sabato 8 gennaio 2022
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (479)
Una legge due
anni fa introduceva un forfait Irpef molto basso, il 7 per cento del reddito,
comprensivo delle addizionali regionali e comunali, per i titolari di pensione
estera che trasferivano la residenza fiscale al Sud, in paesi di non più di 20
mila abitanti. Con l’intento di ridurne in qualche modo lo spopolamento, gli
abbandoni. La raccolta fiscale è stata di soli 150 mila euro, 75 mila l’anno. Il
Sud non attrae nemmeno regalato.
L’Europa si fa verde con la Russia
Ci sarà il nucleare nella
nuova strategia verde europea? E il gas naturale? Il dibattito in Italia è
pleonastico - serve a coprire il vuoto di offerta politica (l’Italia non ha e
non avrà centrali nucleari). In Europa invece il dibattito ha un senso.
Il nuovo governo tedesco,
color semaforo, rosso-verde-giallo, di socialdemocratici, verdi, e liberali,
rimette all’orizzonte Ue il gas, e ne scaccia il nucleare. Effetto dell’entrata
dei Verdi al governo, si supporrebbe, da sempre contrari al nucleare. Ma i
verdi sono - erano - contrarissimi anche al gas.
La verità, semplice anche
se volgare, è che col no al nucleare si colpisce la Francia, che fa il 70 per
cento dell’elettricità con le centrali atomiche, mentre col gas la Germania fa
business, ricco, con la Russia. Con la nuova gigantesca condotta Nord Stream 2,
al largo dall’Ucraina, e anche dai Baltici, non si sa mai, dai possibili
mestatori – inaffidabili sono Ucraina e Baltici, non la Russia.
In linea con Berlino la galassia
germanica. Il Belgio, che produce il 50 per cento dell’elettricità con sette
reattori nucleari, ne ha predisposto la chiusura per il 2025. Ma per passare al
gas. La Svizzera pure, che produce un terzo dell’elettricità con le centrali
nucleari: a fine ciclo le sostituirà con il gas. In controtendenza, nel
Centro-Europa, l’Olanda: ha prosperato sulle riserve nazionali di gas, che ora
si sono assottigliate, e punta a un programma di due-tre centrali nucleari.
Nucleare sì nucleare no,
al partita si sta giocando attorno al gas. Della Russia.
La salvezza viene con l’arte
Un racconto semplice:
lei, Barbora Kysilkova, pittrice iperrealista, al modo di Annigoni, anni 1950,
poi Guarnieri, decide di incontrare uno dei due autori del furto di due sue tele
in mostra al Centro Nobel a Oslo. Lei, ordinaria di Praga, in fuga da Berlino
dove era sposata a un uomo violento, lui un giovane di molte qualità, che gravi
carenze affettive nell’infanzia hanno ridotto alla droga e all’asocialità.
Un racconto “vero”
che si segue come una favola. Di redenzione attraverso la pittura, dell’arte
terapeutica. Col doppiaggio genialmente sovrammesso alla parlata originale, un
effetto insieme di distanziamento e partecipazione.
Benjamin Ree, The
Painter and the Thief (La pittrice e il ladro), Sky Arte
venerdì 7 gennaio 2022
Letture - 477
letterautore
Colonna sonora - Viene per ultima
nei titoli di coda dei film, dopo chiunque in qualche modo abbia ricevuto una
paga, gli autisti, i trasportatori, i fornitori di ogni genere. E distrattamente.
La colonna sonora di Einaudi per “The Father. Niente è come prima”, per esempio,
che pure è parte rilevante della narrazione. O la romanza celebre “Je crois
entendre encore” di Bizet, dei “Pescatori di perle”, che nel film torna almeno tre
volte, cantata da una voce tenorile purissima, di cui non si fa neanche il nome
(è Cyrille Dubois), gusto il titolo, nemmeno della romanza, solo dell’opera.
Controinformazione – Era di sinistra,
estrema, ora è di destra. E più radicale, pretendendosi controcultura. Nacque
nel Sessantotto, a opera dei gruppi extraparlamentari di sinistra, con le
testate “Lotta Continua”, “Metropolis”, lo stesso “Manifesto”, con fogli
ciclostilati, con libri come “Strage di Stato”, 1974 (repertoriata da Pio
Baldelli in “Informazione e controinformazione” già nel 1972, dalla rivista “Tempi
moderni”, curata da Giovanni Bechelloni, e da molta sociologia sparsa della
comunicazione.
Era nata in America, nei tardi anni 1960. In
fogli ciclostilati, anarchici, situazionisti, eccetera, sul tipo dei samizdat,
i fogli sparsi della controinformazione politica in Europa orientale, contro i
regimi comunisti filo-sovietici. Era l’informazione
libera, cioè fuori dai condizionamenti economici, editoriali o politici – fuori
dal coro, o dal “potere”. L’espressione forse più influente di quello che sarà il
Sessantotto: la possibilità e la capacità di criticare. Con propri mezzi,
benché limitati, e presto con le radio libere, come antidoto a quello che allora
si denunciava come comunicazione di massa, via radio e tv, e oggi si dice
strapotere dei media, dei social.
