giovedì 3 novembre 2022

Lo squadrismo come reazione alla violenza

Merita attenzione questo secondo volume della storia illustrata del fascismo, raccontata da Gentile distesamente, perché spiega lo squadrismo, la forza d’urto di Mussolini, come una reazione, al “biennio rosso”, alla violenza politica diffusa. Non tanto reazionaria quanto identitaria, si direbbe oggi, o nazionalista ma non nel senso dell’agressione all’esterno quanto della difesa del Paese, quale che questo “paese” fosse. In una certa forma, che poi sarà “fascista”, cioè assolutista, totalitaria, e imperialista. Ma non in questa fase. 

L’esito sarà quello che si sa. “La prima spedizione squadrista in Toscana fu fatta a Montespertoli dai fascisti fiorentini per imporre ai comunisti , che avevano conquistato il comune, di «inalberare anziché il cencio rosso, la gloriosa bandiera tricolore»”. Sei fascisti andarono a Montespertoli, la sera “nel caffè principale” litigarono con alcuni avventori, e di notte sostituirono il tricolore sulla torre del comune alla bandiera rossa. “«Credo – narrò uno dei protagonisti dell’impresa – che in quell’ascesa vi fosse il germe della redenzione, di poi  avvenuta, di Montespertoli»”. Oggi cresciuta demograficamente, e ancora di più economicamente, che però ancora negli anni 1970, forse anche 1980, si presentava come un borgo abbandonato, soprattutto le molte chiese, con le galline che razzolavano tra le mura dirute.

Quanto alle bandiere, invece, nota lo storico, “l’uso simbolico della politica fu un aspetto importante della guerra squadrista” – guerra è la parola giusta: “I fascisti erano consapevoli dell’importanza dei simboli nella politica di massa, che avevano appreso dalla propaganda della Gande Guerra e dallo stile politico di D’Annunzio”. Anche i socialisti, va aggiunto, ne erano consapevoli e ne facevano uso, ma in senso escludente, da fortezza assediata, e non espansivo.

La mobilitazione, la demonizzazione del nemico, era anche più facile per gli squadristi? “Il nemico interno”, spiega Gentile, “senza patria, senza ideali, senza umanità, era posseduto da una diabolica volontà di distruzione” – “lo stesso inno dei socialisti Internazionale suonava come una dimostrazione che le masse socialiste erano senza patria e senza umanità: «Ma quanto è triste questo canto, questa martellante monotonia sembra evocare pianure sconfinate, deserti, popoli lontani…»”, poteva commentare M. Piazzesi, “Diario di uno squadrista toscano” (Mario Piazzesi, allora diciottenne, della squadra d’azione La Disperata di Firenze, insieme con altri ventenni, poi federale dell’Apuania – Massa e Carrara – e quindi emigrato e morto in Messico).

La violenza invece era già in atto. Gentile cita Gobetti, “Uomini e idee”, in “La Rivoluzione Liberale”2, 28 maggio 1922”, a cose già quasi fatte: “Non si può rimproverare ai fascisti l’uso della violenza se non si vuole ricadere nelle aberrazioni di idillio e di astrattismo degli utopisti e dei democratici. Ma dopo Marx, Sorel, Treitschke e Pareto quale può dirsi in sede ideale la novità di questa che si proclama essenza della teoria fascista?” E commenta: “Nucleo della cultura di guerra degli squadristi fu il culto della violenza, che aveva radici nella cultura politica italiana prima della guerra stessa… Nessun novità vi era nella teoria fascista della violenza: infatti, quando esplose la guerra squadrista, la violenza era già penetrata da tempo nella cultura politica italiana, esaltata nella teoria e nella pratica”.

Imputare il fascismo al socialismo non si può, e di questo non si tratta. Ma imputare al partito Socialista – divenuto massimalista col contributo determinante di Mussolini, pima della guerra… - la sconfitta politica, questo è vero, e va ricordato. In piccolo, si spiega anche così il deciso spostamento a destra dell’elettorato negli ultimi quarant’anni, prima verso Berlusconi poi verso Grillo (il Grillo vero, non il grillismo tattico di Conte), e ora verso Meloni, dopo il terrorismo, armato e giudiziario, la “gioiosa macchina da guerra” del partito della sconfitta epocale, la ferocia dei media opportunisti, e la pratica inutile e prevaricante di “occupazioni” e “manifestazioni” in continuo, la vecchia goliardia giovanile elevata a pratica di capetti in carriera.

Emilio Gentile, Storia del fascismo – 2.La milizia della nazione. “la Repubblica”, pp. 160, ill. € 14,90

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