sabato 29 gennaio 2022
Letture - 479
letterautore
Il viaggio di Dante lo facevano in tanti
“Il
viaggio nell’oltretomba non aveva nulla di originale in sé e peer sé. A parte l’«Eneide»
di Virgilio, il turismo ultraterreno era in gran voga fra gli scrittori del
Duecento, e non soltanto fra quelli cristiani. Secondo alcuni esegeti, Dante
avrebbe derivato la sua idea dalla letteratura araba, che di storie simili ne
aveva a bizzeffe. C’era il racconto del viaggio di Maometto in cielo, c’era la
leggenda persiana dell’ascensione di Arda Viaraf, c’era soprattutto il «Futuhat»
di Ibn Arabi, con una meticolosa descrizione dell’inferno e del paradiso che
somigliano molto, quanto ad architettura, a quelli della «Commedia»”. Così, con
semplicità anche se non con precisione veniva sciolta in anticipo, nel 1964, la
questione che tanta filologia illustre ha tenuto impegnata, Maria Corti, “Dante
e l’islam”, eccetera – e ci avrebbe risparmiato, se ancora si leggesse, i “Dante
ha copiato” della cyberscuola.
Nulla
di nuovo, o di speciale. Ma Montanelli è un narratore, come si sa dallo
speciale giornalismo, narrativo, con cui ha tenuto banco per decenni, di personaggi
e caratteri - gli “incontri”. Applicato a una più vasta scena - Dante, le sue
opere, Firenze e mezza Italia negli anni di Dante - sa andare su molte questioni
al nocciolo, senza inutili distinguo. Delle cose che non sa – nel capoverso
citato la letteratura persiana, che non è araba, Ibn Arabi e il “Futuhat” - fiutando
la pista giusta. La Firenze di Dante, e le tante corti su cui l’iperpolitico
Dante ostracizzato puntò, non saranno esumate a perfezione, ma se ne ha bene un’idea.
Un
racconto che anticipa le tante storie cui si dedicherà, con Roberto Gervaso - già
qui si poneva obiettivi ambiziosi, stando al sottotitolo: “Vita e politica nell’Italia
del Medioevo”. E un po’ lo redime dall’immagine di opportunista, in politica e
non solo.
Indro
Montanelli, Dante e il suo secolo, Bur, pp. 404 € 15
venerdì 28 gennaio 2022
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (481)
Giuseppe Leuzzi
Domenico Porzio fa grande caso, discorrendo con Sciascia per il libro-intervista “Fuoco all’anima”, dei viaggiatori stranieri al Sud nel secondo Settecento e nell’Ottocento. Ogni volta dovendo premettere che sono attendibili e informativi. In realtà no, se non per l’aneddotica urbana, di personaggi curiose e vicende strane. Il Sud viaggiato è pittoresco.
È però anche vero che è l’unico Sud che possediamo, del Sette-Ottocento. E del Novecento?
Sulle cento maggiori aziende eco-oriented italiane solo tre sono del Sud. Eppure ci sono molti soldi gratis (incentivi, benefici fiscali) se si punta sul “verde”, italiani ed europei. Si vede che non c’è più fame. Nemmeno l’appetito.
Il Sud accompagnato
Patrick Brydone, il viaggiatore scozzese del tardo Settecento in Sicilia e a Malta, si era fatto poi una professione di accompagnatore: accompagnava viaggiatori nel Mediterraneo, a pagamento. Ci voleva un accompagnatore per l’Est e il Sud Europa, posti pericolosi, qualcuno che conoscesse i luoghi e i percorsi, e garantisse una qualche protezione – Sciascia si dice sicuro che erano i locali massoni, che il viaggio si svolgeva tra massoni.
Brydone esercitò per una trentina d’anni – poi si ritirò a Londra, si sposò, a 47 anni, fece figli, e una vita domestica, evitò anche di scrivere di viaggi.
Il mestiere di accompagnatore al Sud fu tentato anche da Rimbaud, che a vent’anni, il 5 novembre 1874, due settimane dopo il suo compleanno, faceva uscire sul “Times”, in contemporanea con la pubblicazione a Parigi di “Una stagione all’inferno”, i versi che rivoluzionavano il modo di fare poesia, un annuncio: “A PARISIAN (20), of high literary and linguistic attainments, excellent conversation, will be glad to ACCOMPANY A GENTLEMAN (artists preferred) or a family wishing to travel in southern or eastern countries. A.R. nr.135. King’s Road. Reading”.
Era la terza fuga di Rimbaud a Londra, non più con Verlaine, questa volta col coetaneo Germain Nouveau. Senza mezzi, in un primo tempo era stato soccorso dalla madre e dalla sorella Vitalie, accorse prontamente, poi aveva trovato un insegnamento di francese a Reading – che non durò molto, un paio di mesi. Dopodiché tornò in famiglia, a Charleville. Reading sarà vent’anni dopo il carcere di Oscar Wilde - che ne uscirà con la “Ballata” omonima.
L’unità, un parto cesareo
Che l’unificazione dell’Italia sia stata fatta male, o sia venuta troppo presto, anticipata sui tempi previsti, per l’atto eversivo di Garibaldi, fu subito chiaro. Subito dopo, all’inaugurazione del Parlamento unitario eletto il 18 febbraio 1861, i deputati meridionali arrivati a Torino si trovarono nel mezzo di una campagna scatenata dalla “Gazzetta del popolo”, che li accusava del diritto a viaggiare gratuitamente, portando con sé parenti e amici.
L’anno dopo Garibaldi, ritornato in Sicilia per marciare su Roma, incoraggiato privatamente dal re, col benign neglect del capo del governo Rattazzi, che si limitò a proclamare uno “stato d’assedio” sull’isola pro forma, per soddisfare le preoccupazioni di Napoleone III più che mai schierato col papa, il 25 agosto poté attraversare lo Stretto col doppio dei Mille, volontari subito assemblati da ogni dove, indisturbato, davanti a due fregate della Marina Italiana che non intervennero. Il solito gioco di copertura, pensò il Generalissimo, e invece finì all’Aspromonte, vittima del terribile Cialdini. Mentre a Genova la polizia arrestava a frotte mazziniani e garibaldini, menando anche di gusto. Si minacciò un processo a Garibaldi, ma ci si limitò a confinarlo a Caprera.
Il copione si ripeterà nel giugno 1967. Garibaldi potrà evadere da Caprera, limitandosi a far passeggiare davanti casa un amico abbigliato come lui. Col solito Rattazzi, “il famiglio di casa Savoia” (Spadolini), al governo – e l’ex garibaldino Crispi all’Interno. Raggiunse senza problemi Firenze, la nuova capitale del Regno, e da lì i volontari che già si erano radunati tra Lazio e Umbria, sempre col pensiero al papa e a Roma. Questa volta Napoleone III prese la cosa sul serio, apprestò e imbarcò un corpo di spedizione a Tolone, destinazione Civitavecchia. E sarà Mentana, la prima e unica sconfitta militare di Garibaldi. Rattazzi si era dimesso. Il successore Menabrea aveva disarmato comitati di volontari sorti un po’ dappertutto. Vittorio Emanuele II aveva fatto un proclama per sconfessare l’iniziativa del Generalissimo. Crispi fu richiesto da Menabrea di convincere Garibaldi a desistere, a evitare una guerra civile. E di riportarlo a Caprera. Ma al momento di prendere col vecchio compagno Crispi il treno per Firenze, i Carabinieri si presentarono per arrestare Garibaldi.