Nel 1969-1970 coagulò attorno al “New York Times” e alla “Washington Post”, parte dichiarata
delle lotte di potere contro la presidenza Nixon, con i “Pentagon Papers” e con
lo scandalo Watergate.
Riemerge ora in America come “controcultura”,
di destra radicale - “The Daily Wire”, “Daily Beast”, la piattaforma Gettr.
Contro “lo strapotere dei social media”, che vengono ascritti all’establishment
di sinistra. Impegnati su una serie di temi vasta, anche di sinistra: cambiamento
climatico, sindacato, minimo salariale, per la libertà di parola, oltre che contro
l’aborto illimitato, le donne transgender nello sport, e la cancel culture.
Neutro – Si potrebbe resuscitarlo, anche
all’anagrafe, per le persone, per evitare di doverle dire maschio o femmina, nell’umanità
che si vuole asessuata. Sull’esempio del tedesco das Mädchen, che significa “la ragazza”. Bisogna certo
restaurare il neutro nelle lingue neolatine. Per l’inglese non sarebbe
difficile: basta sostituire “ragazzo”, “ragazza”, “donna”, “uomo”, “maschio” e “femmina”
come sostantivi, con “persona”, p.es., come è già l’uso nell’America up-to-date.
Refusi – Sono gli errori di stampa,
quando la stampa si faceva per fusione dei caratteri di piombo, che
infiorettano giornali e libri. Gli errori al suo tempo dei copisti, poi dei
proti, i capi tipografi che controllavano le bozze. Ma anche dei
redattori-editori, quando la lettura dei manoscritti era impervia, o dopo, con i
dattiloscritti, per inavvertenza. Notevoli in questo caso, specie nei libri di
fantasia, per gli effetti talora bizzarri. Cambiando a volte il senso di una frase,
una sorta di scrittura automatica, in uno che magari, benché non voluto, era
più pregante.
Dispute filologiche si sono anche accese
sugli errori di stampa. Il corpo che diventa porco, l’amore umore
e l’adorata odorata, e non sappiamo se il dantista è dentista, o viceversa, la
rivoluzione rivelazione, e l’immaginazione impaginazione. Se Yeats disse “soldier Aristotle” o “solider Aristotle”, e se l’ozio è indispensabile
al mondo o l’odio, il correttore di bozze è corruttore, e i torchi gemono,
oppure i turchi, o i tirchi. E i carabinieri s’imbattono in covi allarmanti, o
in cori, o in voci, com’è più probabile. I refusi angosciavano, e divertivano,
Sciascia e Savinio, Flaiano e Morselli, autori della leggerezza..
I correttori di bozze, che usavano un
tempo in tipografia ed erano addetti proprio ai refusi, si sono trasformati qualche
volta in correttori di bizze. Il “Corriere della serra”, di cui si è potuto
leggere nel confratello parigino “Le Figaro”. Alcuni contesi come diritti
d’autore: La moglie del sardo che in realtà è la moglie del sordo sarebbe
invenzione di Valéry Larbaud – che poi trascorse afasico gli ultimi vent’anni –
ma il “Corriere della sera” lo ha attribuito
a Grazia Deledda
Ora l’ultimo word sottolinea due volte le
concordanze che non lo soddisfano, e ci azzecca, anche in italiano - rederà
impossibili i refusi?
Stupidità - Va con l’umorismo,
nelle scritture di molti. Moltissimi nell’antichità sentenziosa. Bollarono risata e stupidità insieme Menandro,
Isocrate, Catullo, il Libro dei consigli della Bibbia greca (poi chiamato anche
“Ecclesiastico”), l’“Ecclesiaste” naturalmente, il “Canzoniere eddico”, i
proverbi popolari. E Oscar Wilde, il cui “Marito ideale” professa “una grande
ammirazione per la stupidità”, per ridere – Wilde diceva di suo: “Non c’è altro
peccato che la stupidità”. Come il giovane Baudelaire, o il borghese Flaubert.
Ma c’è anche l’ironia
inversa, altro esercizio letterario: l’eristica, l’argomentazione sottilmente
inutile. Savinio ne era affascinato e perseguitato, dagli elogi “per mania
eristica delle cose più inutili e anche delle dannose, il fumo, la polvere, la
peste”. Per la peste citeremo il Berni, che vi si esercitò più volte. Molto
usati, gli elogi ironici, nel Novecento. Dell’Ottocento si ricordano, di Cesare
Beccaria e di Paul Lafargue, il genero di Marx, l’elogio dell’ozio. Dione di
Prusa fece l’elogio del pappagallo e della zanzara. Sinesio scrisse un elogio
della calvizie. Luciano scrisse un “Elogio della mosca”. Giuliano un elogio della
barba a rovescio - essendo l’imperatore filosofo barbutissimo, scrisse un “Misopogone”,
contro la barba. In Francia la letteratura è immensa, dalla scuola di
Fontainebleau a Montaigne e al marchese de Sade, di elogi di organi e pratiche
porno.
