Letture - 506
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Antifascismo
– Magris evoca Randolfo Pacciardi, un vita di antifascista
finita con un fronte anticomunista, a proposito di una lettera della
“bellissima amante di Hemingway”, Martha Gellhorn, di pubblicazione recente, che
adombra un flirt o un’attrazione con lui. Fa il nome nell’occasione anche di
Edgard Sogno, altro irriducibile antifascista finito anticomunista. Ma la storia
della Repubblica non si riesce a fare – la facevano solo gli storici comunisti,
quando c’era il Pci.
Pupi
Avati – Demitizza il cinema – o lo rimitizza? “Vidi 8 e
mezzo di Fellini in un cinema del dopolavoro ferroviario nella Bologna
degli anni Sessanta. Ero un giovane venditore della Findus: quel film mi cambiò
la vita”.
Follia – Quella dei poeti – peraltro ricorrente, fino a Merini, a Incom - è
l’intersezione tra sensibilità (rêverie) e immagini, Proust arguisce a
proposito di Nerval – a chiusura del saggio su Flaubert: “Dal punto di vista della
critica letteraria, non si può propriamente chiamare folle uno stato che lascia
sussistere la percezione giusta, ben di più, che acuisce e indirizza il senso
della scoperta dei rapporti più importanti tra le immagini, tra le idee. Questa
follia non è quasi che il momento in cui le ineffabili fantasticherie di Gérard
de Nerval divengono ineffabili. La sua follia è allora come il prolungamento
della sua opera – e non viceversa”. Ma in alternanza cadenzata: “Ne evade
presto per ricominciare a scrivere. E la follia culminante dall’opera
precedente diviene punto di partenza, e materia stessa dell’opera che segue”.
Giovanni Giolitti – Filosofo? “Antonio Giolitti, nipote dello statista e filosofo Giovanni Giolitti”,
lo dice il podcast della figlia Rosa sul “Corriere della sera”. Giovani Giolitti
non lo era, non filosofo (si era laureato in Giurisprudenza, anche se a soli 19
anni). Ma, poi, cos’è filosofia?
Pasolini
– È diventato icona conformista. Della sinistra
politica, quello che ne resta, e anche della destra. Riflesso dell’epoca del
“minoritarismo” (vittimismo) trionfante. “Un tic” può dirlo Buttafuoco, agli “stati
generali” della “cultura di destra”: “Radio 3 ogni due secondi cita Pasolini
come un tic”. Gli sarebbe piaciuto?
Oltre che religioso
(v. sotto), Pasolini è anche santo, lo decreta il Maxxi di Roma in una mostra
lunga sei mesi.
Nelle more delle
celebrazioni per il centenario della nascita, si moltiplicano le ricostruzioni
che ne fanno vittima di un complotto. Di avversari politici e\o trafugatori
delle pizze originali del film “Salò”, che lo hanno attirato in un tranello col
pretesto di discutere la restituzione delle “pizze” del film. Una ventina di
libri sono stati scritti recentemente, sulla traccia dell’ipotesi originaria di
Oriana Fallaci – ne fa l’elenco Paolo Di Stefano sul “Corriere della sera” domenica,
“Delitto Pasolini. L’antimafia: Sì, c’entra Salò”. Quella di Fallaci,
un’ipotesi e non una ricerca, è diventata una sorta di prova. L’Antimafia della
passata legislatura è quella presieduta da Nicola Morra, il senatore 5 Stelle
di Genova, eletto in Calabria, che non ha prodotto nulla. L’Antimafia fa
Pasolini vittima della banda della Magliana. La quale si sarebbe impadronita delle
“pizze” di “Salò”, in un empito di perbenismo, e avrebbe poi deciso di punirne
l’autore, attirandolo in un tranello, con la scusa di negoziarne la
restituzione. Solo che la banda della Magliana non era ancora nemmeno in
mente Dei.