Non fu semplice. Garibaldi si oppose all’arresto. Invocò una triplice immunità: la sua cittadinanza americana, il vecchio grado di generale della Repubblica Romana, l’immunità di parlamentare italiano. Ma i Carabinieri non desistettero. Garibaldi si rifiutò comunque di alzarsi. I militi dovettero portarlo via di peso. Destinazione il carcere della Spezia. Dove Garibaldi resterà tre settimane, in attesa di un processo che anche questa volta il governo italiano non fece.
Se ne era stufato perfino Dumas, che con Garibaldi aveva avuto le sue ultime grandiose avventure, politiche e di affari, non non fu ispirato da Mentana, e nemmeno dall’Aspromonte, niente più di avventuroso.
Mafia anarchica
“La cupola delle cupole non esiste”, dice reciso Sciascia a Domenico Porzio che lo intervista per “Fuoco all’anima”: la mafia, “contrariamente a quanto ritiene il giudice Falcone, non è un’organizzazione centralizzata. Sono diverse cupole, insomma, che si fronteggiano. È difficile che trovino un accordo tra di loro”. L’organizzazione è relativa: “Il mafioso ha una vita insicura, perché è in lotta con i rivali che lo vogliono sovrastare”.
La mafia è criminalità. Non è una società politica. Tanto meno nelle forme romanzate, alla Robin Hood o di William Galt (il palermitano Luigi Natoli). Né una società di mutuo soccorso, o per azioni: è disorganizzata anche quando è organizzata. È un’associazione di persone, al più di famiglie in senso proprio, di consanguinei. Ma non sempre: l’omertà è limitata, calcolata – una ragione di scambio. I morti di mafia sono mafiosi.
Negli anni di Riina a Palermo, gli ultimi trenta del Novecento, oltre un centinaio di assassinii mafiosi sono stati perpetrati contro magistrati, forze dell’ordine, cittadini incorrotti. Ma è un caso eccezionale, ancora da indagare – se mai sarà possibile: tanta violenza, per un periodo così lungo, ha sicuramente cause specifiche.
Puglia
È girato in Puglia, per la parte ambientata in Calabria, l’ultimo successo Rai, lo sceneggiato “La sposa”. Si gira molto nelle regioni, si sa, perché, in deroga all’antimonopolio Ue, le Regioni possono finanziare le riprese cinematografiche locali a fini di promozione, con le Film Commission regionali. La Puglia ha saputo farne una industria, con infrastrutture di servizi e maestranze locali che rendono le riprese in esterni molto meno costose.
Anche sull’ortofrutta, la Puglia s’impone questo inverno nei mercati rionali e nei supermercati come grande fornitrice “di stagione”. Tutto quello che era da decenni siciliano o campano, uva da tavola, agrumi, carciofi, eccetera, è questo inverno pugliese. C’è Sud e Sud.
Il Canzoniere Grecanico Salentino, il gruppo musicale fondato nel 1975 dalla scrittrice Rina Durante, che col tempo ha imposto il festival di Melendugno “La notte della taranta”, è “un tornado” di voci e suoni appassionanti per il “New York Times”. Ai vertici mondiali del folk contemporaneo per il “New Yorker”.
Giulio Cesare Vanini, “terzo eroe della laicizzazione dell’Europa tra Bruno e Spinoza” (Sossio Giametta) Taurisano lo ricorda con il corso. Ma niente più: il pragmatismo - lo sfruttamento del nome per convegni, manifestazioni, anniversari – non si applica alle idee?
Si fa un docufilm “Ionio”, opera di Nicolò Carmineo e Lorenzo Scaraggi, col titolo “A dialogue of two Seas”. Si penserebbe lo Ionio un mare unico, e per tale viene mostrato, nei tanti legami fra Taranto e Corfù. Ma il più interessante del racconto è il ricordo che lo Ionio era per i Greci un “kolpos”, un golfo, le sue sponde erano di un’unica patria.
Due delle tre aziende del Sud eco-oriented fra le prime cento italiane sono pugliesi. Sono due banche. Una fatica da poco – daranno i biglietti su carta di riciclo? – ad alto reddito.
È stata industriale, è ora sui servizi alla persona, con molto green come si deve, dall’ortofrutta alle seconde case e le vacanze - ristorazione, escursioni, belle arti, parchi, mare, etc. Non solo Taranto, anche Brindisi ora lumeggia triste, per esempio sullo sfondo del film di Danilo Caputo, “Semina il vento”, della moria degli ulivi aggrediti dal pidocchio, delle fantasie e utopie di chi vuole salvarli. Uno sfondo sporco, grigio, come di un mondo remoto e già abbandonato – oltre che inquinante.
Era la terra della “taranta”, del “male di san Donato”, di magie e superstizioni, l’ultima frontiera degli ultimi folkloristi, Annabella Rossi, Ernesto De
Martino, non un secolo fa, e ora è al Sud una sorta di Lombardia, anche se non ne ha i capitali, non avendo praticato lo strozzo nell’anno Mille: fiuta il mercato, dove si lavora e si guadagna. Il sostrato alemanno, cum Hohenstaufen, ha prevalso sugli altri?
È anche la regione, al Sud, che non si coltiva, non coltiva un proprio mito, una “pugliesità”. Come per la Sicilia, Napoli, la stessa Calabria, regione per eccellenza di emigrazione, perfino della Basilicata, “coast to coast” – per non dire della Sardegna, un altro mondo. Si è pugliesi e basta, non si è un’eccezione, quando non si è baresi diversi e lontani dai salentini, dalla Daunia, il Tavoliere, il Gargano. Il campanilismo è una sorta di albero d’appoggio, un sostegno per non cadere, non vedere?
Molte Regioni erano, prima che il colore venisse praticamente accantonato per il green pass, in giallo in procinto di diventare arancione, tranne, al Sud, la Puglia, che si prospettava bianca. Senza “scrusciu”, come avrebbe detto Camilleri, senza allarmi e chiacchiere: le cose si fanno, e va bene così.
leuzzi@antiit.eu
La Grande Dimissione
Il buco nella
domanda di lavoro - nella risposta all’offerta di lavoro - negli Stati Uniti, e
in parte in Gran Bretagna, è dovuto per il 70 per cento alle donne madri di
famiglia, e alle persone in età, dai 55 ai 74 anni, in parti uguali tra le due
categorie. E di queste categorie si sa il motivo: gli obblighi familiari, soprattutto
di assistenza ai figli minori, in tempi di chiusura delle scuole, per le donne,
e di abbandono del mercato del lavoro da parte degli anziani – i tanti che,
dopo l’abbandono forzato a causa dei lockdown, non hanno trovato più
conveniente o interessante tornare al lavoro. Altre cause del gap sono individuate
nel mismatch, nella difficoltà d’incontro tra offerta e domanda di
lavoro, non una novità, ma marginale, e in parte più cospicua negli assegni
compensativi pubblici, federali o statali (in italiano “ristori”), distribuiti
a varie categorie che non hanno potuto lavorare a causa della pandemia.