Attrae soprattutto i letterati. Non c’è una
riflessione filosofica sulla stupidità. Si citano s. Agostino e Cicerone, per frasi isolate, moti di
stizza. Ripresi da Raymond Aron, lo studioso della politica, che la stupidità
dice “il fattore dominante della storia”.
Il grosso del lavoro è la riproposta degli
scrittori rinomati che si sono esercitati in argomento: il filone di Giufà, Jean
Paul, Flaubert, Musil, Eco, Sciascia. Di Sciascia,
che però non vi si intrattenne con qualche riflessione, si può dire un’ossessione
- il terrorismo liquidò in tv dopo il rapimento di Moro, sbuffando per
l’indignazione, con due sole parole: “Sono stupidi!”. Uno spasso per Eco, dal
“Pendolo di Foucault” al “Cimitero di Praga”.
Non manca – Gianfranco Marrone – chi propende per
la “Ricerca” di Proust come “un’interminabile galleria di stupidi”. La lettura
può esserne in effetti ironica, degli amori, i vezzi, le manie, le devozioni
filiali, le rivolte, i giochi delle ipocrisie – come tutto ciò che si definiva “borghese”.
Ma per l’autore, scrivere tremila e più pagine di sottile ironia? E contro chi?
letterautore@antiit.eu
Maremma horror
Un horror -
purtroppo presentato come giallo, anche se la sorpresa finale c’è - in Maremma.
Una Maremma grigia, triste, quale fu per secoli, certo, con le acque stagnanti
riaffioranti. Con prove d’autore di Massimo Popolizio e Edoardo Pesce, due
attori capaci di grande teatro (e, ce ne duole molto, sono un capitano e un
tenente – “Cane Pazzo” - dei Carabinieri: due personaggi che faranno inorridire
la Benemerita?). Richiama curiosamente Dario Argento, ma urlato e non silenzioso.
Un ragazzo e una
ragazza scompaiono a un rave party. Una serie di violenze seguono,
improvvise, sanguinose. Gratuite: il contrappunto della vita ordinaria è troppo
esile, per sostenere la macabra vicenda, di torture, pestaggi, autodistruzioni.
“Cane Pazzo” si
propone per una serie, ma ha già eliminato troppi comprimari.
Vincenzo Alfieri, Ai
confini del male, Sky Cinema
giovedì 6 gennaio 2022
Cronache dell'altro mondo - la Grande Dimissione (162)
È l’epoca della Grande Dimissione: sempre più lavoratori, da un anno circa, si dimettono dal posto di lavoro negli Stati Uniti. In vista di un’occupazione per qualche aspetto più soddisfacente. Almeno 4,5 milioni di persone hanno lasciato il posto di lavoro a novembre. In aggiunta ai 4,1 milioni di ottobre. E ai 4,36 milioni di settembre.
La disoccupazione è sempre alta, 6,88 milioni a novembre. Ma di transito, tra un’occupazione e l’altra, praticamene non c’è disoccupazione di lunga durata. La creazione di nuovi posti di lavoro è più del doppio delle dimissioni: 10,56 milioni di nuovi posti a novembre, 11,09 a ottobre, 10,44 a settembre.
Nei dodici mesi a novembre 2021, sono stati aperti negli Stati Uniti 75,4 milioni di nuovi posti di lavoro, con abbandoni e licenziamenti pari a 68,7 milioni – per un saldo netto di nuovi posti di lavoro di quasi sei milioni, 5,9. La pandemia e i lockdown hanno accresciuto e non ridotto (contrariamente all’Italia, p. es., n.d.r.) l’occupazione, il mercato del lavoro.
Il tema non è stato ancora analizzato. Sicuramente non si tratta di nuovi posti di lavoro a paghe ridotte – la compressione dei salari effettivi era in atto semmai prima, con le presidenze Obama e i primi anni della presidenza Trump: non si spiegherebbe altrimenti il gran numero di abbandoni volontari, di dimissioni.
Ombre - 595
“Il 40 per cento dei test rapidi negativi in realtà è falso”, l’assistente del genera le Figliuolo. Di che stiamo parlando, che i contagi sono il 40 per cento in più delle statistiche? Che i tamponi li facciamo per ingrassare le farmacie?
C’è anche la virtuosa Regione
Emilia-Romagna che scopre 33 mila casi pregressi grazia e un ricalcolo. Di che
stiamo parlando, allora?
Anche,
ospedalizzati con covid o ospedalizzati a causa del covid: fa differenza?
Enorme? Perché confonderli? Perché l’informazione, dopo due anni, è così
lacunosa. Oltre che la storia e la geografia, la scuola ha cancellato anche la
matematica, le statistiche?
A
Chicco Testa, ex presidente di Legambiente, che propone qualche
termovalorizzatore per smaltire l’immondizia a Roma, un investimento privato
che non aggraverebbe il bilancio del Comune - e farebbe costare lo smaltimento
meno di quanto costi ora, esportando l’immondizia - la Cgil del Lazio
contrappone una multi-utility pubblica, cioè un altro carrozzone.
