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Intercettare, sempre meglio che lavorare
Si
discute delle intercettazioni come se fossero la chiave del diritto
all’informazione. Mentre sono la chiave
di una giustizia di sbirri – sbirro è “agente
di polizia di governi del Medioevo e del Rinascimento”, dice wikipedia, ma tutti sappiamo
cosa vuole dire, e non si riferisce più all’agente di polizia: da quando sono i Procuratori della Repubblica a condure
le indagini, se ne sono appropriati,
e non se ne adontano.
Le
intercettazioni sono più spesso una forma spregevole di diffamazione,
calunniosa. Che noi paghiamo,
alcune centinaia di milioni l’anno, per il divertimento e la carriera di
giudici spregiudicati
e cronisti giudiziari, e di qualche colonnello – è sempre meglio che lavorare.
Si veda da ultimo
dal profluvio di intercettazioni a carico del management Juventus, dalle loro conversazioni
quotidiane per un paio d’anni estraendo le frasi dove si dice “cazzo” e
“merda”. Salvo
poi, ieri, rinunciare a presentarsi in giudizio. Dopo due settimane di
diffamazioni.
Non è
opera dei Buffi, è la Giustizia, senza senso del ridicolo. Le intercettazioni
sono uno strumento
di indagine non una prova. Si dispongono per arricchire le indagini su un reato
che sia stato commesso, e non “a strascico” come alla pesca proibita (ci sono registrazioni di
effusioni in camera da
letto, e anche di meteorismi e evacuazioni al bagno), alla ricerca di un reato
purchessia. I giudici
lo sanno. I cronisti giudiziari pure. Ma finché la diffamazione è libera, se ne
avvalgono – sempre
meglio che lavorare.
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