In Gran Bretagna
non si rileva il fenomeno delle donne madri. Un 10 per cento del gap è attribuito
al mismatch, e un 35 per cento, anche qui, agli anziani che non
intendono più lavorare. Ma la più grossa quota della domanda insufficiente di
lavoro è dovuta all’effetto Brexit, alla riduzione crescente della domanda di lavoro
straniera, a mano a mano che scadono i
permessi di soggiorno.
I due economisti
del Fondo Monetario hanno provato a indagare il nuovissimo fenomeno cosiddetto
della Grande Dimissione, alla ripresa del lavoro dopo la prima ondata di covid,
l’estate-autunno del 2021, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Il fenomeno è
ritenuto passeggero - eccetto che nei casi di dimissioni degli anziani – e destinato
a rientrare con ritorno alla normalità. Ma potrebbe avere in questi mesi
invernali effetti negativi sull’economia, se si ribalterà sulle retribuzioni:
verrebbe cioè a pesare sull’inflazione, che è già in forte ascesa (negli Stati
Uniti è già all’8 per cento) per effetto di una ripresa in larga scala dei consumi.
Il fenomeno, sia
degli abbandoni definitivi che di quelli ritenuti temporanei, sia negli Stati
Uniti che in Gran Bretagna, è rilevante nella attività a bassa professionalità.
Soprattutto forte nei lavori domestici, nei servizi alla persona (cure a domicilio,
badanti), nelle attività di ristorazione.
Carlo
Pizzineli-Ippei Shibata, Solving the Job Mistery, Imf blog
giovedì 27 gennaio 2022
Ombre - 598
“L’incontro
irrita la Ue”, l’incontro di Putin con i capi delle imprese italiane. Non è vero,
la Ue non c’è. Ma quando Putin ha incontrato i manager tedeschi?
Non è
atlantismo, quello dei media italiani, è ripetizione stracca, di moduli, modi
di dire -superficialità, insolenza, ignoranza.
All’improvviso,
alla vigilia del voto a maggioranza semplice per il presidente della Repubblica
“la Repubblica” candida Casini, all’unisono, dalla prima pagina alla rubrica delle
lettere. Uno che non ha mai fatto nulla in mezzo secolo di vita politica. Un arcidemocristiano
camuffato da “arcitaliano”. Sorpresa? No, già Scalfari era con De Mita.
Un
Parlamento senza qualità ha navigato su nomi implausibili per il Quirinale. L’unico
uomo politico oggi in Italia, capace di una sintesi politica dei problemi, è un
non politico, Draghi. Le votazioni per il presidente della Repubblica ne sono
la prova. Di un Parlamento assurdo, eletto da uno su due elettori aventi
diritto. La Costituzione ha dato al Parlamento tutti i poteri, ma non ha prescritto
il voto minimo per legittimare l’elezione del Parlamento stesso.
Si assolve
Briatore, con formula piena, dopo dodici anni di condanne dei giudici genovesi
concordi per frode fiscale, e il sequestro di uno yacht da venti milioni,
svenduto per dispetto, alla vigilia dell’assoluzione, per 7,8 milioni, da custode
giudiziario, il commercialista del Tribunale Ugo Brunoni, che Briatore dovrà
pure compensare. Una storia non male, di Procuratori, Giudici e Commercialisti
genovesi che assolvono al città condannando Briatore, affarista certo non simpatico.
Due
volte la Cassazione ha detto che Briatore andava assolto, e due volte i giudici
genovesi lo hanno ricondannato. Dopo aver sequestrato lo yacht, per frode
fiscale, con un commando di una ventina di finanzieri, armati. Poi dice che la
giustizia in Italia è disarmata.
Di persona
posiamo testimoniare che la Finanza non transige. Essendo capitati in un bagno,
il giorno di Ferragosto, dove la Finanza controllava gli scontrini col mitra a
tracolla – i militi però non sudavano, i mitra erano di carta?
Un giudice della Suprema Corte Usa, Stephen Breyer, di simpatie politiche democratiche, è costretto dal partito Democratico a lasciare il posto a un nuovo giudice che il presidente Biden deve nominare: una donna, nera, avvocato e Procuratore federale (per compiacere il “partito” dei praticanti del diritto: procure – distrettuali, federali - e studi legali), Ketanji Brown Jackson.
Breyer,
83 anni, si dimette per motivi di salute ma sta bene. Progressista, è noto come
mediatore: a lui si faceva merito dell’alto grado di unanimità della Corte nelle ultime
pronunce.
Il green pass terza dose, del 5 novembre, scaricato su Immuni non dice niente al lettore QR Code nei locali. Scaricato su Io, “l’app dei servizi pubblici”, lo stesso. Il green pass vecchio, del 4 marzo, è invece valido, anche se pare sia scaduto da qualche mese. Ma è una cosa seria?
Abbiamo ogni giorno una foto grande di volontari-e ucraini-e contro la Russia in tuta mimetica, in primo piano un bel volto femminile. È la tipica ricetta propagandistica, per inserzionisti di basso profilo, di Madison Avenue, delle campagne pubblicitarie, la bellona volontaria la esibiva anche Gheddafi. Che però aveva il petrolio. L’Ucraina che non se la passa bene quanto paga per fornire ai media ogni giorno le sue volontarie? O paga la Cia?
È
perfino imbarazzante la campagna americana sulla guerra prossima ventura della
Russia all’Ucraina? Una guerra all’Ucraina? E noi dovemmo fare la guerra alla
Russia. È insensato, ma è ciò che ci viene detto.
In Italia è tatuato il 14 per cento delle donne, il 13 per cento di tutta la popolazione sopra i 12 anni – quattro milioni di donne, quasi otto milioni in totale. I tatuaggi sono costosi, e praticamente indelebili, ma a rapido deperimento, immalinconiscono. Chi li ha, sei su dieci, vorrebbe cancellarli, ma la tendenza è in crescita.
Nail art e nail salon in crescita, tanta è l’attività. Di ragazzine e non solo. Delle tante foto o video postati dai ragazzi romani, pariolini-coatti, ora agli arresti per il festino con droga e stupri un anno fa, spicca la mano femminile che taglia la cocaina, con unghie applicate, ognuna diversa dall’altra e tutte mostruose.
“Pickup,
l’importante è esagerare: nuovi modelli a emissione zero (?), e giganti di lusso
tipo supercar”. Il mondo si radicalizza: i ricchi diventano sempre più ricchi,
i poveri aumentano esageratamente di numero,
compresi i “nuovi poveri”, chi se la cavava e ora non più. Ma il mercato è dei
ricchi.
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Cronache dell’altro mondo – non bellicose (168)
La lettera d’intenti del segretario di Stato Blinken a Putin propone
un canale di comunicazione speciale (“dedicato”) sulla stabilità e la trasparenza delle relazioni,
e sul controllo degli armamenti. Facendo salvo il diritto dell’Ucraina a scegliere
le sue politiche di difesa, e cioè di chiedere l’adesione alla Nato.