Succede
nello stesso tempo di avere sottocasa un cantiere che blocca da settimane le
strade, invertendo i sensi unici con segnali improvvisati, con grave rischio di
collisione, per il rifacimento di uno snodo delle tubature del gas. Un cantiere
dove si lavora un giorno sì e cinque no. Preceduto da altri due cantieri, allo
stesso incrocio e tratto di strada, uno per la condotta dell’acqua, Acea, e
uno, Ama, per la fognatura. Tre cantieri all’opera per sei mesi quando ne
bastava uno. Forse non è cattiva gestione, è corruzione in appalti. Ma cambia?
La
corruzione è evidente nella diversità degli appalti. Acea, società quotata, ha
controllato ogni giorno i lavori, di un appaltatore che ha lavorato rapido e ha
ricostituito manto stradale e marciapiedi come nuovi, con strisce bianche per
l’attraversamento e il parcheggio. Le municipalizzate senza alcun controllo e
senza collaudo – il cantiere Ama chiuso ha manto stradale e marciapiedi
rabberciati, senza più segnaletica a terra.
“Scuola,
un «buco» di 8.500 no wax”, di cui 7.000 insegnanti, solo nel Lazio.
Impossibili da sostituire, naturalmente. Ma il nucleo no wax è di insegnanti?
Il
principe Andrea probabile condannato. Per la regina Elisabetta una fine
ingloriosa. Ma dei suoi quattro figli chi ha fatto bene: Carlo? Anna? Andrea?
Non proprio bene, ma decentemente?
Dopo
l’assegno ai netturbini che non si sono messi in malattia per le Feste, il
professor Gualtieri, sindaco di Roma, recidiva: assegna, con tanto di delibera fatta
approvare in pompa dal consiglio comunale, un quarto degli introiti da multe
stradali ai dirigenti dei vigili urbani. Uno pensa che non sia possibile, e
invece è vero. E il professore è persona tranquilla, responsabile.
Papa
Francesco governa il Vaticano con i motu proprio: “35 in 8 anni,
Giovanni Paolo II in ventisette anni ne ha firmati 32”, Filippo Di Giacomo sul
“Venerdì di Repubblica”. Il papa sinodale, collettivo, comunitario,
democratico, governa a colpi di decreti, personali.
Celebrando l’anno record di Piazza Affari Andrea Greco
assegna la palma a Unicredit, per il rimbalzo del 76 per cento. A 13,5 euro. Ma
Unicredit “valeva” 18 euro tre anni fa. Com’è possibile che una grande banca
subisca oscillazioni in Borsa così enormi?
“Sono stato presidente della Commissione Europea
con 15 e con 25 Paesi e non c’era alcuna differenza. Il mio problema era sempre
trattare con la visione divergente della Gran Bretagna”, Romano Prodi, “7”.
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Memorie tragiche e comiche dell’uomo-pianura
L’amico del protagonista,
l’unico, “ha il panico delle iniezioni”. È stato vittima del terrorismo arabo
di Atocha, la metropolitana di Madrid, con centinaia di morti, amputato, e si
diffonde con disinvoltura su tutte le atrocità di cui legge nel mondo, ma ha
“il terrore degli aghi”. C’è insomma anche un prospettivo no wax. Fra le altre
occorrenze, piccole, minime e grandi della vita quotidiana. Che il
protagonista, uomo senza qualità fra i tanti, ripercorre una volta che ha
deciso di morire – si ucciderà tra un anno, il 31 luglio, un mercoledì, di
sera.
Toni inganna il
tempo rimemorando, mese dopo mese, nelle sue stracche giornate di insegnante di
Filosofia al liceo, divorziato, “triste e solo, con addosso una sensazione di
sconfitta”, con la cagnetta Pepa, e con Tina, amante rassegnata di plastica, di
tanto in tanto con l’amico no wax, che ha deciso di seguirlo nella sua
determinazione della morte certa. Il padre, la madre, la moglie, i suoceri, il
fratello, il figlio, che ogni tanto rivede. E la sua prima fidanzata, brutta e
simpatica, che gli tocca rivedere. Incorre anche in un torturatore del
franchismo, “Billy the Kid”, che ha rotto la faccia al suo padre trinariciuto, che
riceve un’assurda onorificenza dalla Spagna democratica – un personaggio vero,
Antonio Antonio González Pacheco, morto ultimamente di covid, a 73 anni, che
dunque negli anni di Franco ne aveva una ventina…
Un “uomo pianura”,
senza spessore, senza progetto, senza reali sentimenti. Ma buon narratore, non
lagnoso. È uno che, come il Nobel Parisi dagli storni, è affascinato dai
rondoni che “vanno, vengono, si incrociano nell’aria a tutta velocità e non
c’è verso di racchiuderli in un numero”.
