lunedì 28 novembre 2022

Quando l’Africa era a corte, in Italia

L’africano era già stato “scoperto” in Europa nel Rinascimento, nelle corti italiane, a Firenze, a Mantova, a Ferrara. E a Venezia naturalmente, ce n’erano a frotte. Questo lungo documentario, “Presenze africane nell’arte”, lo documenta.

Era una presenza spesso servile e anche di schiavitù – specie dopo che i portoghesi si dedicarono a questo commercio, con la complicità dei reucci africani. Ma anche di normalità, senza cioè i pregiudizi e i luoghi comuni degradanti, che poi si affermeranno, con l’avvicinarsi della “scoperta dell’Africa” a fini coloniali, da fine Seicento a metà Novecento inoltrato. Come si sa soprattutto dagli archivi fiorentini - “le fonti archivistiche più complete al mondo”, secondo Kate Lowe, la studiosa inglese che partecipa alla ricostruzione documentaria dopo averli utilizzati. E dalle immagini, dalla pittura. Che documenta la vita di corte e quella comune – quello che oggi fa la cinematografia: Pontormo, i Ghirlandaio, Mantegna, Filippino Lippi, Botticelli, Michelangelo, Vasari, Tiziano, Carpaccio, Veronese.  

Tantissime immagini e tantissimi personaggi, anche minori e minimi, ma significativi. Fino a Sägga Krǝstòs, il giovane fantasista che si diceva figlio del re di Abissinia, svelato per impostore dai francescani d’Egitto, ma da loro esibito quale ragazzo prodigio in Europa, “ospitato e sostenuto da Propaganda Fide, molti principi italiani, e dalla monarchia francese”: a Roma presso i Barberini, il papa e la famiglia, infine a Venezia, sempre portato dai francescani, dove scomparve, per riemergere a Torino, dove fu fatto ritrarre dalla pittrice di corte, Giovanna  Savoia, e infine a Parigi, autore di una autobiografia, il primissimo scritto di un africano, creduto e protetto da Richelieu – in Francia morirà di polmonite il (Seicento fu ricco di “re” esotici, curiosità onoratissima, ce ne fu uno anche della Palestina).

Un documentario di ricerca su un pezzo di storia italiana, con marginali contributi italiani. Praticamente uno solo, dell’autore della bio-ricostruzione della vicenda di Sägga Krǝstòs. Cécile Fromont, martinichese, è di Yale. John Brackett, che sa tutto e di più su Alessandro, primo duca, dei Medici, un mulatto, è americano, ben bianco, e insegna a Cincinnati. Kate Lowe, ben bianca anche lei, fellow del Warburg Institute londinese, è stata cattedratica di Storia e Cultura del Rinascimento a Londra, curatrice della serie “I Tatti Studies in Italian Renaissance History”, grazie al lascito di Berenson e all’università di Harvard, e autrice di numerose ricerche “speciali”: la “cultura” delle monache in convento, a Firenze e altrove, nel Quattro-Cinquecento, i bambini lasciati all’Ospedale degli Innocenti a Firenze, anche di colore (“Black and Florentine: documenting the mixed ancestry babies at the Innocenti in the second half of the fifteenth century”). Unico italiano, di complemento, Matteo Salvadore, uno studioso riminese confinato all’università di Sharjah, emirato minore dei ricchissimi Emirati Arabi – gli ex Trucial States - sul Golfo Persico, studioso dei legami centroafricani, soprattutto abissini, con Roma e l’Europa, “biografo” del temerario Sägga Krǝstòs. Di Angelica Pesarini, dell’università di Toronto, e Igiaba Scego gli altri contributi italiani, di contorno.

Christian Di Mattia, Rinascimento nascosto, Sky Arte, streaming su Now

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