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La morte della madre
La madre muore,
Annie, l’ex marito e i due figli vanno al funerale, Annie racconta gli ultimi
momenti, all’inizio e alla fine, e nel mezzo tenta un ritratto, l’ennesimo ma senza
più irritazione, della madre. Una realtà che le sfugge: “Per me, mia madre non
ha storia”, il luogo è inospitale, “Yvetot è una città fredda”, i ricordi confusi.
Una vita dunque senza storia, se non è raccontata.
“Questa non è una
biografia, né un romanzo naturalmente, forse qualcosa tra la letteratura, la
sociologia e la storia”, è la conclusione. Ma più forse tra la letteratura e la
psicologia, la psicoanalisi (che non si fa) del rapporto madre-figlia: “Di
nuovo, ci rivolgevamo la parola su quel tono particolare, fatto di fastidio e
di irritazione perpetua, che faceva sempre credere, a torto, che litigavamo e
che riconoscerei, tra una madre e una figlia, in qualsiasi lingua”. Ancora un
corpo a corpo con la madre. L’ultimo, e quindi caritatevole – pensando naturalmente
a se stessa, nell’inevitabile corso del tempo. Alla fine, ancora qualche pensiero
cocente: “Ho fatto tutto perché mia figlia fosse felice e lei per questo non ha
potuto esserlo di più”.
Una elaborazione del
lutto, operazione comune. Operazione semplice e liberatoria, ripercorrendo
momenti e impressioni della persona che non c’è più. Oppure no, dolorosa e forse
inestinguibile - per es. per Roland Barthes, maestro di scrittura: è quando ci
si proietta nell’altro, non ci se ne è mai staccati. Ernaux è molto diversa
dalla madre, se ne è staccata già da bambina, sa oggettivare il rapporto madre-figlia
– poco frequentato dai freudiani benché invasivo, costitutivo si direbbe, della
maternità. Aiutata, nel caso personale, dalla saggezza (sapienza) della
narratrice.
Tra le prime prove
di un genere che poi dilagherà, il ritratto della madre senza più memoria.
Dell’Alzheimer che la riduce, nei momenti buoni, e nelle difficoltà materiali,
fisiche, fisiologiche, allo stato infantile, di madre figlia della figlia. Con
effetti negativi, sulla concentrazione, la memoria, l’abilità, il senso della
realtà, anche dell’accudente, se legato da affetto, come ad Annie è successo.
Una delle prime tappe nel percorso che confluirà in “Gli anni”, 2008, del progetto “Scrivere la vita”. “Scrivere la vita” è il titolo
d’insieme che la scrittrice ha voluto dare al Quarto Gallimard, la “Pléiade dei
poveri”, a prezzo cioè accessibile come un tascabile, che l’editore le consacrava
già nel 2011 - una raccolta preceduta da una lunga autobiografia per immagini,
commentata dall’autrice: “Scrivere la vita. Non la mia vita, né la sua, neppure
una vita. La vita, con i suoi contenuti che sono gli stessi per tutti ma che si
provano in modo individuale: il corpo, l’educazione, l’appartenenza e la condizione
sessuali, la traiettoria sociale, l’esistenza degli altri, la malattia, il
lutto. Non ho cercato di scrivermi, di fare opera della mia vita: mi sono servita
di essa, degli avvenimenti, generi altrimenti ordinari…….. per cogliere e
portare alla luce qualcosa dell’ordine di una verità sensibile”.
Annie Ernaux, Una
donna, L’Orma pp. 99 € 15
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