Scherzoso spesso,
anche triviale. Nelle scene di sesso d’obbligo ogni ventina di pagine. Nelle
frasi famose di cui tiene il quadernetto (di Camus, “C’è soltanto un problema
filosofico davvero serio: il suicidio”…). Nei personaggi che non ama: gli
indipendentisti catalani, la lesbica (la “padrona” lesbica della ex moglie), le
famiglie. Nei non-eventi a cui la decisione di morire riduce la vita giorno per
giorno. Un po’ ripetitivo. Anche confuso – “ho vissuto come una vessazione
incessante la relazione intima con una donna intelligente”, mentre per tutta la
narrazione è lei che è ingrata e oppressiva, sfruttatrice (una delle scene
esilaranti è quando si fa spalleggiare dal marito per liberarsi dalla
“padrona” di letto), furba.
Forte del successo
del fluviale “Patria”, Aramburu si ripete. Di lettura anche questo non ardua,
uno spaccato, involontario?, della vita quotidiana oggi, in città, in Europa:
dei giovani incerti, sporchicci, inetti,
dell’affetto per gli animali esclusivo, dell’incapacità di
ascoltarsi-osservarsi e di comprendersi, col padre, la madre, il fratello, il
coniuge, dell’amicizia ristretta, abitudinaria, della politica assente. Il cane
ha la buona morte, l’uomo no, è la sua verità meno banale. Centinaia di
aneddoti veri o inventati assembla che sono (funzionano) come un teatrino delle
nostre azioni e riflessioni quotidiane, ordinarie, rimuginazioni, specie di
quelle familiari.
Una lettura
scorrevole, agevolata forse dalla traduzione di Bruno Arpaia (ma “L’inconclusa”
di Schubert, per “L’incompiuta”?)
Fernando Aramburu,
I rondoni, Guanda, pp. 713 € 22
Toni inganna il tempo rimemorando, mese dopo mese, nelle sue stracche giornate di insegnante di Filosofia al liceo, divorziato, “triste e solo, con addosso una sensazione di sconfitta”, con la cagnetta Pepa, e con Tina, amante rassegnata di plastica, di tanto in tanto con l’amico no wax, che ha deciso di seguirlo nella sua determinazione della morte certa. Il padre, la madre, la moglie, i suoceri, il fratello, il figlio, che ogni tanto rivede. E la sua prima fidanzata, brutta e simpatica, che gli tocca rivedere. Incorre anche in un torturatore del franchismo, “Billy the Kid”, che ha rotto la faccia al suo padre trinariciuto, che riceve un’assurda onorificenza dalla Spagna democratica – un personaggio vero, Antonio Antonio González Pacheco, morto ultimamente di covid, a 73 anni, che dunque negli anni di Franco ne aveva una ventina…
Un “uomo pianura”, senza spessore, senza progetto, senza reali sentimenti. Ma buon narratore, non lagnoso. È uno che, come il Nobel Parisi dagli storni, è affascinato dai rondoni che “vanno, vengono, si incrociano nell’aria a tutta velocità e non c’è verso di racchiuderli in un numero”.
Scherzoso spesso, anche triviale. Nelle scene di sesso d’obbligo ogni ventina di pagine. Nelle frasi famose di cui tiene il quadernetto (di Camus, “C’è soltanto un problema filosofico davvero serio: il suicidio”…). Nei personaggi che non ama: gli indipendentisti catalani, la lesbica (la “padrona” lesbica della ex moglie), le famiglie. Nei non-eventi a cui la decisione di morire riduce la vita giorno per giorno. Un po’ ripetitivo. Anche confuso – “ho vissuto come una vessazione incessante la relazione intima con una donna intelligente”, mentre per tutta la narrazione è lei che è ingrata e oppressiva, sfruttatrice (una delle scene esilaranti è quando si fa spalleggiare dal marito per liberarsi dalla “padrona” di letto), furba.
Forte del successo del fluviale “Patria”, Aramburu si ripete. Di lettura anche questo non ardua, uno spaccato, involontario?, della vita quotidiana oggi, in città, in Europa: dei giovani incerti, sporchicci, inetti, dell’affetto per gli animali esclusivo, dell’incapacità di ascoltarsi-osservarsi e di comprendersi, col padre, la madre, il fratello, il coniuge, dell’amicizia ristretta, abitudinaria, della politica assente. Il cane ha la buona morte, l’uomo no, è la sua verità meno banale. Centinaia di aneddoti veri o inventati assembla che sono (funzionano) come un teatrino delle nostre azioni e riflessioni quotidiane, ordinarie, rimuginazioni, specie di quelle familiari.
Una lettura scorrevole, agevolata forse dalla traduzione di Bruno Arpaia (ma “L’inconclusa” di Schubert, per “L’incompiuta”?)
Fernando Aramburu, I rondoni, Guanda, pp. 713 € 22
mercoledì 5 gennaio 2022
Cronache dell’altro mondo - capitali (161)
La Procuratrice dello stato di New
York, Letitia James, democratica, ha accusato il governatore dello stato Andrew
Cuomo, democratico, di abusi sessuali su undici donne. Costretto Cuomo alle
dimissioni, si è candidata alla successione – senza successo. Ora Cuomo è stato
assolto: delle undici donne che avrebbe molestato solo una lo ha denunciato,
Brittany Commisso. Ma non è stata creduta: si è dimostrato che era
un’innamorata rifiutata – una che corteggiava Cuomo.