La lettera di Blinken non fa menzione della Crimea, che Putin si è
annessa nel 2014.
La lettera d’intenti è stata richiesta da Putin. La proposta di un
dialogo risponde, dice Blinken, anche alle richieste degli alleati europei.
Il presidente russo Putin vorrebbe far valere un impegno che il presidente
Bush avrebbe preso nel 1990 nella trattativa con Gorbaciov per la riunificazione
della Germania. La riunificazione era avversata da Gorbaciov, che si era espresso
contro di persona e col suo ministro degli Esteri Shevarnadze, e l’avrebbe
accettata in cambio di un impegno americano a non estendere la Nato oltre la
frontiera della Germania unificata.
Il mito di Atene s'incarna a Firenze
La fortuna dei
Medici, oltre che sulla banca, riposava sull’industria e il commercio della lana.
Ancora nel Cinquecento inoltrato si assicuravano la lana delle pecore nere
abruzzesi, di Santo Stefano in Sessanio, e quella dei casali di Cosenza, la
pre-Sila. Ma l’ultimo capitolo Pierre Antonetti ha voluto intitolato “La decadenza
dell’Arte della Lana”.
Nel Quattrocento e
ancora nel Cinquecento, spiega, “la lana e la seta furono, per dirla con un
contemporaneo, «i dua begli occhi di Firenze»”. È che nella seconda metà del
Cinquecento “la produzione laniera passò dalle 30 mila pezze annue a poco più
di tremila” – e un secolo dopo solo a mille. Una fine a pesce - un’anticipazione
non inevitabile – ma anche un richiamo alla storia, che ha i suoi tempi: dopo tre
secoli di fulgore la fine era inevitabile.
Per quattrocento
pagine l’italianista corso dell’università meridionale francese, Aix-Marsiglia,
è venuto tessendo una tela superba, di ricchezze e di peso politico, in ogni
campo, in misura enorme per una città-Stato. Che con migliore esito e più a
lungo ha resuscitato il mito dell’Atene di Pericle. Con molte narrazioni, di imprese politiche
ardite, e di feste, matrimoni, giochi, pitture, sculture, architetture,
prostituzione, femminile e maschile. E, soprattutto, delle “arti”, che fecero
la ricchezza e la grandezza della città, dei pannilana, della pelle, della
concia, della paglia, e di una già evoluta “industria della moda”. E dei cambiavalute
naturalmente.
Nel capitolo
finale Antonetti richiama anche i persistenti roghi degli eretici in piazza -
non c’è solo Savonarola – e la caccia ai sodomiti. Questa non tanto trucida ma
determinata, e con robuste borse ai denunciatori – i whistleblower americani
non sono una novità - da finanziare con le pene inflitte ai colpevoli1. Anche alle
vittime, attive o passive, se non denuncianti.
Una lettura anche malinconica,
raffrontandosi inevitabilmente l’immagine della Firenze magnifica con l’informe
cittadona di oggi. Con una curiosa, piccola antologia di contemporanei,
Filarete, Landucci, Poliziano. Un’altra prosa, semplice, esplicita.
Pierre Antonetti, La
vita quotidiana a Firenze ai tempi di Lorenzo il Magnifico, “Corriere della
sera”, pp. 485 € 7,90
mercoledì 26 gennaio 2022
Cronache dell’altro mondo – bellicose (167)
Il presidente Biden mette in preallarme cinquemila miliari per intervenire
in Ucraina - “moltiplicabili per dieci”, aggiunge il capo di Stato Maggiore. Dopo
l’incontro a distanza con Putin, dal quale avrebbe avuto assicurazioni di non
intervento in Ucraina.
Contemporaneamente Biden ordina a tutti gli americani in Ucraina,
compresi i familiari dei diplomatici, di lasciare il paese.
Il presidente dell’Ucraina,
che Biden assicura di voler difendere, se ne adonta: “L’Ucraina è sicura, i
cittadini americani sono più sicuri a Kiev che nelle città americane infestate
dal crimine”, afferma Zelensky.
Zelensky lamenta anche che i tanti discorsi di guerra hanno ridotto la qualità della vita a Kiev. E dunque le immagini di soldati e volontari-e in assetto bellico che arrivano ogni giorno ai giornali non sono diffuse da lui?
Il presidente Biden ha dovuto far smentire un cronista, che aveva
riferito della sua conferenza stampa post incontro con Putin che il presidente
russo gli aveva assicurato il non intervento.
Appalti, fisco, abusi (214)
Si appaltano i lavori per
il restauro della base del monumento a Garibaldi sul Gianicolo a Roma. A tre ani
e mezzo dal danneggiamento – invisibile a occhio – provocato da un fulmine o
temporale. Tre anni e mezzo di opere provvisionali a recinzione-protezione del
monumento – pagate? L’appalto verrà eseguito fra tre mesi.
Nelle
mura aureliano prospicienti il Gianicolo la caduta di un sasso ha portato a
metà dicembre alla chiusura della porta di accesso al quartiere Monteverde
Vecchio – nelle mura era stata praticata un’apertura, gli “archi”. La zona è recintata,
la principale via d’accesso al quartiere. Con deviazione del traffico, e dei
mezzi di trasporto pubblico che collegano il quartiere, una vasta area che
scende fino a Trastevere, al Centro-Est della città. Senza che niente sia stato
fatto o predisposto – uno studio, un restauro. Se la caduta del sasso è
minacciosa, non si dovrebbe accertare subito l’entità del danno?
Accanto a
questi “archi”, un ingresso alla villa Sciarra è stato chiuso per sei anni, per
analoga caduta. Ora, dopo sei anni, il cancello è stato riaperto, ma tenendo recintato il pilastro dove si era manifestato il danno. In sei anni non è stato fatto nulla, una
indagine, uno studio.
Nello
stesso quartiere, in area adiacente, sotto le mura Aureliane, un cantiere Italgas
occupa da due mesi un incrocio, operativo uno-due giorni a settimana, per
scavare buche enormi, che poi si richiudono, per scavarne un’altra accanto.
Deviando la circolazione, fatta di sensi unici, contromano rispetto alla segnaletica,
rimasta immutata. Un invito all’incidente, senza che la polizia urbana si sia
mai fatta vedere. Tutto, per fare gli interessi dell’impresa appaltatrice: senza sorveglianza, controllo, collaudo – un appalto
infinito? Italgas è pure un’azienda pubblica.
Dell’olocausto o dell’inefficienza
A seguire a “Auschwitz, città tranquilla” pochi mesi fa,
“la Repubblica allarga la memoria. Qui legando Levi a Leonardo De Benedetti, il
suo compagno di prigionia, nelle testimonianze sulla reclusione – “Testimonianze
1945-1986. Con Leonardo De Benedetti” è il sottotitolo. Numerosi i documenti di
entrambi sulla deportazione, comprese le testimonianze da loro rese a carico di Höss,
il comandante di Auschwitz, di Eichman, e di Bosshammer, collaboratore di Eichman,
suo rappresentante in Italia, a Verona (il lager di Novoli compreso).
