sabato 22 gennaio 2022
Ombre cinesi
Fra i 200
e 300 milioni di cinesi, lavoratori immigrati dalla campagna, non hanno la
certificazione “hukou”, la residenza. Senza la quale non hanno diritto a scuola,
medico, ospedale, non possono comprare casa, non possono registrare l’automobile.
Poco meno della metà, sui 100 milioni, sono giovani, figli o nipoti di
contadini migranti, che continuano a non avere la residenza. Ogni anno tra i 6
e gli 8 milioni di cinesi affluiscono in città come sottoproletariato urbano.
Cronache dell’altro mondo – presidenziali (166)
Il presidente Biden celebra il primo anno di attività con un
video, raccontato da Tom Hanks.
“In undici mesi Biden ha
fatto più con 50 senatori democratici di quanto fece Barack Obama con 57”, cioè
con una maggioranza solida al Senato - David Frum, repubblicano, collaboratore
del presidente Bush jr.. Ma il suo indice di accettazione o popolarità è fra
i più bassi, per un presidente americano a un anno dall’elezione, al 42 per cento. E meno della metà dei Democratici lo vede ricandidato per un secondo mandato.
Nel primo anno di Biden Wall Street ha fatto molto meglio, quasi
il doppio, che nel primo anno di Trump: l’indice S&P 500 è cresciuto del
37,4 per cento, contro il 21,3 di Trump. Benché nello stesso anno l’inflazione si
sia gonfiata a livelli pericolosi, tali da indurre ad horas a una
stretta monetaria.
Biden, vecchio senatore, da quasi cinquant’anni, trova problemi al
Senato, pur avendo il suo partito, il partito Democratico, una sorta di
maggioranza relativa dei seggi, 50 su 100. Due dei 50 senatori democratici, Manchin
e Sinema, votano abitualmente contro di lui.
L’intervento di Biden sulla pandemia da covid, con l’obbligo di
vaccinazione sul luogo di lavoro e per i dipendenti federali, è
stato bocciato dalla Corte Suprema in quanto la sanità non è materia federale ma dei singoli Stati.
La proposta di una legge federale, uguale in tutti gli Stati Uniti,
sui diritti di voto, anch’essa di origine presidenziale, è stata bloccata dai
senatori Manchin e Sinema col sostegno alla pratica del filibustering, l’ostruzionismo
parlamentare, che il progetto di legge presidenziale escludeva su questa
materia.
Il New Deal di Biden, con cui aveva inaugurato la presidenza, il
piano di rifacimento del tessuto infrastrutturale, Build Back Better Act, già
dimezzato dal Congresso nei progetti di spesa, è ora soggetto a spezzettamenti,
per settori e “priorità”.
Contro i pidocchi dell’animo
Gli ulivi della Puglia,
aggrediti dal pidocchio, contro il quale nessun insetticida incide, fanno da controparte,
rocciosi, millenari, rinsecchiti, a una ragazza fresca di studi di agronomia,
figlia disciplinata, nipote amorevole, e determinata. A trovare l’insetto in
grado di aggredire il pidocchio. Quando pensa di averlo trovato, il padre ha
dato in affitto i terreni, “sono tre anni che non producono niente”, a “persone
che sanno”. Che ne fanno la discarica notturna di rifiuti industriali velenosi.
Una trama semplice
per un racconto di atmosfere. Notturne per lo più. Scandite con lentezza. E di
un mondo che è molto meridionale – affettuoso ma di nessun civismo, chiuso e
cupo per i giovani, passivo più che rassegnato - e molto femminile: di complicità
e di volontà, di iniziativa. Di immagini notturne per lo più, grigie, di un mondo
che si ritrae e si fa abbandonato. Misteriosamente attraenti: all’ombra delle
cimini ere remote, in un mondo di riti ormai spenti, i carri allegorici, i
fuochi, le frasi fatte, si consumano le ingenuità, le aspettative, i disegni di
pulizia dei giovani.
Un film che in
sala è andato deserto, ripreso da Sky
Danilo Caputo,
Semina il vento, Sky Cinema
venerdì 21 gennaio 2022
Letture - 478
letterautore
Ariosto - È il precursore di
Cervantes, del declino della cavalleria – della sazietà di epopee
cavalleresche? È un lampo di Ernst Jünger, nelle noterelle del 1951 “Polarisations
am Kieselstrand”, sulla spiaggia dei ciottoli, scritte nell’estate del 1951 a
Antibes (sulla plage des Galets), dove ricorda che anticipò l’avvento delle
armi da fuoco.
È la funzione del poeta, di far accadere
il futuro anticipandolo, ma Jünger dice di più nel caso di Ariosto, che il
futuro fa anticipare da uno che ne sarà vittima: “È in questo senso che Ariosto
fa apparire nel suo poema l’arma da fuoco, prima della sua scoperta, come segno
anticipatore del declino della cavalleria”.
Borghesia – Sciascia ne fa
la classe della virtù – “Fuoco all’anima”, 83: “La borghesia è una classe, così
come uscirà dalla Rivoluzione francese, dedita alla virtù. E dedita anche alla
moltiplicazione delle ricchezze… Voltaire, ad esempio, sente l’orgoglio della
ricchezza. C’è una lettera in cui elenca i suoi beni e dice: «Il mio povero collega
Rousseau fa la fame»”.
Capro espiatorio – Più semplice dell’antropologo
e filosofo Girard, lo fa spiegare Primo Levi in “Se non ora, quando?” a uno dei
personaggi, l’orologiaio ebreo Mendel: “Un tempo, nel giorno dei perdoni, gli
ebrei prendevano un caprone; il sacerdote gli premeva le mani sul capo, gli
enumerava tutte le colpe commesse dal popolo e gliele imponeva addosso: il colpevole
era lui e solo lui. Poi, carico dei peccati che non aveva commesso, lo
cacciavano nel deserto. Così pensano anche i gentili, anche loro hanno un agnello
che si porta via i peccati del mondo”.