Fbi e Procure Federali varie sono impegnate
da un anno a dimostrare che l’assalto al Congresso un anno della folla trumpiana
era organizzato da Trump. Hanno incriminato centinaia di persone – l’assalto è
stato fotografato nei dettagli. Ma ancora continuano il lavoro, non hanno
ancora trovato la mano di Trump dietro l’assalto.
I membri del Congresso e i loro
familiari hanno investito in Borsa l’anno scorso 630 milioni abbondanti di dollari.
I Repubblicani un po’ più dei Democratici. I Democratici investono soprattutto
nell’infotech, i Repubblicani nell’energia. Il maggiore investitore singolo è il
marito di Nancy Pelosi, la speaker Democratica della Camera dei Rappresentanti,
attivo nei settori immobiliare e venture capital.
La morte sbagliata
L’angelo della
morte Angela, Ilenia Pastorelli sempre periferica ma blackie, sbaglia la
data della morte del quarantenne Arturo, Pietro Sermonti, e per ingannare l’attesa
gli svela che tutte le sue felicità sono infelici. Sembra una trovata azzeccata
e per la prima metà il film funziona, a ritmo verdoniano – Arturo che obbediente
si suicida ma il cappio non si stringe è da cult. Poi s’intorcina, a tratti horror
demenziale, e non si capisce più niente.
Herbert Simone
Paragnani, Io e Angela, Sky Cinema
martedì 4 gennaio 2022
Calembour
Disadattato, incerto, a disagio
Come il violino mancino in concerto,
il missionario astemio alla messa,
l’impotente a letto con l’amata,
L’afasico tra i social sibilanti.
Per le
donne liberare
Le falene
e le farfalle
Anche per
i neri,
per tutti
che si intendono emancipare.
Simenon scopre il mondo
Cinque reportages
di Simenon inviato speciale nel 1935. La Lapponia “in pieno inverno” – un paradiso.
Una serie di morti misteriose (il padre di Maigret non riesce a fare luce) alla
Galàpagos, il “paradiso terrestre” in Terra. La vita visibile, e invisibile,
attorno al canale di Panama, che viene armato come per la guerra. A spasso per
l’oceano Indiano e i mari del Sud – il reportage che dà il titolo. E
Tahiti, l’isola degli amori facili – si presume: Simenon li prospetta ma poi si
mantiene discreto.
Tutto ben raccontato,
c’è sempre una promessa di sorpresa, ma poi niente di più il pittoresco dei
viaggiatori che Simenon depreca, Loti e anche Gauguin. O del riccone americano,
che gli dice: “Ho da spendere un giorno alle isole Marchesi, due alle Figi,
uno alle Ebridi e sei in Giappone” – se Ebridi non è un refuso (dalle Figi alle
Ebridi, e dalle Ebridi al Giappone si fa, si faceva, forse col Concorde) - gli yankee
con lo yacht di grandezza record sono la sua ossessione.
Un’esperienza che avrebbe
trasformato Simenon, opina Matteo Codignola nella nota editoriale, “Simenon
nudo”: a Tahiti qualcosa è successo, non sappiamo cosa, ma “amici e conoscenti”
concordi dicono “che la persona tornata da quel viaggio non era la stessa partita
qualche settimana prima”. Comunque comincerà allora a scrivere i suoi “grandi
libri” - i romanzi “duri”.
È vero che a un certo
punto, navigando per i mari del Sud, al largo di Timor, Simenon scopre che il
mondo è diverso. A partire dal tempo, dal diluvio universale. Un viaggio ha fatto
non nello spazio ma nel tempo: “Ho visto degli uomini! Tutti gli uomini, da
Adamo fino ai giorni nostri. E vi assicuro che è questa la cosa triste!” Noi, “con
i nostri bei completi, i caschi, i coltellini, i giornali e la radio”, facciamo
solo “finta di crederci i più forti, i più furbi”.
Con una copiosa dose
di fotografie, fatte dallo stesso Simenon, purtroppo senza didascalia. Che Codignola
così giustifica: “I materiali sono lacunosi e disomogenei”. Le foto, e anche gli
scritti.
Georges Simenon, A
margine dei meridiani, Adelphi, pp. 223, ill, € 16
lunedì 3 gennaio 2022
Calembour
I segni di sogni
O i sogni di segni
È refuso irresistibile
Ma in che senso?
Verum factum
Verum fictum
Il fatto è finto
È beard o bread
Che al capitolo “Eumeo” dell’“Ulisse”
Joyce avvolge nella carta?
Il ritorno del mattatore, di parola
Un padrone-padre, tutto azienda, anche capace, al tempo dei
diritti, che pure andrebbero rispettati - “El buen patrón” è il titolo originale. Una sfida riuscita per Xavier Bardem,
che regge le due ore del film dalla prima all’ultima scena – probabile Oscar come attore
protagonista (benché un solo attore non di lingua inglese ci sia riuscito in quasi
cento anni, Benigni). Una “commedia all’italiana”, in cui si sorride soffrendo.