Pastiche
- Di questa tecnica, di pezzi scritti
nello stile di uno scrittore, tra ironia e devozione, Proust, che ne era
ingordo praticante (se ne è potuto fare una densa raccolta, “Pastiches e mélanges”),
celebra nel saggio su Flaubert (“A proposito dello «stile» di Flaubert”) “la
virtù purgativa, esorcizzante”.
Un pastiche involontario è comunque
l’effetto di una lettura seducente, sempre secondo Proust, nella stessa pagina
– col rischio, per il lettore vorace, di vivere nel pastiche, nell’imitazione,
seppure involontaria: “Quando si finisce un libro, non soltanto si vorrebbe continuare
a vedere come suoi personaggi, con Madame
de Beauséant, con Frédéric Moreau, ma ancora la nostra voce interiore che è
stata disciplinata per tutta la durata della lettura a seguire il ritmo di un
Balzac, di un Flaubert, vorrebbe continuare a parlare come loro”. Bisogna
“uscire” dal romanzo, dalla lettura: “Bisogna lasciarla fare un momento”, la
nostra voce interiore, “lasciare il pedale prolungare il suono, cioè fare un pastiche
volontario per potere dopo tornare originali, non fare tutta la propria vita
del pastiche involontario”.
Proust
– “Sodoma” e “Gomorra” vuole unificate – spiega nel
saggio “A proposito di Baudelaire” – in senso spregiativo. Ricordando Vigny,
che le voleva separate, mentre Baudelaire è per l’unità, Proust nel 1920 spiega
di averle unificate, sottintendendo come passione, come sensualità - “nelle
ultime parti della mia opera e non nel primo ‘Sodoma’ che è appena uscito” –
confidandole a “una bestia, Charles Morel (è del resto alle bestie che questo
ruolo è abitualmente confidato)” – a une brute.
Regista
– È si sa l’italianizzazione del francese régisseur,
in uso per il direttore del film, praticata d dal linguista Bruno Migliorini
nell’ambito della campagna di italianizzazione delle parole straniere nei primi
1930. Direttore, come è l’uso ancora oggi in inglese, sarebbe stato
termine più consono all’attività di regista - il cui ruolo nel termine originario,
quello di tenere assieme tutta la baracca, era invece passato al produttore.
Rouen – Ha formato, spesso ispirato, Annie Ernaux, la premio Nobel. Era il
rifugio di Ruskin, la città che preferiva, anche a Venezia e a Firenze. Lo
ricorda Proust, di Ruskin traduttore e ammiratore, in uno dei tanti scritti che
gli ha dedicato.
Jia
Ruskaja – Il nome d’arte della famosa danzatrice russa, inventato
da Anton Giulio Bragaglia, è frutto di un equivoco. Incontrando Elena Boberman
Sciltian, la moglie russa del pittore armeno italianizzato Gregorio Sciltian,
il 4 giugno 1921 alla Casa d’arte dei Bragaglia per una serata di “azioni mimiche
e danze”, la giovanissima ballerina Evgenija Borisenko, diciottenne, appena trasferitasi
in Italia, disse: “Anch’io son russa! I jà rússkaj”. Il suono piacque a
Bragaglia, che ne fece un nome poi famoso – l’aneddoto è raccontato da Antonella
D’Amelia, “La Russia oltreconfine”, 167.
Jacques
Tati – Dunque, si chiama Tatiscev, era russo. Non amava
il russo, ma evidentemente aveva il mimo nel sangue.
Tolkien – È appropriato dalla destra politica (in Italia), ma non era uomo di
destra. L’illustratore Ted Nasmith, che lo conobbe e lo frequentò da ragazzo, lo
dice “un conservatore, un cattolico devoto, ma non in modo estremo”. Non è un fantoccio
politico, la destra vi si è ispirata, cinquanta, sessant’anni fa, perché
pregiava il fantasy, unica via d’uscita dal conformismo sociopolitico, dell’impegno.
letterautore@antiit.eu
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