Doppiezza - È di sinistra,
spiega Sciascia (Fuoco all’anima”, 63), lamentando “la doppiezza della vita
italiana”, della vita in genere, non solo di quella politica: “È un malcostume
da addebitare soprattutto alle sinistre. Si dice una cosa in privato e se ne
dice un’altra – l’opposto – in pubblico”. E con l’interlocutore che gli obietta
essere le sinistre in via di estinzione (nel 1989….) insiste: “Ormai il danno è
fatto, è entrato a far parte del costume italiano”.
Anna Frank – La denuncia dei Frank fu dunque opera del notaio Arnold van den Bergh, ebreo, membro del Consiglio ebraico di Amsterdam, anzi della commissione del Consiglio che doveva selezionare i nomi degli ebrei da inserire nelle liste di deportazione, in teoria ai lavori forzati.
C’è, in questa denuncia come in altre attività imposte agli ebrei dal nazismo, una sorta di complicità che Primo Levi in qualche modo giustificava, ne “I sommersi e i salvati” - a proposito della “zona grigia”, la nozione elaborata dallo storico olandese Jacob Presser: “È ingenuo, assurdo e storicamente falso ritenere che un sistema demoniaco, qual era il nazionalsocialismo, santifichi le sue vittime: al contrario, esso le degrada, le sporca, le assimila a sé”. Ma fino a un certo punto. E poi c’è chi si ribella - e lo ha fatto, dentro a fuori della Germania.
Anche nel rastrellamento del ghetto di Roma il 16 ottobre 1943, c’era di mezzo, sia pure marginalmente, una giovane ebrea, Celeste Di Porto, la “Pantera Nera”, fidanzata di un poliziotto, al quale aveva denunciato parecchie famiglie del ghetto. L’etnia non era allora sentita, non in modo eminente, malgrado le leggi razziali del 1938.
Primo Levi – Nel tardo
romanzo “Se non ora, quando?”, il suo unico romanzo, 1982, cinque anni prima
della morte suicida, Primo Levi fa spiegare a un personaggio incidentale, una
Francine francese salvata dal lager, il disagio che traspare in ogni suo
scritto, del “salvato”: “In Lager nessuno si uccideva. Non c’era tempo, c’era
altro da pensare, al pane, ai foruncoli. Qui c’è tempo, e la gente si uccide. Anche
per la vergogna”. “Quale vergogna? - chiese Line: - Si ha vergogna di una colpa
e loro non hanno colpa”. “Vergogna di non essere morti – disse Francine. – Ce l’ho
anch’io. È stupido ma è così. È difficile spiegarla. È l’impressione che gli
altri siano morti al tuo posto; di essere vivi gratis, per un privilegio che
non hai meritato, per un sopruso che hai fatto ai morti. Essere vivi non è una
colpa, ma noi la sentiamo come una colpa”.
Francine poi scompare, e parla di colpa e
suicidi appena salvata dal lager, quindi ancora in cenci e a rischio vita. Per
molti aspetti, una copia di Primo Levi. È una dottoressa, anche se “in Lager
non aveva potuto esercitare il suo mestiere perché non sapeva bene il tedesco”,
“non parlava jiddish, non lo capiva, e quando era a Parigi non sapeva neppure
che lingua fosse”, in realtà a Parigi non si sentiva “ebrea”, cioè diversa, un
po’ come lo stesso Levi prima della deportazione, e “aveva ancora i capelli,
come dottoressa non glieli avevano tagliati, i tedeschi hanno regole precise”.
Molière – È dimenticato, non più rappresentato,
da anni, ma è, si direbbe, d’attualità più che mai, col “Medico per forza” e
anche col “Malato imaginario”: le sue scene sembrano tratte dai talk-show che
imperversano, o viceversa. Lo ricorda Marino Niola sul “Venerdì di Repubblica”,
per quei suoi “dottori boriosi, paludati, arroganti e saccenti”, che “si affrontano
a colpi di citazioni latine” Per épater
le bourgeois, come usava, per sorprendere, tramortire i bravi borghesi. La
pandemia è stata mortale, ma è anche molieriana.
“Molière è un monumento d’ironia”, Sciascia,
“Fuoco all’anima” 108.
Parigi – Non solo Calvino, anche Sciascia
si era stabilito a Parigi, nel 1977. Anche Miriam Mafai. Per sfuggire al disordine
italiano – rappresentato, paradossalmente, dal compromesso storico, Moro sarà
rapito l’anno dopo? Per via di un immobiliarista specialmente abile?
E.A.Poe – “Lo straordinario, in questo spirito,
è la sua sobrietà” - Jünger, “Trattato del ribelle”, lo vuole esemplare:
“Sentiamo il tema prima ancora che il sipario si alzi, e sappiamo dalle, prime misure che lo spettacolo diventerà soffocante”.
Di “austerità matematica”. E di densità: “Le figure sono in lui figure del
destino, ciò che le riveste di una magia senza eguali”.
Sciascia – Wikipedia lo
ascrive al Partito Comunista Italiano.
La polemica di Sciascia col Pci fu
continua e anche astiosa – ebbe solo rapporti con Antonello Trombadori, per
essere entrambi collezionisti d’arte, e con Emanuele Macaluso, federale atipico
del Pci in Sicilia. Nelle conversazioni che ebbe nelle ultime settimane di vita
con Domenico Porzio e ora si ripubblicano (“Fuoco all’anima”), è molto negativo,
addebitando al Pci la “doppiezza”, e la “confusione” politica.
Settecento – Un teatro, e
quindi un tempo di speranza? È l’opinione di Sciascia, “Fuoco all’anima”, 78: “Il
Settecento era un’epoca di grande speranza… Anche Manzoni è un figlio del Settecento,
come Stendhal”.
E ancora, 79-80: “Il Settecento è un gran
secolo anche per questo: perché l’amore è solo un gioco di gioia, nient’altro. I
corpi, l’incontro dei corpi. Ci fossero o non delle remore, la cosa era vissuta
senza tormentosa passione. Nel Settecento la vita si era costituita in finzione.
Una recita, una rappresentazione”.
Tucidide – “Un disegnatore, a spese di
Erodoto” – Ernst Jünger, “Polarisations Am Kieselstrand”: “In un mondo in cui i
daltonici dessero il tono, i grigi prevarrebbero”.
