Com’eravamo felici quando eravamo infelici
Un film “storico”, benché borghese. Un com’eravamo, nostalgico
e critico insieme. Della vita a Roma cinquant’anni fa, quando il regista ne ha
dieci. Di una coppia che ha tre figli, e litiga senza separarsi. Vive in periferia
a Roma, ma con vista del Cupolone – e fa vacanze da sogno, in location
spagnole (il film è una coproduzione italo-spagnola).
L’epoca è segnata da automobili, canzoni, film e tv d’epoca.
Da “L’immensità” di Don Backy-Dorelli, che Mina illustrerà, e soprattutto da Raffaella
Carrà, col tumultuante, trascinante Celentano di “Prisencolinensinainciuol”.
Cui ritorna la figlia maggiore, adolescente che si vuole maschio, quando non si
avventura negli spazi aperti in periferia, o alla contemplazione dei cieli
azzurri. Che “L’immensità” coronerà cantandola in finale in tenuta festivaliera,
col ciuffo da ragazzo.
Crialese vuole la storia “autobiografica” – “come ne
hanno fatte i miei amici Cuaròn e Iñárritu” (non Fellini di “Amarcord”?). E un
omaggio alla donna, madre e amante – Penelope Cruz che regge il ruolo è anche
la Penelope di Omero. La ragazza che vuole essere ragazzo è l’infanzia-adolescenza
libera da binari e ruoli prestabiliti.
Un buon programma, forse montato male.
Emanuele Crialese, L’immensità, Sky Cinema
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