Venticinque anni
fa l’ex consigliere per la sicurezza del presidente Carter anticipava la guerra
dell’Ucraina. In un lungo, 404 pagine, e denso saggio, tradotto per Longanesi
da Mario Baccianini, spiegava, come da sottotitolo, “Il mondo e la politica
nell’era della supremazia americana”. Il “mondo” era allora, 1997,
essenzialmente la Russia, con la Cina in subordine, e Brzezisnki vedeva tre
possibili assetti futuri, “nell’arco di una generazione” - cioè a oggi, preciso
all’anno e al mese, se una generazione prende venticinque anni. E la più
probabile, quella che lui auspicava, era l’abbattimento definitivo della
tradizione imperiale russa con la cooptazione dell’Ucraina nella Nato e nella
Unione Europea. La Russia, spiegava, ha “un interesse vitale” all’Ucraina, che
deve essere bloccato. E dice anche come. In Europa legando Kiev alla Ue e alla
Nato. In Asia centrale con la islamizzazione, una forte presenza turca, e una
rete di gasdotti verso la grande consumatrice Europa. In Asia orientale col
rafforzamento strategico del Giappone – in un’ottica di “convergenza
strategica” con la Cina.
Tutte cose che si
sono fatte, eccetto la “convergenza strategica” del Giappone con la Cina. Era
questo anche, nell’ottica di Brzezisnki, l’esito che meglio avrebbe sostenuto
la supremazia americana. Sull’Ucraina era stato ancora più chiaro nel 1993, nel
corso di una polemica contro la proposta della Partnership for Peace, di cui si
discuteva per l’Europa dopo la caduta del Muro: “La crescente propensione degli
Stati Uniti ad assegnare un’alta priorità ai rapporti con questo paese e ad
aiutarlo a difendere la sua nuova indipendenza viene vista da molti a Mosca,
filo-occidentali compresi, come una politica contraria agli interessi vitali della
Russia, che mira a reintegrare col tempo l’Ucraina nel suo campo: un obiettivo
che rimane ancora un articolo di fede per molti esponenti dell’élite politica
russa”.
Lo scienziato
politico ex consigliere di Carter si muove nel quadro della geopolitica di
Halford Mackinder, il geografo e politico inglese che nei primi anni del
Novecento individuava il centro del potere mondiale nello heartland
euroasiatico – “The Geographical
Pivot of History”.
Per la Russia le
opzioni post-sovietiche erano tre, argomentava Brzezinski: la cooperazione con
“i paesi vicini”, un progetto euroasiatico con le altre semi-potenze dell’area,
Iran e Cina (la Cina allora non era considerata una potenza), l’avvicinamento
all’Europa. La prima ipotesi, una riedizione dell’Unione Sovietica, Brzezinski
vedeva già di scarso interesse economico e preclusa dai nazionalismi. Della
terza opzione considerava poco plausibili una “collusione russo-tedesca” o
“un’intesa franco-russa”. La vedeva invece eccellente e realizzabile sotto
forma di adesione della Russia all’Unione Europea, ma dopo la perdita
dell’Ucraina: in un primo momento l’Ucraina acquista status pieno, economico e
politico, di indipendenza nella Ue, e solo dopo la Russia potrà avvicinarsi.
Di rilievo anche
la subordinata Russia con Cina e Iran: seppure considerata non decisiva, prende
molte parole di Brzezinski. Questa ipotesi lo studioso considerava improbabile.
Ma possibile, e minacciosa, se per un caso di “miopia”, scrive, gli Stati Uniti
si fossero avventurati congiuntamente contro la Cina e contro l’Iran. Di questa
coalizione, Russia-Cina-Iran, fa l’unico scenario pericoloso – tanto più se a
guida cinese. Avvertendo: “Al fine di scongiurare tale eventualità gli Stati
Uniti dovranno dare prova di tutta la loro abilità geostrategica,
contemporaneamente sui perimetri occidentale, orientale e meridionale
dell’Eurasia”.
In sintesi gli
Stati Uniti devono: 1) mantenere salda l’alleanza atlantica con l’Europa,
allargata a includere l’Ucraina; 2) lavorare al contempo per consentire alla
Russia non più imperiale, senza l’Ucraina, un avvicinamento alla Ue e quindi
all’asse atlantico; 3) evitare che il “pivot geografico della storia” passi a
un’allenza Russia-Cina-Iran.
Successivamente,
dopo la crisi di Crimea e l’annessione russa, Brzezinski si pronuncerà per la
“finlandizzazione” dell’Ucraina. Aderendo in pratica all’argomento
post-sovietico di Kissinger, che ha sempre sostenuto l’esigenza di legare la
Russia all’Occidente, sulla base del riconoscimento dei suoi interessi di
potenza. Per capire meglio l’assunto dell’ex consigliere del presidente Carter
va ricordato che Kissinger e Brzesinki sono stati sempre in urto, sin dai primi
anni 1970, quando l’ex segretario di Stato di Nixon e Ford ebbe i primi
incarichi politici e propose il multilateralismo come strategia, una bilancia
dei poteri mondiali, piuttosto che l’“eccezionalismo” americano o “democratico
- imperiale, solitario.
A metà 2016, in un
“Epilogo” aggiunto alla riedizione “aggiornata” in tascabile della “Grande
scacchiera”, Brzezisnki ribaltava la sua proposta iniziale – memore della sua
preoccupazione per un eventuale asse Russia-Iran-Cina? “Di fronte a una
struttura globale in evoluzione”, scriveva, a seguito dell’emergere della
potenza cinese, “l’America deve lavorare ad attirare la Russia in un Occidente
allargato e simultaneamente perseguire una visione geopolitica di lungo termine
che includa cooperazione tra Stati Uniti, Cina e Russia”. Ma i presidenti non
lo ascoltavano più, Trump, Biden.
Zbigniew Brzezinski. La grande scacchiera
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