Vangelo – È di giovani – per i
giovani? Domenico Porzio, scrittore di fede, lo nota in conversazione con
Sciascia, nella lunga intervista “Gli anni delle passioni fredde”, pubblicata sul
“Corriere della sera” il 19 luglio 1987 (in realtà una serie di considerazioni
di Porzio, intervallate da incisi di Sciascia), sul tema della vecchia, “de
senectute”: “Il Vangelo è abitato da giovani, con rare eccezioni: Elisabetta,
Zaccaria, non necessariamente i Magi; e c’è l’infermo della piscina di Betzata,
se era paralitico da trentotto anni. Gesù predilige i bambini”.
Vittorini - Venuto a
parlare di Vittorini con Domenico Porzio, in “Fuoco all’anima”, Sciascia dice
che non regge la rilettura: “Il Vittorini industriale è finito. Non che sia granché”,
aggiunge, “il Vittorini siciliano, bisogna riconoscerlo”. Nemmeno il primo libro?,
chiede Porzio. “A me cascano le braccia”. È il Vittorini di “Conversazione in Sicilia”.
letterautore@antiit.eu
Dante millenarista, con juicio
Due
mondi diversi, a un secolo di distanza. Gioacchino, benché
cistercense e abate, nato probabilmente da famiglia contadina, servo della
gleba, in un remoto villaggio pedemontano, portinaio del convento cistercense
di Sambucina, poi girovago per varie altre abbazie, prima di fondare il suo proprio
ordine, Florense, Dante ipercolto, uno degli ottimati della signorile e democratica
Firenze, banchiera d’Europa.
“Una importante componente del
misticismo di Gioacchino è greco-orientale, per la cui formazione avevano concorso
testi biblici e paleocristiani. Presto corretti dai Normanni in senso latino,
nonché dal monachesimo, “dai temi lavoristici dell’ordine benedettino e di
quello cistercense”. Il francescanesimo aveva riproposto il misticismo anche in
mondi remoti da quello greco-ortodosso, ma presto si era fatto confuso.
Una
distanza doppia: “Gioacchino era ancora il Medioevo che tramandava arcaici,
orientali, immobili miti in una Calabria lontana “dalla rinascenza”, mentre “in
Toscana la rinascenza verdeggiava”.
Distanti
anche le concezioni. “Per Gioacchino, monaco di Calabria e nutrito di libri
sacri testamentari e profetici, occidentali e orientali, c’è un mondo mistico
da preparare, il mondo del contemplante e del santo”. Questo è vero anche per Dante.
“Ma in Gioacchino non c’è la filosofia della storia umana che c’è in Dante”.
Fatte
le distanze, resta che Dante è onnivoro. Fagocita tutto, e non è sordo “al
richiamo delle voci profetiche”. Più che un rapporto da maestro a discepolo, un
mondo, per quanto remoto, cui Dante non rinuncia.
Il
saggio è soprattutto interessante per la ricostruzione del mondo giaochimita,
fisico e culturale.
Antonio
Piromalli, Gioacchino da Fiore e Dante, Rubbettino, pp. 73 € 4,56
giovedì 20 gennaio 2022
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (480)
Giuseppe Leuzzi
Presentando la riedizione di “Fuoco all’anima”, le conversazioni tra suo padre Domenico Porzio e Sciascia, il musicologo Michele Porzio trova per gli interlocutori questa sintetica definizione: “Entrambi originari del Meridione, sebbene di parti, la Campania e la Sicilia, che più dissimili non potrebbero dirsi, l’una d’impronta gioviale, l’altra saturnina”.
L’autostima
è il miglior capitale
Si assiste sbalorditi
al primo ministro inglese Boris Johnson, scarmigliato più del solito, che si
scusa ai Comuni di avere organizzato un party di cento persone, nella piccola residenza
di Downing Street, con l’invito “bring your bottle”, porta la bottiglia, di gin, di whisky, contraddicendo le sue ordinanze anti-assembramento. Un po’ perplessi
anche, che i deputati inglesi le accettino per buone, le scuse. Anche perché Johnson,
non da ora, sembra un buffone più che un primo ministro – un fool, un buffoncello,
che balla ogni ballo, ora europeista ora anti, ora pacifista ora guerriero, ora
maschilista ora femminista. Ma è bene il primo ministro della Gran Bretagna, di
maggioranza solida, di numeri e di nervi.
Anche i reali
d’Inghilterra sembrano strani. La regina piange un marito che le ha mancato in
continuazione di rispetto. Dei loro quattro figli, tre sono, usava dire,
scapestrati. Uno ha sposato contro la sua volontà una ragazza, salvo tradirla uscendo
di notte dal palazzo nascosto nel vano bagagli per andare dal suo amore di sempre,
una matura signora sposata. Una si è messa col suo istruttore di equitazione. E
uno, benché sposato a una donna, per quanto aristocratica, piuttosto godereccia, preferiva
andare a puttane, minorenni.
Ciononostante
la nazione, l’Inghilterra perlomeno se non il Regno Unito, è ben solido: nessuno si fa un
problema. Il settimanale “The Economist”, testo sacro del liberalismo, che anni
fa fece una copertina su Berlusconi, “è quest’uomo adatto a governare
l’Italia?”, non ha fatto, nonché una copertina, un articolo su Johnson, “è quest’uomo
adatto a governare la Gran Bretagna?”.
L’autostima regge anche il dileggio.
Milano,
la giustiziera d’Italia
Il
“Financial Times” fa un lungo servizio su Rocco Commisso, l’imprenditore americano
di Marina di Gioiosa Jonica che ha rilevato la squadra di calcio Fiorentina. Un
personaggio evidentemente di rilievo, per il pubblico internazionale del
quotidiano.
