Merita attenzione questo secondo volume della storia illustrata del fascismo, raccontata da Gentile distesamente, perché spiega lo squadrismo, la forza d’urto di Mussolini, come una reazione, al “biennio rosso”, alla violenza politica diffusa. Non tanto reazionaria quanto identitaria, si direbbe oggi, o nazionalista ma non nel senso dell’agressione all’esterno quanto della difesa del Paese, quale che questo “paese” fosse. In una certa forma, che poi sarà “fascista”, cioè assolutista, totalitaria, e imperialista. Ma non in questa fase.
L’esito
sarà quello che si sa. “La prima spedizione squadrista in Toscana fu fatta a
Montespertoli dai fascisti fiorentini per imporre ai comunisti , che avevano
conquistato il comune, di «inalberare anziché il cencio rosso, la gloriosa
bandiera tricolore»”. Sei fascisti andarono a Montespertoli, la sera “nel caffè
principale” litigarono con alcuni avventori, e di notte sostituirono il
tricolore sulla torre del comune alla bandiera rossa. “«Credo – narrò uno dei
protagonisti dell’impresa – che in quell’ascesa vi fosse il germe della
redenzione, di poi avvenuta, di
Montespertoli»”. Oggi cresciuta demograficamente, e ancora di più economicamente, che però ancora negli anni 1970, forse anche 1980, si presentava come un
borgo abbandonato, soprattutto le molte chiese, con le galline che razzolavano
tra le mura dirute.
Quanto
alle bandiere, invece, nota lo storico, “l’uso simbolico della politica fu un
aspetto importante della guerra squadrista” – guerra è la parola giusta: “I
fascisti erano consapevoli dell’importanza dei simboli nella politica di massa,
che avevano appreso dalla propaganda della Gande Guerra e dallo stile politico
di D’Annunzio”. Anche i socialisti, va aggiunto, ne erano consapevoli e ne
facevano uso, ma in senso escludente, da fortezza assediata, e non espansivo.
La
mobilitazione, la demonizzazione del nemico, era anche più facile per gli
squadristi? “Il nemico interno”, spiega Gentile, “senza patria, senza ideali,
senza umanità, era posseduto da una diabolica volontà di distruzione” – “lo
stesso inno dei socialisti Internazionale
suonava come una dimostrazione che le masse socialiste erano senza patria e
senza umanità: «Ma quanto è triste questo canto, questa martellante monotonia
sembra evocare pianure sconfinate, deserti, popoli lontani…»”, poteva
commentare M. Piazzesi, “Diario di uno squadrista toscano” (Mario Piazzesi,
allora diciottenne, della squadra d’azione La Disperata di Firenze, insieme con
altri ventenni, poi federale dell’Apuania – Massa e Carrara – e quindi emigrato
e morto in Messico).
La
violenza invece era già in atto. Gentile cita Gobetti, “Uomini e idee”, in “La
Rivoluzione Liberale”2, 28 maggio 1922”, a cose già quasi fatte: “Non si può
rimproverare ai fascisti l’uso della violenza se non si vuole ricadere nelle
aberrazioni di idillio e di astrattismo degli utopisti e dei democratici. Ma
dopo Marx, Sorel, Treitschke e Pareto quale può dirsi in sede ideale la novità
di questa che si proclama essenza della teoria fascista?” E commenta: “Nucleo
della cultura di guerra degli squadristi fu il culto della violenza, che aveva
radici nella cultura politica italiana prima della guerra stessa… Nessun novità
vi era nella teoria fascista della violenza: infatti, quando esplose la guerra
squadrista, la violenza era già penetrata da tempo nella cultura politica
italiana, esaltata nella teoria e nella pratica”.
Imputare
il fascismo al socialismo non si può, e di questo non si tratta. Ma imputare al
partito Socialista – divenuto massimalista col contributo determinante di
Mussolini, pima della guerra… - la sconfitta politica, questo è vero, e va
ricordato. In piccolo, si spiega anche così il deciso spostamento a destra dell’elettorato
negli ultimi quarant’anni, prima verso Berlusconi poi verso Grillo (il Grillo
vero, non il grillismo tattico di Conte), e ora verso Meloni, dopo il
terrorismo, armato e giudiziario, la “gioiosa macchina da guerra” del partito
della sconfitta epocale, la ferocia dei media opportunisti, e la pratica
inutile e prevaricante di “occupazioni” e “manifestazioni” in continuo, la
vecchia goliardia giovanile elevata a pratica di capetti in carriera.
Emilio Gentile, Storia del fascismo – 2.La milizia della
nazione. “la Repubblica”, pp. 160, ill. € 14,90
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