Un racconto tra il sociale e il letterario. Ingredienti nella giusta misura, per un thriller psicologico, più che di azione, che scorre attraente. Il secondo romanzo di Chandler, avviato a quarant’anni alla scrittura, avendo fallito altre esperienze. Dopo il successo de “Il grande sonno” e del suo protagonista Philip Marlowe, investigatore solitario, alcolizzato, e onesto.
Un po’ più debole nei caratteri del
romanzo di esordio, ma più thrilling (l’inverosimiglianza si dimentica) e
con molta attualità – il romanzo è del 1940. C’è anche un richiamo al Mussolini
di Ludwig: “Una scrivania di legno scuro era posta in fondo alla sala come
quella di Mussolini, in modo che si dovesse attraversare per raggiungerla una
distesa di tetto azzurro, ed essere allo stesso tempo bene osservati”. In
un’America corrotta, quasi ellroyana – “in questo paese … uno non può restare
onesto anche se vuole”. “Hemingway” è il nome usato da
un personaggio perché parla come Hemingway dialoga nei suoi racconti: ripetere
quello che dice l’interlocutore, finché “c’è a pensare che qualcosa sotto ci
dev’essere”.
Raymond Chandler, Addio, mia amata, Adelphi, pp. 300 € 20
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