando si sposava. E poi la prassi d’uso: il notaio, l’avvocato, vari medici, la Svizzera, la polizia, il giudice. Ma con un punto interrogativo.
Il film è molto
ozoniano, di vita quotidiana, semplice, vissuta. E naturalmente, si pensa, un
manifesto per la morte volontaria, come è d’uso – un film contro non sarebbe
stato prodotto. Ma, sempre ozonianamente (Ozon ha scritto soggetto e
sceneggiatura, oltre che dirigere le riprese e fare il montaggio), il padre è
un egoista tirannico, con le figlie e con i partner (con la moglie sempre, che ha ridotto a una larva, come
ora con l’ultimo amante), solo interessato alle opere d’arte che traffica, forse
con qualche sospetto di bancarotta. Ed è ebreo. Il messaggio non è edificante –
tanto più per essere, nella sua semplicità, coinvolgente: non per la retorica omosessuale, non per quella ebraica.
François Ozon, È
andato tutto bene
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