Se il risparmio scompare in banca
Un operaio alla pensione a 67 anni, al quale ai 45 è
stata proposta la sottoscrizione ultraredditizia di una polizza vita da “una
notissima società di assicurazioni”, viene liquidato, “a fronte dei 36 mila
euro versati” nel 22 anni, con 35 mila euro. Non è un caso isolato, è la norma:
non c’è polizza vita o fondo comune, sia esso Arca oppure Anima, i due fondi
delle banche italiane, che non diano che perdite. Ma anche di altre banche, JpMorgan,
Goldman Sachs. Con perdite solitamente più vistose di quella che l’operaio lamenta,
dal 5 al 10 per cento.
Non c’è ragione perché così sia, ma non c’è rimedio. E la
condanna è senza alternative, poiché ora si vuole tassare il contante.
La questione è anche taciuta, benché interessi tutti,
risparmiatori e non – confinata, nel caso in questione, alle lettere al
direttore. Ma non è da poco: distruggere il risparmio, per ingrassare le
banche, che senso ha? Economico? Sociale? È una partita di potere: bisogna
risparmiare per remunerare le banche. Un totem?
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