Non una grande lettura: De
Benedetti, ma anche Primo Levi, sono qui didascalici, precisi più che narrativi,
dettaglisti, prolissi – avvocateschi, per voler essere veri e veritieri, essere
creduti. Se non per un sospetto che emerge crudo a ogni pagina, per quanto
sorprendente, e con la lettura si rinsalda: che i tedeschi prima che cattivi
sono inefficienti, e che anzi hano perso le guerre, anche contro gli ebrei, per
essere inefficienti. Un capomastro tedesco, direbbe Primo Levi, che studiò “Faussone”,
il capomastro piemontese tutti azimut, non è uno più bravo, che risolve tutti i
problemi, di montaggio, di funzionamento, di adattamento, anzi è solo più
rigido, fino alla brutalità.
Si vede dale prime righe della
prima testimonianza, congiuta, di Levi e De Benedetti, ai russi che li avevano
liberati. Mandano gli ebrei ai campi di
lavoro in vagoni bestiame, l’uno sull’altro, per quattro giorni e quattro
notti, con pane, marmellata e formggio ma senza acqua – l’acqua se l’erano
dimenticata. Mandano i carri bestiame zeppi di ebrei di ogni bordo, ultraottantenni
e lattanti, col cibo (senza l’acqua) e con scorte armate numerose, per disfarsene,
dopo quattro giorni e quattro notti di viaggio: potevano disporne appena presi,
una pallottola costava meno. Il convoglio di Primo Levio da Fossoli a Auschwitz,
compost di 650 persone, tra essi un lattante di tre mesi, dà alla fine della
corsa 95 maschi validi e 23 donne – il resto erano vecchi, bambini e invalidi.
Lo sterminio fu un grosso spreco, organizzato certo.
Lo spreco dell’acqua anche,
che non c’era da bere ma per lavarsi sì. Docce due e tre volte la settimana - senza
possibilità di asciugarsi. Doccia di tutto lo stanzone se un solo pidocchio veniva
trovato all’esame di tutti gli indumenti, minuzioso, il sabato pomeriggio.
Non c’era scorbuto né
polinevrite. Né tifo petecchiale. Una sorta di ospedale era in funzione ventiquattro
ore, una serie di ambulatori di ogni specialità terapeutica. Serviti da medici specialisti,
con infermieri. Le squadre andavano al lavoro la mattina, con marce anche di
sette-otto km., dopo un’adunata all’alba di due-tre ore, al freddo, al suono di
bande musicali, allegre.
Una fabbrica di 35 km quadrati, la Buna-Werke, servita da
decine di migliaia di operai schiavi, per ricavare benzina, gomma, coloranti e
altri prodotti sintetici dal carbone, che in un anno e mezzo non produsse nulla.
Contornata da alti reticolati di filo spinato”.
Servita da “Ebrei di ogni nazionalità d’Europa”. Nonché da criminali tedeschi
e polacchi, da «politici» polacchi e da «sabotatori”.
E, liberi fuori del recinto, salariati, da civili polacchi, manovali o specializzati.
Che regolarmente sabotavano l’impianto.
Il primo sabotaggio era interno
alla stessa organizzazione. Il pane con la segatura dentro. La saponetta con la
sabbia. I preziosi sottrati ai deportati e scomparsi. Venivano tesaurizzati
(venduti) anche gli abiti dei deportati. Nelle testimonianze qui raccolte non si dice,
ma la corruzione era normale, tra i tedeschi.
Si scorrono questi verbali anche
con l’impressione netta che i Tedeschi, dopo averle buscate dai francesi, e poi dai
russi, le abbiano buscate, con distruzione più radicale, pure dagli ebrei. Una
guerra che a loro sembrava un’inezia, e invece si è rivoltata contro in forme radicali.
Non cruente ma ugualmente micidiali. È inevitabile assimilarte tedeschi e ebrei,
perché l’assimilazione vi era – vi è – la più larga e approfondita, nel mondo
tedescofono, per una sorta di comuni forme mentali, speculative e non, e anche
di linguaggio, lo jiddisch essendo un dialetto o una lingua (Singer, Aleichem) germanica.
È ben “tedesco” il primo documento
di questa raccolta, il rapporto steso da Levi e De Benedetti nel 1945, subito
dopo la liberazione, alle autorità russe del campo, dettagliato, preciso,
freddo. Ciò che colpisce nelle relazioni di Levi e De Benedetti del sistema
concentrazionario non è la sua crudeltà ma l’ottusità. Dall’alimentazione alle
cure, l’apparato enorme e dispendioso, straordinariamente complesso e insieme – non
inevitabilmente – lacunoso e inefficiente. Ma senza che, ecco il punto, l’organizzazione
tedesca vi ponesse rimedio in corso d’opera. Se il deportato era destinato a
morire, l’organizzazione era uno spreco, un teatro dell’assurdo, immane. Se era
destinato ai lavori forzati, era uno spreco per difetto, fosse per cattiveria o
per incapacità.
Primo Levi ne ha dato altrove
varie testimonianze, anche allegre. E Rousset, il primo a testimoniare con una
pubblicazione l’Olocausto.
Primo Levi (“Lo
scoiattolo”, in “L’altrui mestiere” – ora in “Ranocchi sulla luna e altri
animali”): la gabbia degli scoiattoli. “Ho incontrato pochi scoiattoli nella
mia vita”, premette Levi, “qualcuno nei boschi”, come tutti, o “nei parchi di
Ginevra e Zurigo”. Quelli che ricorda sono altri: “Altri ne ho visti in
prigionia, ma non apparivano meno vivaci né meno allegri de loro colleghi della
foresta. Erano una dozzina, rinchiusi dentro una grande gabbia”. Nella grande
gabbia una più piccola, la “«gabbia di scoiattolo», cioè cilindrica, appiattita
e ad asse orizzontale, senza sbarre da un lato e liberamente girevole attorno
all’asse medesimo”. Insomma, curatissima. Fatta apposta per i giochi degli
“animaletti”, che Levi ricorda “visibilmente compiaciuti”.
L’ordine
disordinato del lager in D.Rousset,
“L’univers concentrationnaire”, 96: “L’odio insensato che presiede e comanda
tutte queste imprese è fatto dello spettro di tutti i rancori, di tutte le
ambizioni meschine deluse, di tutte le invidie, di tutti i dispiaceri generati
dalla straordinaria decomposizione delle classi medie tedesche tra le due
guerre. Pretendere di scoprirvi gli atavismi di una razza, è precisamente fare
eco alla mentalità SS”.
Tra gli ebrei che
in massa dalla Grecia o dalla Francia venivano deportati “all’Est” la speranza resisteva per un deficit di
efficienza. “Era assurdo che i tedeschi avessero organizzato, organizzassero
questi lunghi viaggi per poi ucciderci all’arrivo”, pensavano i deportati.
Potrebbe dirsi una furbata, l’olocausto dovendosi consumare lontano da occhi
indiscreti. Ma assurdo è. All’arrivo,
guardie occhiute uccidevano, a uno a uno, gli anziani e i malati.