Fondatore
nel 1996 di una società di telecomunicazioni via cavo, attiva nelle regioni
meno popolose degli Stati Uniti e per questo trascurate dalle grandi compagnie (partendo,
ricorda, dal deserto del Nevada, dalla Valle della Morte), “oggi Commisso,
secondo ‘Forbes’, è la 352ma persona più ricca del pianeta”, questa la presentazione,
“con una ricchezza stimata in 7,2 miliardi di dollari”. Ha investito nella Fiorentina
in poco più di due anni 340 milioni di dollari: 170 per l’acquisto, 80 per
coprire perdite vecchie e nuove, specie causa covid, e 90 per un centro
sportivo a Bagno a Ripoli, il Viola Park, 25 ettari di cui 22 disponibili –
“sarà il primo bene di proprietà del club”. Ha investito nel calcio, spiega,
nei Cosmos di New York e ora nella Fiorentina, per una sorta di debito verso lo
sport che gli ha consentito di studiare e farsi imprenditore. Emigrato da
Marina di Gioiosa a 12 anni, per raggiungere il padre a New York, si è pagato gli
studi, fino alla Columbia University, con le borse in quanto animatore della
squadra di calcio dei college. Ha partecipato anche alle selezioni per la
squadra olimpica 1972, l’Olimpiade di Monaco di Baviera, ma era fuori forma – “fumavano
negli spogliatoi”, ricorda.
Il
padre, arruolato nella seconda guerra mondiale, fu prigioniero dopo Alamein delle
truppe inglesi per cinque anni. Commisso, nato dopo la liberazione, nel 1949, sarà
chiamato Rocco Benito. Ma come ex prigioniero di guerra degli Alleati il padre
aveva titolo preferenziale a emigrare negli Stati Uniti, e ne approfittò. Lasciando
la moglie e quattro figli a casa, “con un dollaro al giorno”, dice Commisso,
“neanche. Dovevi farcela. Ma non mi sono mai sentito povero”. Nel 1961
raggiunse il padre.
Commisso
non è contento dell’investimento. Troppi trucchi, lamenta, con i procuratori, e
troppa burocrazia. Per il Viola Park gli hanno fatto raddoppiare l’investimento,
tra ritardi, varianti, vincoli di vario ordine, storici, architettonici, archeologici,
e secondo lui non è finita. Troppe beghe
di procure e agenti, con troppi soldi ballerini, insomma, quello che si sa, il
calcio è furbo infetto. Ma non è questo il punto.
Una
pagina abbondante del “Financial Times” per raccontare Commisso, assortita di numerose fotografie. Il
quotidiano ha incaricato dell’intervista il suo capo della redazione sportiva,
Murad Ahmed. Ahmed ha passato due giorni a Firenze, per entrare nei problemi
della Fiorentina e nello spirito del personaggio, e ha fatto successivamente
l’intervista in “un lungo pranzo”. Commisso chiede di rivedere il testo prima
della pubblicazione. Ahmed obietta che questa non è la politica del giornale. E
Commisso si dice: “Allora dovrò stare attento”. Ma poi si esprime in libertà.
Per
la “Gazzetta dello Sport”, invece, chi è Commisso? Il quotidiano milanese lo ha liquidato mesi fa, con il vice-direttore Andrea Di Caro: “Questo don Rocco più che da un grande gangster movie di Coppola
o Scorsese pare uscire da un film «poliziottesco» all’italiana di serie
B”.
Il
“Financial Times”? Milano c’incarta il pesce.
Il
viaggio, tra fratelli
Sollecitato
da Domenico Porzio (“Fuoco all’anima”) con lunghi e ripetuti riferimenti al “Viaggio
in Sicilia e a Malta” di Patrick Brydone, il reportage in forma di
lettere, inviate al cav. William Beckford of Somerley, pubblicato nel 1773,
Sciascia risponde infine con una precisazione: “Lo trovo un bel libro, ricco di
notizie e molto attendibile anche per i riscontri che si trovano nelle parole
di altri viaggiatori. Tutti costoro, secondo me, hanno in comune un elemento
che non è stato abbastanza indagato: sono massoni. Brydone era massone, e chiunque venisse qui,
lo faceva con commendatizie massoniche. Si trovavano in un ambiente fraterno.
Erano massoni anche i prelati….”
William
Beckford of Somerley (da distinguere dallo scrittore gotico) è classificato
imprenditore e scrittore giamaicano, pur vivendo il più del tempo in Europa,
tra Roma, la Svizzera e Londra. Qui definitivamente, avendovi sposato la cugina
Charlotte Hay. Con una lunga parentesi in Giamaica, piantatore di canna da
zucchero nei terreni ereditati dal padre Richard – un’esperienza finita col
carcere per debiti. Tornato a Londra scrisse due libri sulla Giamaica, “Situations
of Negroes in Jamaica”, e “Account of the Island of Jamaica”. Accompagnato da
Brydone aveva fatto nel 1767, a 23 anni, il primo viaggio in Europa, Italia compresa.
Era nato in Giamaica figlio illegittimo, perché il padre Richard e la madre, Elisabeth
Hay, vissero da conviventi.
Brydone,
scozzese, scienziato autodidatta come era la moda dopo Benjamin Franklin, con
alcuni esperimenti di elettricità, poi militare, col grado di capitano, nella Guerra
dei Sette Anni, a partire dal 1763, a 27 anni, s’inventò e praticò la
professione di travelling tutor, di accompagnatore dei ricchi visitatori
in Europa, dapprima con sede in Francia, poi, dal 1764, a Losanna. Prossimo ai
cinquant’anni smise di viaggiare, si ritirò a Londra, si sposò, e fece tre
figlie.
Viaggi
laici, dunque. Da qui forse il rilievo che danno alle pratiche di devozione.
Ma,
con l’inciso “attendibile anche per i riscontri” di altri viaggiatori, Sciascia
si lascia sfuggire il dato forse preminente dei tanti libri di viaggio al Sud:
che molto è riscrittura, i viaggiatori s’informavano soprattutto da chi li
aveva preceduti. Come molti inviati speciali quando c’era ancora questa
professione nei giornali: molti partivano con l’archivio (uno, piuttosto
famoso, mandò un’intervista – che venne pubblicata - di una pagina con un
cardinale morto da un anno, collazionando i ritagli: il lavoro dell’archivio
era in arretrato).
