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Proust pastiche di se stesso
La prima raccolta
di scritti diversi di Proust, messa assieme nel 1926, a ridosso della morte,
dall’editore e dal fratello Robert, che firma una imbarazzante avvertenza:
l’immagine di Marcel si vuole accreditare come di mondano snob. E di gusti
letterari in linea.
La scelta ha
dell’incredibile. Anche perché lascia il sospetto che sia veritiera, risponda al
personaggio. Si parte dai salotti di varie dame di nessuna qualità – prose
noiosamente lunghe, per esercitare il name dropping, firmate con
pseudonimi, come voleva l’uso elegante, “Dominique”, “Horatio”, “Echo”…. Si
continua con recensioni mediocri di opere mediocri, forse di amici, forse e
volute dai giornali. “Guerra e pace” apprezzando come “Il mulino sulla Floss”. Addizionate
di elzeviri impressionisti, romanticheggianti, per “Le Figaro”, il quotidiano
conservatore. “La chiesa del villaggio”, “Vacanze di Pasqua”, “Spine bianche,
spine rosa”, “Raggio di sole sul balcone”.
Si ritrova il Proust
saggista più noto, dei successivi “Pastiches et mélanges”, di “Contro Sainte-Beuve”,
in due prose di dopo la “Ricerca”, scritte e pubblicate nel 1920, saggi su due
autori che Proust non amava, e sembra non capire, Flaubert e Baudelaire. Di
Flaubert aveva anche fatto uno dei suoi spiritosissimi pastiches,
pezzi scritti nello stile di uno scrittore, e lo ricorda per raddoppiare il carico:
“Per quanto concerne l’intossicazione flaubertiana, non saprei raccomandare
troppo agli scrittori la virtù purgativa, esorcizzante del pastiche”. Qui
ne abbozza all’impronta uno di Balzac, per introdurre il salotto di Mme
Madeleine Lemaire, tanto più brillante e divertente per sembrare improvvisato –
ma dura una sola pagina. Madeleine Lemaire è per più pagine la “grande
pittrice”. Così come Anna de Noailles è la poetessa più grande, “un genio dela
poesia”: “Se, a proposito di lei, si parla di genio, lei non l’ha rubato”, e
così via, per una intera pagina di “Le Figaro”.
L’inno a Lemaire e
de Noailles non è il solo, le cronache mondane sono profuse, lunche anche una pagina
di giornale. Ci vuole genio per scrivere una pagina di giornale senza dire
nula, il giornale più autorevole dell’epoca, ma Proust ci riesce – è questo precedente
che trasse Gide in inganno sulla “Ricerca”. Con paginate di nomi. La recensione
del libro di viaggi di un conte de Cholet è dedicata a “Henri de Rothschild per
il suo gusto dei viaggi”, e e s’illustra con una citazione preventiva del “Viaggio”
di Baudelaire. C’è molto la nonna di Robert de Flers – chi era costui? C’è
anche uan contesa Potocka née Pignatelli.
Singolarmente pronunciato
spicca il gusto di Proust per le cattedrali e le chiese di paese, per le feste
religiose e gli scampanii, Natale, Pasqua. Numerosi i richiami a Chateabriand,
anche in opposizione a Flaubert, e di Chateaubriand al “Genio del cristianesimo”.
Il biancospino, “il mio primo amore per un fiore”, associa alla devozione, “al
mese di Maria” in chiesa. Un primo esercizio, labile, della “Ricerca” - sul
“Figaro” del 1912? Uno più consistente è nella prosa ironica “Vacanze di
Pasqua”, la Pasqua promessa dal padre a Firenze – un viaggio che poi non si fa,
ma interamente goduto al solo nome della città: “C’è una differenza tra un nome
e una parola”.
Di Flaubert nel
saggio che gli dedica, confinandolo sardonicamente all’uso e all’expertise di
passato remoto, imperfetto e participio presente, è poi di suo maestro arcigno di
grammatica. Una lezione che sconcerta a petto dei grandi elogi che profonde per
Léon Daudet, che era suo amico ma piccolo scrittore - e grande antisemita.
Baudelaire è “il più grande poeta del diciannovesimo secolo”. Alla pari con
Vigny. Salvo aggiungere che “I giori del male” fanno un baffo a V.Hugo, al suo “Boozaddormentato”
della “Leggenda dei secoli”. Con lodi reiterate anche qui, in nota, a Léon
Daudet.
Non ama Flaubert,
anche se lo difende – finge di difenderlo. L’attacco del saggio, in difesa di
Flaubert contro una critica del suo “stile” apparsa sulla “Nouvelle Revue Française”,
lo appaia con un ghigno a Kant: “Ha rinnovato quasi alttrettanto la nostra
visione delle cose”. Oltre che per Léon Daudet, professa amore per Chateaubriand
e Nerval. Nerval lo ama perché praticava “le intermittenze del cuore” – “titolo
che avevo dato in un primol tempo a una mia opera”. Fosse un libro d’autore,
invece che di memoria, sarebbe un pastiche di se stesso – e in questa
chiave folle di gradevole lettura.
Marcel Proust, Chroniques,
L’imaginaire-Gallimard, pp. 263 € 8,50
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