Una specie di film-verità: un ritratto dal vero della vita in un grand immeuble di edilizia popolare, un Corviale infetto di occupanti abusivi, condomini che non pagano le quote, amministratori inetti e ladri, speculatori del letto per immigrato “invisibile” (senza documenti) a caro prezzo, perdite d’acqua, luce rubata, immigrati che speculano sulla condizione di immigrati, specie i “minori”, supposti. E una sindaca bionda che vuole risanare, ripartire, ridare una opportunità a tutti, anche a costo di rinunciare alla carriera politica. Aiutata dal suo capo di gabinetto.
Un film che è
stato apprezzato a Venezia ma forse non compreso, giacché è presentato come un
apologo contro il potere, sulle malefatte del potere. E lo è, ma in forme
diverse da quelle scontate: è un potere che guarda ai cittadini, si conforma a
essi. Di più, però, è un film su una società in disgregazione, con pochi punti
di resistenza, quale nel racconto è la sindaca, determinata malgrado le tante
avversità.
Un film che il
politicamente corretto sottintende come ipocrisia, a fronte delle realtà. Della
violenza dei poveri e della corruzione. E, nella distribuzione dei ruoli come
nelle scene e nei dialoghi, degli oneri della misgenation, sociale e nazionale.
Mostra la violenza dal basso, minima ma costante, che stride con la società dei
diritti che pure vorrebbe proteggerla, ed è rischiosa, per la vita comune, e
per i diritti stessi. Non uno sguardo razzista, l’eroe, il capo di gabinetto, è
figlio di magrebini, marocchino. Ma gli abusi di ogni genere con cui deve
confrontarsi per salvarli sono di immigrati – il collettore di affitti agli
africani sans papiers si chiama Esposito.
Thomas Kruithof, La
Promessa – Il prezzo del potere, Sky Cinema Due
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