Mafiologia
Organizzato. “Si
dice così, si diceva così nei ghetti, nei Lager, in tutta l’Europa nazista. Una cosa
che uno si procura illegalmente si chiama organizzata”, Primo Levi, “Se non
ora, quando?”, 32. Questa è sfuggita agli aedi della mafia, farne la vittima,
legarla alla Resistenza.
“Per
me la sociologia è una scienza inesistente”, afferma Porzio in conversazione
con Sciascia (“Fuoco all’anima”, 70). Sciascia conviene: “E ne discendono tante
cose, perfino la mafiologia!”. “Esiste la mafiologia?” “Esiste. Esistono
cattedre”. “Cattedre di mafiologia? E dove sono? “Ce ne sono un po’. Credo che
ce ne sia una all’università di Bologna. Insomma, si arriva al punto
d’insegnare la mafia quando non c’è un solo documento scritto!”.
La
conversazione si svolgeva nell’autunno del 1989, qualche settimana prima della
morte dello scrittore. Poi le cattedre di mafia e criminalità si sono
moltiplicate.
“La
paura non si combatte con nuovi preparativi di guerra ma con la scoperta di
nuovi accessi alla libertà”.
“La
sovranità si trova meno, ai giorni nostri, nelle decisioni generali che nell’uomo
che abiura la paura nel suo intimo”.
“Gi
avversari finiscono per somigliarsi, al punto che non è più difficile
indovinare in essi la mascheratura di un solo e unico potere”.
Ernst
Jünger, “Trattato del ribelle”, § XVII.
leuzzi@antiit.eu
Misteri massonici, e rivoluzionari
Hegel e Hölderlin,
giovani precettori dopo il seminario insieme a Tubinga, il futuro filosofo a Brema,
il poeta da varie località, Jena, Stoccarda, Francoforte, dialogano per lettera
tra il 1794 e il 1796, incitandosi reciprocamente a “lavorare”, secondo le
rispettive ambizioni, e cercando – Hölderlin per Hegel – una migliore
sistemazione a Francoforte. Il ritratto di una forte amicizia, estratto dalle
lettere di Hölderlin. Delle difficoltà in cui vivevano i giovani universitari
che non potevano accontentarsi della borsa di studio da dottorato, con prospettiva
di ricerca\insegnamento, – e quindi si impiegavano come istitutori presso le famiglie
abbienti – un lavoro ben retribuito ma, in termini odierni, deprimente.
L’ultima fatica probabilmente
di Luciano Parinetto, il filosofo e musicologo bresciano. Che il ritratto dei due
giovani organizza attorno a una breve scelta dell’epistolario di Hölderlin. In
particolare attorno al poema “Eleusi”, che Hegel spedì a Hölderlin nell’agosto
del 1796. Un recupero della tradizione misterica, che Parinetto spiega con sicuri
riferimenti massonici, comuni a entrambi. Così come entrambi condividevano gli
impeti rivoluzionari che venivano dalla Francia. Al coperto, anche questi.
Parinetto vanta per questa edizione la prima traduzione del carteggio superstite Hegel-Hölderlin, e la prima traduzione del poemetto hegeliano in endecasillabi.
G.W.F. Hegel-J.C.F.
Hölderlin, Eleusis, carteggio, Mimesis, pp. 91 € 5,90
mercoledì 19 gennaio 2022
Ombre - 597
Carlos Tavares, ad di Stellantis (Fiat-Peugeot): “Un anno fa ho notato che in Italia il costo di produzione di un’auto era significativamente più alto, a volte il doppio, rispetto alle fabbriche di altri paesi europei, nonostante un costo del lavoro più basso. Questo ha a che fare con l’organizzazione della produzione”. Dopo la cura Marchionne, la Fiat era ancora all’Ottocento.
“Un problema particolare che riguarda l’Italia è il
prezzo fuori misura dell’energia”, spiega ancora Tavares. Terreno di pascolo,
si sa (ma non si dice), per tutto il sottogoverno. Specie per quello democristiano,
l’energia è “bianca”, ma non solo. Senza cuore, bisogna però dire: come si fa a
far pagare il kWh il doppio che fuori d’Italia, anche all’industria? Mettendoci
dentro perfino degli “oneri di sistema”, il finanziamento, legale, abbondante, che
paghiamo in bolletta ai compagnucci della parrocchietta che piantano qualche
pala eolica, di seconda mano
Il
dentista che si fece vaccinare su un braccio finto, di silicone, per paura di
una puntura, riapre lo studio. Ma che dentista è, che deve fare le delicate iniezioni
anestetiche in sulle gengive ai pazienti? Si va dal dentista alla cieca?
Fanno
un po’ pena le Generali preda infine della finanza cattolica – la Fondazione Del
Vecchio è scesa a Roma in campo, con la Fondazione Sanità Cattolica del Vaticano,
contro i predatori ambrosiani. Fanno pena perché sono preda di un gioco di
potere, non di un investimento, di un rilancio, di una prospettiva.
Già
vent’anni fa Generali furono oggetto di scalata cattolica, a opera di Bazoli. Bloccato
da Antonio Fazio, governatore della Banca d’Italia, allora grande azionista –
un altro cattolico, ma dello stampo sturziano, “popolare”. Che per questo poi
finì all’inferno: l’anima cattolica è sempre e solo di potere.
È
affascinante - romanzesca dopo lo sdegno - la campagna di Berlusconi per farsi
presidente della Repubblica. A 85 anni. Malato. Condannato. Tirato in ogni
piega del viso, e probabilmente del corpo, fino quasi all’immobilità. Un uomo
solo, evidentemente. Senza figli, che pure ci sono, che lo aiutino. Senza amici,
che pure ci sono, Confalonieri, Dell’Utri, Verdini.
È però
strano che i media, che per trent’anni hanno maltrattato quest’uomo, prospettandolo
ladro, corruttore, evasore fiscale, stupratore, di minorenni, ne discutano (rispettino)
la candidatura al Quirinale. Quanto di più sciocco e ridicolo. Solo il potere
conta: il “realismo” del potere, che è ciò che unisce gli (ex) democristiani con
gli (ex) comunisti. Tutti persi, come Berlusconi?