Con un retrogusto reazionario, a fronte dell’operaio licenziato contestatore,
dell’immigrato arabo stimato ma sfottente.
Torna il mattatore
– è il terzo o quarto film in programmazione che si regge sulle arti del
protagonista, assorbente, in famiglia, al lavoro, in scena. Torna al cinema, in
forma di pièce teatrale, molto parlata, filmata. Economica anche, reggendosi
inquadratura per inquadratura su un solo attore, con pochi e sbiaditi comprimari
– che forse per questo piace a Nanni Moretti, che lo programma nel suo cinema.
Un cinema di parola anche, chi l’avrebbe detto. l’immagine vi è sussidiaria.
Fernando León de
Aranoa, Il capo perfetto
domenica 2 gennaio 2022
Calembour
Bello Bolle balla
Lieve all’onda
Di questo mondo
Che si vuole tremendo
Stormi di storni
O storni di stormi
La verità s’inverte
C’è un senso
nella perdita di senno?
Secondi pensieri - 468
zeulig
Complotto - L’idea del
complotto può dirsi una forma di gelosia, e la gelosia una forma di delusione,
verso sé stessi e quindi verso gli altri. Ingenera il sospetto una certa dose
d’ipocondria, in due forme. L’idea costante che gli altri tradiscono e vogliono
il nostro male. E l’incapacità altrettanto co-stante degli altri e di noi
stessi di essere all’altezza delle ambizioni. Freud non ne ha parlato, il genio
maligno. Proust sicuramente sì, nell’interminabile labirinto della gelosia, la
propensione, come la dice da qualche parte, a “formulare sospetti atroci su
fatti inconsistenti”. Ma i fatti non hanno bisogno di interpretazioni, non se
si vuole uscire dalla paranoia.
O c’è
bisogno di un complotto? Sia pure di quello hegeliano della ragione: la maggior
parte degli eventi non ha un fine. L’influenza per esempio, che a tutti
occorre. Il cancro no, vuole uccidere. L’influenza non ha neanche una causa, a
differenza del raffreddore. Che per questo a volte acquista anche un fine, più
rapido del cancro: la maggior parte dei decessi in ospedale avviene per
complicazioni broncopolmonari. I degenti vi sono accuditi con generosità di
personale e di risorse, finché un giorno la finestra aperta per cambiare l’aria
si porta via il più indifeso. Non ci si protegge dal caso, e allora un po’ di
causalità, per quanto perversa, ci vuole. O si può tornare con Darwin
all’“argomento del progetto” del teologo Paley: se c’è un orologio, c’è un
orologiaio. Anche Borges immagina una “storia di alcuni cospiratori i quali
decidono che qualcuno non esiste o non è mai esistito”. Oppure che esiste,
anche se non è mai esistito.
Si parla troppo non a caso. O è vero o è falso,
si dice. E se il falso è vero? Il terzo escluso è solo necessario, non
foss’altro perché l’uno o l’altro dei termini del caso spesso è occulto.
È effetto della latitanza culturale, intellettuale? Di due generazioni ormai, disperse tra le chiacchiere social e il consumismo più sciocco, la coda di notte per le scarpe gialle Lidl a due euro, che bastano per una camminata, o per appenderle, i tatuaggi, brutti e sporchi, le barbe. Si è latitanti non senza effetto, lo dice la stessa parola. L’isolamento nutre l’orrore. Lutero lo spiega nel commento alla Bibbia, dove a Dio fa creare la donna perché non è bene che l’uomo stia solo: “Un uomo solo deduce una cosa dall’altra, e pensa tutto per il peggio”. Il complotto è esercizio logico prima che paranoico, e unisce tutti, quelli che convergono dall’isolamento. Tutto vi è ineluttabile, una volta recisi i ponti: come la gelosia, l’orrore si nutre di sé. Altra cosa dalla solitudine, il dialogo con se stessi che prepara all’incontro con gli altri e la vita. Chi sopporta sé stesso accetta gli altri: nella solitudine, spiega Arendt, “siamo sempre due-in-uno”, rieccolo. Nietzsche si fa in due a Sils-Maria uscendo dall’isolamento, la malattia professionale dei filosofi. Bertram de Born, l’originale di Dante, è quello che si porta la testa in mano, decapitato per aver diffuso l’odio nella famiglia del re d’Inghilterra, di cui era consigliere.
Il vizio del complotto è come la
superstizione, pronuba la paura: si temono mali ignoti, e se mancano motivi
certi di paura s’inventano.
Dolorismo – L’ipocondria, lo spleen
di tanta prosa dolorante, e poesia, è causa, prima che segno o effetto, della
civiltà della crisi. Il dolorismo si osserva come malessere ricorrente
(tipico?) di chi ha la pancia piena, Europa (Scandinavia)-Usa, che spiega
all’indigente (Asia, Africa, America Latina) quanto è duro abboffarsi, e ne
pretende gratis la compassione – usava dirla solidarietà, ora empatia.
Fede – È l’altro estremo del filo
(ragionamento) che porta al suicidio. Meno tragico, anzi consolatorio. Ma non
meno dialettico, critico: la fede, come il suicidio, libera dal seno tragico
dell’esistenza.
