L’africano era già stato “scoperto” in Europa nel Rinascimento, nelle corti italiane, a Firenze, a Mantova, a Ferrara. E a Venezia naturalmente, ce n’erano a frotte. Questo lungo documentario, “Presenze africane nell’arte”, lo documenta.
Era una presenza spesso
servile e anche di schiavitù – specie dopo che i portoghesi si dedicarono a
questo commercio, con la complicità dei reucci africani. Ma anche di normalità,
senza cioè i pregiudizi e i luoghi comuni degradanti, che poi si affermeranno,
con l’avvicinarsi della “scoperta dell’Africa” a fini coloniali, da fine Seicento
a metà Novecento inoltrato. Come si sa soprattutto dagli archivi fiorentini - “le
fonti archivistiche più complete al mondo”, secondo Kate Lowe, la studiosa
inglese che partecipa alla ricostruzione documentaria dopo averli utilizzati. E
dalle immagini, dalla pittura. Che documenta la vita di corte e quella comune –
quello che oggi fa la cinematografia: Pontormo, i Ghirlandaio, Mantegna, Filippino
Lippi, Botticelli, Michelangelo, Vasari, Tiziano, Carpaccio, Veronese.
Tantissime immagini
e tantissimi personaggi, anche minori e minimi, ma significativi. Fino a Sägga Krǝstòs, il giovane fantasista
che si diceva figlio del re di Abissinia, svelato per impostore dai francescani
d’Egitto, ma da loro esibito quale ragazzo prodigio in Europa, “ospitato e
sostenuto da Propaganda Fide, molti principi italiani, e dalla monarchia francese”:
a Roma presso i Barberini, il papa e la famiglia, infine a Venezia, sempre portato
dai francescani, dove scomparve, per riemergere a Torino, dove fu fatto ritrarre
dalla pittrice di corte, Giovanna Savoia, e infine a Parigi, autore di una
autobiografia, il primissimo scritto di un africano, creduto e protetto da
Richelieu – in Francia morirà di polmonite il (Seicento fu ricco di “re” esotici,
curiosità onoratissima, ce ne fu uno anche della Palestina).
Un documentario di
ricerca su un pezzo di storia italiana, con marginali contributi italiani.
Praticamente uno solo, dell’autore della bio-ricostruzione della vicenda di Sägga Krǝstòs. Cécile Fromont,
martinichese, è di Yale. John Brackett, che sa tutto e di più su Alessandro, primo
duca, dei Medici, un mulatto, è americano, ben bianco, e insegna a Cincinnati. Kate
Lowe, ben bianca anche lei, fellow del Warburg Institute londinese, è
stata cattedratica di Storia e Cultura del Rinascimento a Londra, curatrice della
serie “I Tatti Studies in Italian Renaissance History”, grazie al lascito di
Berenson e all’università di Harvard, e autrice di numerose ricerche “speciali”:
la “cultura” delle monache in convento, a Firenze e altrove, nel Quattro-Cinquecento,
i bambini lasciati all’Ospedale degli Innocenti a Firenze, anche di colore (“Black and Florentine: documenting the
mixed ancestry babies at the Innocenti in the second half of the fifteenth
century”). Unico italiano, di complemento, Matteo Salvadore, uno studioso
riminese confinato all’università di Sharjah, emirato minore dei ricchissimi
Emirati Arabi – gli ex Trucial States - sul Golfo Persico, studioso dei legami
centroafricani, soprattutto abissini, con Roma e l’Europa, “biografo” del temerario
Sägga Krǝstòs. Di Angelica Pesarini, dell’università di Toronto, e Igiaba Scego
gli altri contributi italiani, di contorno.
Christian Di
Mattia, Rinascimento nascosto, Sky Arte, streaming su Now
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