Singolare
anche la mancanza di autonomia, di giudizio politico, degli atri capi del centro-destra,
Salvini, Meloni, Toti eccetera. Come se non sapessero che la candidatura Berlusconi
è una trappola – alla quarta votazione avranno un presidente che non hanno
scelto. Non sapersi regolare nei confronti di un leader vecchio e fuori dal
mondo è perfino incomprensibile, più che una mancanza di senso politico, di leadership.
Si
tace del Kazakistan che è centro di snodo, ferroviario, autostradale, della via
della Seta cinese terrestre. E che Putin, ristabilendo l’ordine, ha gettato un ponte
più solido con la Cina.
Si
tace anche che la Lituania, sfidando Pechino col riconoscimento di Taiwan,
certifica l’improba difesa di Putin, dell’“assedio” che la Russia subirebbe dai
paesi Baltici, oltre che dall’Ucraina. La politica estera non fa notizia? E
come se la fa.
Non è
vero che il sindaco di Roma Gualtieri nei suoi primi cento giorni ha solo
promosso i netturbini e i compagnucci della parrocchietta (un centinaio di
trombati di partito li ha fatti consulenti): ha anche rimosso tremila cestini
della spazzatura, commissionati da Raggi a un architetto non della parrocchia.
Però,
sembra di sognare - Gualtieri è anche un professore, di storia.
Il Csm,
che pure il presidente Mattarella presiede, continua a varare nomine, a capo
della Cassazione dopo la Procura di Roma, che sono regolarmente cassate dal
Consiglio di Stato, per la forma e per la sostanza. Nomine irrituali, e anzi
illegali, contro le procedure e i titoli, e tutte di parte politica, di
Magistratura democratica.
Positivi negativi al lavoro
“Contagi: si scopre solo
il 15-30 per vento dei casi”. Gabanelli e Ravizza sul “Corriere della sera” “scoprono”
che “potrebbero esserci fra otto e sedici milioni di italiani che si sono
contagiati tra fine dicembre e la prima metà di gennaio”. Milione più milione
meno, il contagio sembra universale, ognuno lo vede. In troppi pochi giorni per
esere effettivamente un contagio, ma è certificato dai tamponi, anche se inattendibili
– non lo sono per legge.
Le proiezioni di
Gabanelli e Ravizza sembrano confermate dai certificati di malattia. Dagli
assenti al lavoro. Specie nel pubblico impiego, arcipelago vasto, dove quasi
tutte le funzioni non sono espletabili a distanza. Nel lavoro domestico. Nei servizi
alla persona in genere.
Troppo e confuso abbaiare
favorisce il disimpegno, l’allarmismo lo giustifica. È peraltro un fatto che
il contagio sembra avere travolto anche il solido Draghi, dopo l’acchittato vagante
avvocato Conte.
Le istituzioni non sono
state in grado di organizzare una rilevazione efficiente del virus, in due
anni? Sembra impossibile. La confusione però è evidente. E le due cose hanno un
solo autore: la mano pubblica.
Ecobusiness
“L’elettrificazione
(della circolazione auto, n.d.r.) è una tecnologia scelta dai politici. Non dall’industria.
C’erano modi più economici e veloci di ridurre le emissioni” nocive.
“L’auto eletrica costa il 50 per cento in più.
Per limitare l’impatto di questi costi bisogna avere in cinque anni aumenti di
produttività del 10 per cento medio l’anno, mentre l’industria automobilistica
in Europa raggiunge di norma il 2 o il 3 per cento. Vedremo tra qualche anno
quali produttori saranno sopravvissuti e quali no”.
“Tra
dieci o quindici anni conosceremo anche i risultati reali dell’elettrificazione
nella riduzione delle emissioni nocive”.
Il
fabbisogno accresciuto di elettricità “rimette l’energia nucleare nell’agenda a
opera degli ambientalisti”.
“Dobbiamo
anche parlare dell’impronta di CO2 delle batterie. Un veicolo elettrico deve percorrere
70 mila km prima di compensare l’impronta di CO2 creata dalla fabbricazione
della batteria”.
Carlos
Tavares, amminstratore delegato di Stellantis.
Bernini capobastone
“Gli artisti che
lavoravano a Roma dovevano subire la sua «dittatura». Per oltre cinquant’anni
dovettero accettare, volenti o nolenti, la supremazia del Bernini…. E furono
proprio i suoi più stretti collaboratori a subire talvolta le conseguenze più
pesanti”. Primo fra tutti Francesco Borromini. Bernini si fece pagare il
Baldacchino di san Pietro e palazzo Barberini senza nulla dare a Borromini –
“il Borromini deluso e deriso”, dice il biografo Baldinucci, “lasciò e
abbandonò il Bernino, con questo detto: non mi dispiace che abbia avuto li
denarii, ma mi dispiace che gode l’onor delle mie fatiche”.
Un capomafia, pure
violento. Quando subodorò che la sua amante se la faceva col suo proprio
fratello, si appostò per ucciderlo, e mandò a sfregiare l’amante. Sopravvissuto
il fratello all’agguato, con sole due costole rotte, cercò di farlo fuori anche
in casa della madre, che lo denunciò, spiegando che, non trovando il fratello
Luigi in casa, lo aveva cercato “in S. Maria Maggiore”, la basilica lì vicino,
“con la spada in mano, e cercò per tutta la canonica con disprezzo di Dio” – ma
a nessun effetto, Bernini rispondeva al papa. Non si ritrovò per questo alla
corte di Francia, dove pure Luigi XIV dispose per lui accoglienze regali. Non
riuscendo a spadroneggiare, controllato
in ogni minima spesa o progetto di spesa dal ministro Colbert, e contestato dagli
architetti locali - il suo progetto per il Louvre fu accantonato – se ne tornò
a Roma.
In un mondo da
fine del mondo: “Molteplici «segni» apparivano in cielo su Roma e si abbattevano qua e
là paurose tempeste”. Le locuste sul Tevere. La grandine a pallettoni. Nel
febbraio del 1622 tre soli in cielo. A marzo “una preoccupante moria”. In piazza
Giudea una donna partorisce una “creatura con quattro braccia e quattro piedi”.