Le testimonianze, recuperate
e collazionate da Fabio Levi e Domenico Scarpa nel 2015, sono ordinate
alternando Primo Levi a Leonardo De Benedetti, medico chirurgo, compagno di prigionia
di Levi a Fossoli e Auschwitz, spesso anche in coppia, per la prima volta nella
primavera del 1945, subito dopo la liberazione, al Comando russo del campo per
ex prigionieri di Katowice – prospiciente Auschwitz-Oswieçim. Da allora, 1945-46
(la testimonianza fu rivista da Levi e De Benedetti dopo il ritorno in Italia,
dove la pubblicarono nel 1946), fino al 1986, “La nostra generazione”, una
lettura-testamento di Levi sulla sua sorte avventurosa nella grande storia, pochi
mesi prima della morte. Un ultimo testo preceduto, tre anni prima, dal ricordo
commosso di Leonardo De Benedetti, “un uomo buono”. Anche qui con un tocco sinistro di ottusità tragica:
“Era ebreo, e per sfuggire alla cattura da parte dei tedeschi, nell’autunno di
quell’anno (1943, n.dr.) aveva tentato di sconfinare in Svizzera, insieme con
un grosso nucleo di parenti. Avevano tutti superato il confine, ma le guardie
svizzere erano state inflessibili: avevano accettato solo i vecchi, i bambini e
i loro genitori, tutti gli altri erano stati riaccompagnati alla frontiera
italiana”.
Le testimonianze
sono doppiate da apparati ricchissimi, di facsimili di documenti, e di molte note
di contestualizzazione,
Primo Levi, Così
fu Auschwitz, “la Repubblica”, pp. 245
€ 9,90
martedì 25 gennaio 2022
Appalti, fisco, abusi (213)
È un grosso sollievo in bolletta già il taglio degli “oneri di
sistema”. Una tassa che abbiamo pagato per anni a favore degli ex monopolisti
pubblici, Enel, Eni, e dei minori, spesso stravaganti, produttori di energia pulita.
Quando si toglierà dalla bolletta la “spesa per il trasporto dell’energia
elettrica e la gestione (sic!) del contatore”, la bolletta comincerà a essere ragionevole,
anche se il gas e l’olio combustibile dovessero aumentare davvero come si dice.
Pesano in bolletta sovrattasse onerosissime a favore dei gruppi pubblici,
che così pagano allo Stato ogni anno una diecina di miliardi di dividendi. Una
tassa in forma di dividendo – più la ritenuta d’acconto sui dividendi agli azionisti
privati. Che genera una Iva del 24 per cento…
Anche la spesa per la lettura del contatore sembrerebbe uno
scherzo ma non lo è. Una “grande stangata”. Memorabile se non fosse sbirresca,
da predatori con la forza pubblica.
Una tassa anche ineguale, gli oneri di sistema e la spesa per il trasporto
e la lettura del contatore applicandosi ai redditi bassi e minimi, per consumi legalmente
non interrompibili.
Ottimi dividendi paga allo Stato pure Poste Italiane. È anche vero
che Poste vanta – al 31 dicembre – 575 milioni di transazioni, per un organico di
125 mila dipendenti, al lordo di malattie, vacanze e servizi non alla clientela:
una performance ottima. Ma potrebbe anche consegnare ogni tanto la Posta, servizio che ha dallo Stato in esclusiva, il Servizio Postale Universale – da ultimo per 15 anni a partire dal 2011 - e per il quale riceve congrui “conguagli”. Consegnarla,
non lasciare comodi avvisi di giacenza, che significano per i destinatari lunghe
e ripetute code. Oltre a farsi pagare sei e undici euro (le multe) per le consegne
non effettuate. Pagare un dividendo allo Stato va bene, ma far lavorare, un
poco, i postini (le postine)?
Basta un temporale
e Rai tv salta. Si ristruttura il digitale terrestre in continuazione per
peggiorare il servizio? Rai Way non fa più investimenti in vista di una cessione
a Ei Towers (Mediaset)? Che dovrebbe invece acquisire. Si fa rumore per non
migliorare il servizio – assicurare uno standard minimo.
A Pineta ritorna il sorriso
Riprende
ritmo il secondo film stagionale della serie BarLume, dai racconti di Malvaldi,
nelle mitica Pineta. Che ai quattro vecchietti della serie aggiunge in pianta
stabile, con ruoli dichiaratamente comici, Corrado Guzzanti e Michele Di Mauro.
Benché sempre in affanno, appannandosi il ruolo finora trainante di Timi. Il
sostituto, il fratellone Fresi, è sempre misurato nel ruolo, ma il ruolo non ha
consistenza, fare da tramite con questo e con quello – qui fa infine l’amore con l’appetibile
Tizi, Enrica Guidi, per dare rilievo a quest’ultima, stretta anche lei in un ruolo-non
ruolo, in circostanze comicissime, per poi restare subito dopo becco.
La serie regge, più che per le vicende, marginali, per il recupero, ormai classico delle produzioni Palomar-Degli Esposti, delle caratterizzazioni. Ma di Michele Di Mauro, il caratterista a questo punto della serie più vaporoso
(svaporato), cialtrone commissario capo, poi capo della Polizia, poi forse ministro
dell’Interno, implausibile e allegro, divertente, il casting non fa il nome.
Roan
Johnson, A bocce ferme, Sky Cinema
lunedì 24 gennaio 2022
Problemi di base presidenziali - 681
spock
Il governo
destra-sinistra è più sicuro se Draghi non va al Quirinale, dove vorrebbe
andare?
Carte coperte
per il Quirinale o nessuna idea vincente?
Quirinale in
grande considerazione perché garantisce sette anni di stabilità, ma quando si
vota per dare stabilità al governo tutti votano contro, l’Italia ha avuto un
governo inamovibile, un secolo fa?
Tutti chi: i partiti,
quali partiti? I media, di che padrone?
I partiti del
Capo, o non sarà questo il fascismo, mascherato?
“La democrazia
è mediocrità”, Sciascia?
“La democrazia
è mediocre in senso positivo, in quanto esprime la volontà media di un popolo”,
Sciascia?
spock@antiit.eu
Che calcio è questo
Si
commenta Milan-Juventus, partita noiosa, alla “Domenica sportiva”, e si passa
alle pagelle: Tardelli dà 7 e tre 6,5 a quattro milanisti che gli sembrano
eccellenti. Pecci dà un 6 e tre 5 a quattro juventini.
Della stessa
partita si è commentato a lungo un rigore, se c’era o non c’era, per la Juventus,
salvo concludere che forse c’era ma la Juventus non lo meritava.
“Tuchel
batte Antonio Conte: il Chelsea vince 2-0 il derby col Tottenham e mantiene
dieci punti dalla capolista City e undici dall’inseguitore Liverpool” – “Corriere
della sera”: undici?
I registi
del docufilm su Paolo Rossi, “Un campione è un sognatore”, hanno scelto di far
commentare la famosa partita col Brasile nel 1982 all’emittente brasiliana: “Dio
mio! Dio mio!...”. Si è capito perché rivedendo subito dopo su Rai 2 la partita,
col vecchio commento Rai: scialbo, avvocatesco, tribunalizio.
Le squadre
di calcio romane, Roma e Lazio, non vogliono che lo stadio Olimpico sia
intitolato a Paolo Rossi, celebrità mondiale. “Paolo Rossi non ha mai giocato
in una squadra romana”. Lo vogliono intitolato a un calciatore romanista? A un laziale?
