venerdì 16 dicembre 2022

Proust pastiche di se stesso

La prima raccolta di scritti diversi di Proust, messa assieme nel 1926, a ridosso della morte, dall’editore e dal fratello Robert, che firma una imbarazzante avvertenza: l’immagine di Marcel si vuole accreditare come di mondano snob. E di gusti letterari in linea.
La scelta ha dell’incredibile. Anche perché lascia il sospetto che sia veritiera, risponda al personaggio. Si parte dai salotti di varie dame di nessuna qualità – prose noiosamente lunghe, per esercitare il name dropping, firmate con pseudonimi, come voleva l’uso elegante, “Dominique”, “Horatio”, “Echo”…. Si continua con recensioni mediocri di opere mediocri, forse di amici, forse e volute dai giornali. “Guerra e pace” apprezzando come “Il mulino sulla Floss”. Addizionate di elzeviri impressionisti, romanticheggianti, per “Le Figaro”, il quotidiano conservatore. “La chiesa del villaggio”, “Vacanze di Pasqua”, “Spine bianche, spine rosa”, “Raggio di sole sul balcone”.
Si ritrova il Proust saggista più noto, dei successivi “Pastiches et mélanges”, di “Contro Sainte-Beuve”, in due prose di dopo la “Ricerca”, scritte e pubblicate nel 1920, saggi su due autori che Proust non amava, e sembra non capire, Flaubert e Baudelaire. Di Flaubert aveva anche fatto uno dei suoi spiritosissimi pastiches, pezzi scritti nello stile di uno scrittore, e lo ricorda per raddoppiare il carico: “Per quanto concerne l’intossicazione flaubertiana, non saprei raccomandare troppo agli scrittori la virtù purgativa, esorcizzante del pastiche”. Qui ne abbozza all’impronta uno di Balzac, per introdurre il salotto di Mme Madeleine Lemaire, tanto più brillante e divertente per sembrare improvvisato – ma dura una sola pagina. Madeleine Lemaire è per più pagine la “grande pittrice”. Così come Anna de Noailles è la poetessa più grande, “un genio dela poesia”: “Se, a proposito di lei, si parla di genio, lei non l’ha rubato”, e così via, per una intera pagina di “Le Figaro”.
L’inno a Lemaire e de Noailles non è il solo, le cronache mondane sono profuse, lunche anche una pagina di giornale. Ci vuole genio per scrivere una pagina di giornale senza dire nula, il giornale più autorevole dell’epoca, ma Proust ci riesce – è questo precedente che trasse Gide in inganno sulla “Ricerca”. Con paginate di nomi. La recensione del libro di viaggi di un conte de Cholet è dedicata a “Henri de Rothschild per il suo gusto dei viaggi”, e e s’illustra con una citazione preventiva del “Viaggio” di Baudelaire. C’è molto la nonna di Robert de Flers – chi era costui? C’è anche uan contesa Potocka née Pignatelli.
Singolarmente pronunciato spicca il gusto di Proust per le cattedrali e le chiese di paese, per le feste religiose e gli scampanii, Natale, Pasqua. Numerosi i richiami a Chateabriand, anche in opposizione a Flaubert, e di Chateaubriand al “Genio del cristianesimo”. Il biancospino, “il mio primo amore per un fiore”, associa alla devozione, “al mese di Maria” in chiesa. Un primo esercizio, labile, della “Ricerca” - sul “Figaro” del 1912? Uno più consistente è nella prosa ironica “Vacanze di Pasqua”, la Pasqua promessa dal padre a Firenze – un viaggio che poi non si fa, ma interamente goduto al solo nome della città: “C’è una differenza tra un nome e una parola”.
Di Flaubert nel saggio che gli dedica, confinandolo sardonicamente all’uso e all’expertise di passato remoto, imperfetto e participio presente, è poi di suo maestro arcigno di grammatica. Una lezione che sconcerta a petto dei grandi elogi che profonde per Léon Daudet, che era suo amico ma piccolo scrittore - e grande antisemita. Baudelaire è “il più grande poeta del diciannovesimo secolo”. Alla pari con Vigny. Salvo aggiungere che “I giori del male” fanno un baffo a V.Hugo, al suo “Boozaddormentato” della “Leggenda dei secoli”. Con lodi reiterate anche qui, in nota, a Léon Daudet.
Non ama Flaubert, anche se lo difende – finge di difenderlo. L’attacco del saggio, in difesa di Flaubert contro una critica del suo “stile” apparsa sulla “Nouvelle Revue Française”, lo appaia con un ghigno a Kant: “Ha rinnovato quasi alttrettanto la nostra visione delle cose”. Oltre che per Léon Daudet, professa amore per Chateaubriand e Nerval. Nerval lo ama perché praticava “le intermittenze del cuore” – “titolo che avevo dato in un primol tempo a una mia opera”. Fosse un libro d’autore, invece che di memoria, sarebbe un pastiche di se stesso – e in questa chiave folle di gradevole lettura.
Marcel Proust, Chroniques, L’imaginaire-Gallimard, pp. 263 € 8,50

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