Un’altra, ai Pantani, “partorisce un demonio, o almeno una creatura che del
maligno aveva le sembianze”, che il parroco si rifiuta di battezzare. Al tramonto
il 12 agosto del 1629 “il cielo fu improvvisamente solcato da frecce, saette, spade
lucenti e scintille di fuoco”. Si tornava all’astrologia. Lo stesso papa Urbano
VIII Barberini, “che pure varerà nel 1631 a bolla Contra Astrologos, non
ne era immune” – ne era attivo praticante: “Nel mese di giugno del 1640una gallina
aveva fatto un uovo sul quale era disegnato, sia pure confusamente, lo stemma
dei Barberini. La vecchia (e scaltra?) proprietaria della gallina si ebbe un
premio di dieci scudi d’oro”,
Era anche la Roma
dei processi. “Il Seicento si era aperto con i sinistri bagliori del rogo di
Giordano Bruno”, spogliato nudo, legato a un palo. Campanella sopravvisse alla
lunga prigionia per saper ragionare di astrologia? Nel 1625 si condannava per
eresia Marcantonio De Dominicis, morto l’anno prima – era relapso, si
era riconciliato con la Chiesa in punto di morte, ma la sua confessione non fu
ritenuta sincera: il cadavere fu esumato, e arso, anch’esso in Campo dei Fiori.
Si faceva spettacolo di processi, e abiure o condanne, in piazza della Minerva,
al ponte dell’Angelo e altrove: erano gli “spettacoli” più seguiti, si concludessero
o no con roghi o squartamenti.
Ma fu un secolo pieno
anche di grande pittura e architettura. Non tutti subirono il capestro di
Bernini. Qualcuno operò a Roma prima del suo dominio: Caravaggio, Annibale
Carracci. Altri vi prosperarono chiamati e protetti da grandi famiglie e
cardinali: Velázquez, Rubens, Lorrain, Poussin. Pietro da Cortona pure, “morì
ricchissimo”. Ben remunerati, e garantiti in ogni capriccio, dalla divisa di
Paolo V Borghese e poi di Urbano VIII Barberini : “Pictoribus atque poetis
omnia licent”, agli artisti tutto è permesso. E poi di Clemente IX, “la breve,
felice stagione” del papa Rospigliosi, “definita da un anonimo francese «l’età
dell’oro del nostro secolo»”.
La città di uomini
si illustrò anche per storie e gesta di donne. Madame Mancini, Maria Mancini
Colonna, la “connestabilessa” nipote del cardinale Mazzarino, sposata
prudentemente a Lorenzo Onofrio Colonna, lontano dagli appetiti del Re Sole, a
Roma. Dove, scriverà”, “le persone più eminenti vivevano in un continuo
bordello”. Lei vi aprì un salotto più a modo. In concorrenza con la regina di Svezia,
neo convertita e romana per scelta. Accolta dalla città con onori anche più
trionfali di quelli riservati a Bernini in Francia – Bernini restaurò per lei
come arco di trionfo la porta d’ingresso di piazza del Popolo. Della regina Paita
dà un ritratto fuori quadro: “Una donna piccola di statura, un po’ gobba, il
naso aquilino, occhi grandi e vivaci sotto una fronte piuttosto ampia”. Con “gesti
e movenze più da uomo che da donna”. Un secolo come un’avventura.
Almo Paita, La
vita quotidiana a Roma ai tempi di Gian Lorenzo Bernini, “Corriere della
sera”, pp. 325, gratuito col quotidiano
martedì 18 gennaio 2022
Secondi pensieri - 470
zeulig
Coscienza – È il daimon di Socrate?
Luogo remoto, intimo, dell’essere, da cui una voce, più remota, lontana delle
parole, lo consigliava per un empito, lo spingeva, lo consigliava e lo guidava.
Esproprio – Si può pensare
come esproprio l’appropriazione-distruzione dell’ambiente. “Il sentimento profondo
della nostra epoca è ostile alla proprietà”, aveva notato già Jünger, “Trattato
del ribelle”, XXXII. Come ostile al rispetto, alla invalicabilità dell’individuo.
Vince il prepotente, e alla fine vince il furbo, il ladro.
Non è un esproprio
ai fini di una ripartizione della ricchezza in modo diverso, in qualche modo più
produttivo, avvertiva Jünger, è una distruzione, “il consumo del patrimonio” –
non s’intacca o si spreca la rendita, si assottiglia il capitale, Già Jünger lo
vedeva all’opera in campagna, nella distruzione del legno, del bosco.
Riso – È più umano del pianto,
l’ottimismo è meglio del pessimismo? “È più conforme alla natura umana ridere
della vita che piangerne”, annota Seneca, “La tranquillità dell’animo”. Certo,
Seneca tranquillo non fu, “consigliori” di personaggi come Caligola e Nerone,
infine suicida. Ma vale la notazione a lui cara, sempre nella “Tranquillità
dell’animo”, che Democrito, ridendo, conserva ancora qualche speranza, mentre
Eraclito piange per cose che dispera di cambiare. E, certo, l’ottimismo non ha
mai fatto male a nessuno.
Scienza – È
misura delle cose. Non nel senso metrico, ma di correlazione. “Scientia Dei
est mensura rerum”, nota Vico di passaggio nel “De Antiquissima Italorum
Sapientia” – attribuendo, parrebbe, l’osservazione peraltro a letture
tomistiche. Ma questo è detto anche per la verità, da Niccolò Cusano: “Veritas igitur, quae est ipsa rerum mensura” - o per la mente, come “mensura omnium rerum”.
La scienza non è sapienza. Le due parole di senso simile (da
una radice comune che significa “tagliare”, con le derivazioni logiche “decidere”.
e quindi “distinguere”) sono distinte da sant’Agostino, “De Trinitate”, XII: “Se la scienza è conoscenza delle cose temporali,
la sapienza è conoscenza delle cose eterne. Ambedue, però, sono
rivelate in pienezza in Cristo, nostra scienza e nostra sapienza.
Questa distinzione ci fa comprendere che la sapienza riguarda la
contemplazione, la scienza l'azione”.