Il giorno dopo Milan-Juventus Capello elogia al Tg 1 la partita della Juventus: la squadra finalmente si è ritrovata, eccetera. Un diverso parere - il giorno dopo, alla vigilia del voto per il presidente? Un esame di riparazione? La Juventus ha protestato? Tardelli e Pecci non avevano visto la partita?
L'ultimo Sciascia
L’ultimo
libro-intervista di Sciascia, di uno Sciascia già stremano dalle dialisi, con Domenico
Porzio nei mesi precedenti la morte. Sciascia come al solito laconico, ma anche
di malumore – Porzio
torrenziale.
Una
sorta di libro-testamento, a futura memoria secondo la formula tribunalizia cara
a Sciascia, ma su temi variati, casuali. Il suicidio del fratello. La letteratura
di viaggio al Sud, Sette-Ottocento, tutta di massoni – che al Sud incontravano massoni,
preti compresi. Lo sbarco americano, di mafiosi. Le amarezze per “L’affaire
Moro”. Giuseppe Mazzaglia. L’amato Rensi, le “Lettere spirituali” e altro. Vigneti
e agrumeti siciliani abbandonati, trenta-quarant’anni fa, e dannosi – un’apocalissi,
poco meno. Il darwinismo poco convincente. Krusciov e Giovanni XXIII due
liquidatori, del comunismo e della chiesa. “La democrazia è più livellante
della tirannide”. La nostalgia del Settecento. Salvemini meglio di Gramsci (“uno
come Salvemini poteva intravedere nel fascismo i germi della morte. Ma non uno
come Gramsci”). Gramsci staliniano - non ha mai criticato Stalin: “Non poteva. Il
«buio a mezzogiorno» coinvolgeva anche lui”. Molto Savinio. Un po’ di Diderot. “Basaglia era un pazzo”. Il poliziesco è “soprattutto
più onesto”. Molto sula scrittura, fonte di gioia, atto di speranza. Borges naturalmente.
E Manzoni. Molière – ironia e umorismo. E naturalmente Pirandello. Di un attaccamento
alla Sicilia che non si spiega. Del resto,
curiosamente, poco curioso delle cose siciliane, altro che Racalmuto e Palermo –
e di Palermo senza il meglio.
Si
rieditano a trent’anni dalla prima edizione le conversazioni che Domenico
Porzio ebbe con Sciascia alcuni mesi prima, per un libro commissionato da Mondadori.
Parte di quelle conversazioni registrate su nastro, sembra di capire dalla confusa
presentazione che il musicologo Michele Porzio, figlio di Domenico, ne fa.
Porzio era partito con un vasto progetto, di conversazione-libro, per il quale
aveva redatto una scaletta, con i vari argomenti in latino: De felicitate”. “De
Anima”, etc.. Un paio di conversazioni si svolsero, e poi più niente: Sciascia,
debilitato e in dialisi morirà qualche mese dopo, a fine 1989, e l’anno successivo
anche Porzio. L’ultimo titolo della scaletta, “De Senectute”, Porzio aveva
trascritto per il “Corriere della sera”, che lo pubblicò nelle pagine “Cultura”,
il 19 luglio 1987 – il teso è qui allegato, col titolo del quotidiano, “Gli anni
delle passioni fredde”.
Domenico
Porzio, critico e giornalista letterario, scopritore di Borgese per il pubblico
italiano, curatore dell’opera di Borges per i Meridiani, aveva pubblicato
alcuni saggi in materia di fede religiosa, apprezzati anche dal non credente Sciascia.
Leonardo
Sciascia, Fuoco all’anima, Adelphi, pp. 169 € 13
domenica 23 gennaio 2022
Secondi pensieri - 471
zeulig
Colpa collettiva - La Germania
mantiene “un rispetto dello Stato” che ha reso incomprensibile la dichiarazione
di colpa degli Alleati, colpa collettiva in quanto tedesca, e individuale “per
avere, se si vuole, continuato a praticare il proprio mestiere di funzionario o
di maestro d’orchestra”, E. Jünger, “Trattato del ribelle”, § XXVIII, Il sarcasmo
di uno Jünger nel clima recente della denazificazione, 1951, non tiene conto dell’enorme
vastità della Resistenza tedesca, interna, politica, delle decine di migliaia
di prigionieri di lager politici, degli assassinii politici.
D’altro canto, la
colpa va misurata sulla Resistenza. Se esiste un gruppo di uomini liberi allora
si può ipotizzare la colpa collettiva – c’era il modo, se non la possibilità,
non a buon mercato, di sapere e di capire.
Comico – È esercizio – verbale
mentale - non intellettuale, anzi anti-intellettuale. Irrompe contro il discorso
razionale, positivo, conseguente. È l’irruzione dell’irrazionale, ma alla fine
con esito razionale, in qualche modo critico, seppure non nella forma. Si
esercita il comico come se si sbattesse una coperta, la coperta della logica e
dell’etica – della misura, del giusto, del buono. Ma a opera di mano sempre in qualche
modo avvertita, conseguente, critica, razionale.
Democrazia – È come indossare le scarpe – roba
da Ottocento, insieme con le tendine alle finestre, e l’ossessione sesso? “La
democrazia è più livellante della tirannia”, stabilisce Leonardo Sciascia (“Gli
anni delle passioni fredde”, intervista con Domenico Porzio, “Corriere della
sera”, 19 luglio 1987, ora in L. Sciascia, “Fuoco all’anima”): “Il calzolaio
all’angolo, come diceva Stendhal, alle elezioni «ha un voto che è uguale al mio».
Però, non è poi così vero, in questo difendo la democrazia anche di fronte a Stendhal,
e ripeto la frase del filosofo americano John Dewey: «Per quanto possa essere
ignorante, un uomo sa se la scarpa gli sta stretta al piede»… Ognuno vota,
insomma, constatando se la scarpa gli va stretta o no”.
Filosofia tedesca – Può essere letale. Hölderlin, che pure non si sospetta
razionale, “occidentale” dopo la cura Heidegger, scriveva da Francoforte all’amico
di seminario e del cuore Hegel il 20 novembre 1796: “Gli spiriti infernali, che
mi ero portato con me dalla Franconia, e gli spiriti aerei dalle metafisiche
ali, che mi avevano scortato da Jena” - su “una indole da insensato ragazzo” – “da
quando sono a Francoforte mi hanno abbandonato”. Per Franconia intendendo la
finitima Tubinga, degli studi di filosofia e teologia (al centro dell’allora Franconia
era proprio la liberale Francoforte).
I giovani Hegel e Hölderlin potevano anche essere rivoluzionari,
della Rivoluzione francese, solo in chiave mitica e esoterica, di logge massoniche
– come lungamente spiega Jacques d’Hondt, “Hegel segreto”.
