Un capolavoro di semplicità. Per un Pirandello umanizzato, e la famosa funzione catartica del teatro vissuta. “Rappresentata” naturalmente, sempre messa in scena è, ma “dal vivo”, senza birignao: lo spettatore ne esce divertito e sollevato.
Pirandello,
tornato occasionalmente al paese natale, fa la conoscenza dei due impresari di
pompe funebri, dovendo seppellire la sua vecchia balia, appena deceduta, alla
quale lo legano molte memorie. Un’impresa non facile. Pirandello è Toni Servillo,
un po’ sconcertato. Gli impresari sono Ficarra e Picone. La questione della sepoltura
è il lato comico del film, ma misurato.
Nelle pieghe della
difficile sepoltura i due impresari coltivano un lato ludico, il teatro, provando
e riprovando con i paesani una commedia. Altro lato comico, sempre misurato.
Cui Pirandello assiste talvolta, divertito.
Assisterà anche alla
rappresentazione. Che finisce a putiferio, qualche spettatore sentendosi ridicolizzato
in scena. Pirandello ne è turbato.
Andò, regista di ricerca, di film e documentari “d’arte”, qui sceglie la cifra semplice, “realista”: l’ambientazione agreste di Avati, Olmi, ma al naturale (spontaneo), senza ghirigori o artifici. E umanizza Pirandello, proprio mentre partorisce ed elabora quella che è ritenuta la più cerebrale delle sue commedie, la ribellione dei personaggi. La “cifra” della naturalezza questa volta della mano di Andò si vede alla scena finale, per contrasto con la contestazione cerimoniale, borghese, urbana, del pubblico del Valle qualche tempo dopo ai “Sei personaggi” al debutto.
Inconsciamente, forse, è un rinvio di Pirandello, il più cosmopolita degli scrittori del Novecento, al paese. Anche per il dramma “cerebrale” dei “Sei personaggi” come per i tanti suoi racconti e romanzi d’ambiente. “Prendeva fatti successi da noi e li metteva sulla carta che erano una stampa e una figura con le storie nostre, macari un poco trasformate dalla sua fantasia”, argomenta un personaggio di Camilleri. Del più cosmopolita degli autori del Novecento, che si può leggere anche in chiave “italiana” e cosmopolita, senza conoscere la Sicilia. Ma, se è come il notabile di Camilleri discetta, la “sicilitudine” è ingrediente gustoso ancora per i molti.
Roberto Andò. La
stranezza
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