Sant’Agostino considera la scienza “benefica alla sua maniera, se ciò che in essa gonfia o suole
gonfiare è dominato dall'amore delle cose eterne, che non gonfia, ma che, come
sappiamo, edifica. Senza la scienza infatti non possono esistere nemmeno le
virtù con le quali si possa dirigere questa misera vita in modo da raggiungere
quella eterna, che è veramente beata”. Ma conclude che “la sapienza riguarda la
contemplazione, la scienza l’azione”. Sulla traccia di san Paolo, “Prima Lettera
ai Corinzi”, 8, 1: “Ad uno è dato per mezzo dello Spirito il linguaggio della
sapienza, ad un altro il linguaggio della scienza secondo lo stesso Spirito”. La
differenza concettuale sant’Agostino fa risalire al “Libro di Giobbe”: “«Ecco,
la pietà è la sapienza, la fuga dal male è la scienza» (“Giobbe”. 28,
28). Questa distinzione ci fa comprendere che la sapienza riguarda la
contemplazione, la scienza l’azione”.
Stasis – Lo
stato d’assedio di Agamben è anticipato da Ernst Jünger nei tre scritti del
dopoguerra, “Oltre la linea”, con Heideger, da reprobi della denazificazione,
lo scritto divagante noto in Italia come “Trattato del ribelle”, e “Il nodo di
Gordio”. Nel “Trattato del ribelle” si limita a “segnalare per il momento” che
è “nell’arte (che) il tema dello stato d’assedio guadagna effettivamente in importanza”.
E nell’ arte, specificamente, in E.A.Poe: “Malgrado la loro austerità matematica,
le figure sono in lui figure del destino, ciò che le rivesta di una magia senza
eguali. Il maëlstrom è l’imbuto, l’abisso dalla corrente irresistibile, nel quale
ci attira il vuoto, il niente. Il pozzo
ci offre l’immagine della fossa, dell’accerchiamento che si rinchiude: lo
spazio si restringe senza posa e ci spinge verso i topi. Il pendolo è simbolo
del tempo morto, oggetto di misura. È la falce tagliente di Cronos, oscilla alla
sua estremità e minaccia il prigioniero intrappolato nei suoi lacci, e nello
stesso tempo può liberarlo, se sa servirsene”. Su questo intreccio, viluppo di
legami, “l’esperienza storica è venuta ad aggiungersi”. Non c’è scampo? Anche
solo per raccontarlo. Lo stato d’assedio come stato di necessità?
Stupidità
- “Se la stupidità non somigliasse tanto al progresso,
al talento, alla speranza e al miglioramento che a malapena possiamo
distinguerla, nessuno vorrebbe essere stupido”. Musil esordisce ricordando
quanto scriveva nel 1931, una freddura. Ora siamo nella primavera del 1937, c’è
Hitler in Germania, Musil ha già dovuto lasciare Berlino per Vienna subito nel
1933, l’Austria è ancora libera. Dovrà riemigrare l’anno dopo, dopo
l’Anschluss, avendo moglie ebrea, e alla Federazione Austriaca del Lavoro, che
si diletta dell’argomento per una serie di conferenze, ne fa un ghirigoro.
Parlare della stupidità, si schermisce, “può essere interpretato come
presunzione, arroganza”, etc.
La
conferenza si è trasformata in un saggio apprezzato di Musil in Italia, dove ha
avuto una dozzina di edizioni – non in lingua tedesca. Ma, concettosa, è
singolarmente vuota.
Il tema
sarebbe invece fertile. Da Jean Paul in poi. Kant aggiungerà: “La
stupidità è frutto di un cuore maligno”. “Ciò non è vero”, obietterà Hannah
Arendt, “la malvagità nasce dalla mancanza di pensiero”. Che non è stupidità,
“può riscontrarsi in persone di grande intelligenza”. Quanto alla stupidità
amorosa, è inattaccabile, dice Barthes. È la più trita, ma è anche
un’urgenza, un desiderio, una carne: “La stupidità è l’essere superiori.
L’innamorato lo è continuamente”, e se ne fa una ragione: “«È stupido –
dice - e tuttavia è vero»”.
O non sarà la condizione
umana, tra stupore e stolidità? Da cui cerchiamo di uscire, anche con la
stupidità propriamente intesa. La sua negazione è una delle grandi colpe della
contemporaneità: ha reso la vita – già gaudiosa – impossibile agli stupidi. La
stupidità si vendica contagiando gli abolizionisti: psicologi, analisti, anime
buone.
Jerphagnon, nell’opera cui ha lavorato
una vita senza decidersi a concluderla, pubblicando in vita solo un saggio
sugli imbecilli nei “Dialoghi” di Platone e in altre occorrenze classiche (“Au
bonheur des sages”), e uno, da cultore di sant’Agostino, sul “numero
incredibile di allusioni alla stupidità” nel vescovo di Ippona (“immensa è la
fola degli imbecilli”), ma ha voluto pubblicata postuma, “La sottise? (vingt-huit siècles qu’on en parle)”, la
stupidità dice “polimorfa e onnipresente”. In realtà
sfuggente: l’unica immagine che se ne prospetta, dice, è “la «sfera» di Pascal
– e prima di lui di Hermes Trismegisto: la sfera «il cui centro è ovunque e la
circonferenza in nessun luogo»”. Il fatto è che “una miriade di essere unici
pretende a ogni istante di decidere della stupidità di altri soggetti
altrettanto unici”. In un libello pure sveltissimo, l’antichista mette in fila
140, forse 150, scrittori-deprecatori della stupidità. E non cita molti altri
riferimenti noti: Jean Paul, Wilde (“Il solo peccato che conosco è la stupidità”
– poco prima dio essere condannato in un processo che lui aveva intentato), Musil,
Cocteau (“Il dramma della nostra epoca è la stupidità che si è messa a parlare”),
Cipolla.
La stupidità è
contagiosa, non si può sanzionarla - solo riderne. È come dice da ultimo Amélie
Nothomb nella “Metafisica dei tubi”: “Non si è trovato niente di meglio che la
stupidità per credersi intelligenti”.
zeulig@antiit.eu