Giallo
– Un bastione
contro il nichilismo? Il giallo come genere letterario, celebrazione del
crimine. È intuizione di Ernst Jünger nel “Trattato del ribelle”,
al § XXXI: “Il crimine costituisce, con la decisione morale autonoma, il
secondo mezzo possibile di mantenere la sovranità nel mezzo dell’erosione,
dello sgretolamento nichilista dell’essere”. Notazione che attribuisce all’“esistenzialismo
francese” – cioè a Sartre e Camus: “Il crimine non ha niente a che vedere col
nichilismo: offre anzi un rifugio contro il suo vuoto, che rosicchia la
coscienza di sé”. Ma prima ancora lo attribuisce caratteristicamente a Chamfort
(uno dei due riferimenti costanti di Jünger
nella cultura francese): “L’uomo, nello stato attuale della società, mi sembra
più corrotto dalla sua ragione che dalle sue passioni”. E: L’uomo ha il
sentimento di vivere sotto una dominazione straniera, e a questo riguardo il
criminale gli è apparentato”.
Come esempio, Jünger porta il bandito Giuliano: “Quando
un brigante colpevole di parecchi assassinii, il bandito Giuliano, fu abbattuto
in Sicilia, un sentimento di tristezza si sparse per il mondo. Il tentativo di
condurre e di perseguire una vita da lupo solitario aveva fallito. Ciascuno, in
seno alle masse grigie, si sentì colpito con lui, e confermato nella coscienza
del suo accerchiamento. Il risultato è che si eroicizza il malfattore”.
Ironia – Viene con la ragione.
Che non si permette il comico, nemmeno l’umoristico, ma sì i. sorriso critico. Molière
è comico, Voltaire è ironico, anche se voleva far ridere – anche Diderot. Leonardo
Sciascia, illuminista, lo spiega così in “Fuoco all’anima”, 108: “Gli illuministi
non conoscono l’umorismo”. Sembrerebbe un limite, ma per una ragione: “Conoscono
l’ironia. Il razionalismo non consente il capovolgimento umoristico. Il
razionalismo genera sempre il distacco dell’ironia. Perché la realtà non corrisponde
alla ragione”.
Storia – “La storia autentica può essere fatta soltanto da uomini
liberi. La storia è l'impronta che l'uomo dà al destino. In questo senso
possiamo dire che l'uomo libero agisce in nome di tutti: il suo sacrificio vale
anche per gli altri”
….. La storia è l’impronta che l’uomo liberato appone sul suo
destino. La storia autentica non può essere fatta che da uomini liberi”.
“…. È là che si trova la vera sostanza della storia, nell’incontro
dell’uomo con se stesso, cioè con la sua potenza divina”
Ernst Jünger, “Trattato del ribelle”, § XVII
Historia in nuce, il tema nietzscheano
è ripreso da Jünger nel “Trattato del ribelle” come una culminazione della
critica della conoscenza (una delle culminazioni, l’altra essendo “il passaggio
dalla conoscenza all’essere”, Heidegger): “Il tema che, nell’infinita diversità
del tempo e dello spazio, si ramifica, ma resta sempre lo stesso: per cui non
c’è soltanto una storia della civiltà, ma anche una storia dell’umanità, cioè una
storia situata nella sostanza, il nocciolo, una storia dell’uomo. Che si ripete
in tutta la vita umana”.
Stupidità – È complicazione:
complicata e complicante, in quanto non va all’esito logico ma lo avviluppa e
inviluppa. Leonardo Sciascia vuole stupidi “i governi italiani, da De Gasperi
in poi” (“Fuoco all’anima”, 111), “in quanto privi della capacità di
semplificare i problemi e quindi di affrontarli dal verso giusto Ma, in questo caso,
che lo scrittore esemplifica, ampliando il quadro ai Grandi della Storia: “Né
Cesare né Napoleone erano stupidi; oso dire: neanche Mussolini era uno stupido.
Forse non lo era nemmeno Hitler”. Intendendo: “Bisogna tener conto del concorso
di colpa che interviene nel creare il tiranno”. Perché “nel tiranno si introverte
tutta la stupidità dei suoi fautori. Mussolini non era uno stupido, ma la
stupidità nazionale a un certo punto si introvertì in lui”.
Verbo – “Nell’abisso delle
origini, il Verbo non è più forma né chiave. Diventa identico all’essere.
Diventa potere creatore. Tale è la sua virtù infinita, che non si monetizza.
Perché non potremmo farlo che per approssimazioni. Il linguaggio si tesse
attorno al silenzio, come l’oasi si ordina attorno alla sorgente. E la poesia
conferma che l’uomo ha scoperto l’entrata dei giardini intemporali. Atto di cui
vive in seguito il tempo” – Ernst Jünger, “Trattato del ribelle”, XXXIV.
Ma “la lingua non vive di leggi proprie.
Altrimenti i grammatici reggerebbero il mondo”.
Il linguaggio nasce dal silenzio,
come tutto.
zeulig@antiit.eu
Ombre cinesi
Ufficialmente i contagiati covid nel continente cinese si contano,
2.930 negli ultimi 14 giorni a venerdì 21. Meno delle metà dell’Italia, 2.440
negli ultimi sette giorni, a ieri sabato. In virtù, si spiega, delle regole
stringenti che un regime politico duro come quello cinese può imporre: restrizioni,
lockdown, blocco dei viaggi, controlli veri. Ma i casi segnalati, su una popolazione
di un miliardo e mezzo, poco meno, sono niente.
Non si può nascondere invece che l’economia cinese ha rallentato, nel
2020 e nel 2021, rispetto agli Stati Uniti e all’Europa, e proprio quando la
domanda di manifattura cinese, “pronta, rapida e conveniente”, si accresceva per
il vasto e lucroso comparto anti-covid. L’indice di “normalità” costruito dall’
“Economist” mostra l’economia cinese in decrescita continuata da gennaio 20121
a gennaio 2022, sola tra le grandi economie. Che tutte hanno ripreso al 60-80
per cento il livello pre-pandemia. Mentre la Cina (col Vietnam) registra un’economia
ancora in contrazione.
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Affari,
Il mondo com'è,
Informazione
Il razzismo si sottovaluta ma costa
Per
l’anniversario dell’assassinio di Martin Luther King, il Fondo Monetario
Internazionale pubblica una ricerca sulla rilevanza del fattore razziale nella
pubblicistica economica. È zero, o prossima allo zero.
Analizzando
i dati tematici di ogni articolo dei dieci più importanti periodici economici
negli ultimi dieci anni solo lo 0,2 per cento dei 7.920 articoli esaminati si
occupa di razza, razzismo, interdetti o ineguaglianze razziali. La maggior
parte della saggistica esaminata copre naturalmente i problemi monetari, il 7,4
per cento, con le tematiche di Borsa (4,3 per cento), e di assetti aziendali
(3,8). Ma il fatto razziale resta molto indietro anche in raffronto agli altri
temi di inclusione: la distribuzione del reddito (2 per cento), la povertà
(1,4), il genere (0,8 per cento).
Una serie
di riferimenti a studi recenti viene fornita per spiegare che il fattore razza,
in quanto escludente o penalizzante, all’ingresso, in carriera, negli sbocchi e
al consumo, incide sulla produttività, sui consumi, sul benessere collettivo.
Martin
Čihák-Montfort Mlachila-Ratna Sahay, Race in Economics, International
Monetary Fund, free online
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