Si faccia l’ipotesi che l’uomo
conosca l’ora della morte. L’uomo di fede si consola con l’anima immortale, lo
scettico con l’inevitabile – anche, se del caso (stanchezza, sofferenza,
rivalsa), con la rinuncia a vivere. È il solo quadro in cui il Camus celebrato –
“C’è soltanto un problema filosofico davvero serio: il suicidio” – prende
senso.
L’immortalità è una condanna, un
cappio, per il senza fede: una trappola logica. La fede, che in teoria vi si
basa e vi fa affidamento, ne prescinde. Si basta: è fonte di energia e arma per
superare l’incertezza – o la atonia, la cialtronaggine. Per quanto vaga,
“infondata”, essa possa riuscire a esame critico. Una droga, una simpamina.
Lascia liberi di accettare la vita vissuta, anche anonima e perfino sordida,
senza perdersi – senza cadere nella passività.
Self-deception – “Non la giusta percezione di sé,
è alimentare dentro di noi un inganno, assegnarci la parvenza di una bella
figura, cercando di dimenticare quel che di negativo, di vergognoso, c’è in
noi” – Edgar Morin. È il rimosso, il procedimento di rimozione, con un che di
voluto, programmato.
Stupidità – Jean Paul, che ne fece l’elogio,
la vuole indefinibile, legata alle sue proprie manifestazioni, e una sorta di
specchio: “Ognuno apprezza la stupidità che più somiglia alla sua”.
O un metro universale: la
stupidità di Jean Paul si elogia da sola, scendendo cioè dove più basso non
si può, ma se alza il capo e guarda in alto non trova che stupidità.
Quella biblica,
dell’“Ecclesiaste”, è cosmica, di pessimismo radicale: “Infinito è il numero
degli stolti”. Se non che, come pare, questo è un senso ciceroniano, che il
traduttore san Gerolamo avrebbe soprammesso, ma estraneo all’originale ebraico
e alla versione dei Settanta, che invece recita tutt’altro: “Ciò che manca non
si può contare”. È di Cicerone la moralità “stultorum plena sunt omnia”
– ripresa da sant’Agostino (“Contra Academicos”): “Immensa è la folla degli
imbecilli”.
Fra i tanti che ne hanno trattato,
i più la legano alla risata – come se ridessero solo gli stolti. O alla
saggezza, come una forma di furberia. A partire da Cassiodoro: “La stupidità al
momento opportuno è la più grande saggezza”. Fino a von Hofmannstahl: “La
stupidità più pericolosa è un’acuta intelligenza”. Un’ambivalenza che ha
inquietato soprattutto i letterati – Flaubert fra i tanti, Baudelaire giovane,
Musil, U. Eco, Gadda, Fruttero e Lucentini. E un paio di storici, tra essi lo
storico dell’economia Carlo Maria Cipolla.
In una forma lievemente diversa
Pascal ne fa carico a Montaigne, perché si crede pieno di saggezza –
l’intelligenza non si vuole apodittica, specie in materia morale,
controvertibile.
Deleuze osserverà che la bête,
bestia in francese, non è soggetta alla bêtise, la stupidità.
L’intelligenza artificiale la
metterà fuori corso? Saremo tutti se non sapienti, nella condizione di sapere,
senza ostacoli all’ingresso.
Ma è la stupidità l’opposto
dell’intelligenza? O: quanto è intelligente l’intelligenza artificiale?
zeulig@antiit.eu
Lasciarsi a Roma, borbottando
Un amore romantico, tra compagni di dieci anni
che più non si sopportano, anonimo su Whatsapp. Lui, romanziere in crisi,
redattore a tempo perso della posta del cuore di un sito, innamora lei, manager
multinazionale (spagnola a Roma, presto trasferita a Londra) di una società di
videogiochi, con la quale nella realtà convive stancamente. Come a dire: sarebbe facile passare sopra alle incomprensioni -ma non è così.
Il racconto di una
separazione, sempre fonte di angustia - il piatto rotto non torna mai come prima, ma questa semplice verità in amore pare non sia accettabile. Intrecciata con una separazione che avrebbe
ogni ragione di farsi, giocata non sulle disillusioni e i malintesi quanto sui
ruoli di genere, lei non essendo più la ragazza di un tempo, si è fatta sindaco
di Roma, figurarsi, e lui annichilito.
Un racconto garbato,
bene intrecciato, dell’amore possibile e impossibile. Troppo adagiato sulla
naturalezza intesa come difetto di dizione. È un omaggio a Roma, di cui offre lusinghiere immagini, ma è un racconto parlato, e quindi sperso nei
borbottii confusi che sostituiscono il dialogo, e nello spagnolesco della
protagonista (Marta Nieto) - per il resto perfetta nel ruolo. Meglio si salva
la storia della sindaca (Claudia Gerini) e consorte (Stefano Fresi), che sanno recitare
distinto, risultando perfino più realistici.
Edoardo
Leo, Lasciarsi un giorno a Roma, Sky Cinema
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