sabato 2 aprile 2022
Secondi pensieri - 478
Amore – “Ha come mezzo la guerra, e come fondamento l’odio mortale tra i sessi” è nota proposizione di Nietzsche. Oggi si direbbe finito nell’odio del sesso, trascinato dalla caduta del desiderio, come se ne fosse un’appendice, maschi e femmine uniti nella lotta, o dell’indistinto genere.
Antifascismo – La riduzione
teatrale di “M Il figlio del secolo”, il romanzo di Scurati sull’ascesa di
Mussolini, dal 23 marzo 1919 al 3
gennaio 1925, dalla fondazione dei Fasci di combattimento all’instaurazione del
regime, dopo l’assassinio di Matteotti, vede il teatro pieno, a Milano e a Roma,
nei due mesi di programmazione, con lunghe code di spettatori inesauditi. Il
romanzo e la rappresentazione non dicono nulla più del risaputo, anche attraverso
i vecchi settimanali familiari a larga diffusione, “Gente”, “Oggi”. E la rappresentazione
non fa scintile, anzi segue modestamente l’agrodolce delle rievocazioni, irridendo
D’Annunzio e Fiume, Mussolini e i Fasci, Margherita Sarfatti e Nicola Bombacci,
alla Brecht ma in tono minore, da caricature, perfino mascherate. Il successo
straordinario di pubblico della rappresentazione è dovuto a misconoscenza degli
aneddoti narrati (impossibile, li sanno tutti), all’odio per Mussolini, alla
simpatia per Mussolini? L’antifascismo è sempre un problema, irrisolto,
contestato, tra gli stessi antifascisti. Forse il problema è il fascismo, cioè
come la democrazia ha potuto e può degenerare – non è un problema di olio di
ricino.
L’Italia riservata, di Mani Pulite
Non una delle tante “memorie di un superministro
della Prima Repubblica”, come da sottotitolo. E nemmeno fantapolitica, come era
di moda a fine Novecento – “Berlinguer e il Professore”, etc.. No, sono memorie di uno informato e, a
distanza, bene informato, non il solito chiacchierone. Uno che capisce anche,
oltre che sapere. Sarebbe, sarebbe stato, il più opportuno contraltare alle
celebrazioni di Mani Pulite per il quarantennale.
Fa impressione, a distanza di tempo, per la nettezza
dei fatti riferiti, e delle spiegazioni, in ogni circostanza. E per il fatto che,
a distanza di tempo, non ci sono tentativi di storicizzare l’abbattimento della
politica, di nessun tipo, a parte le polemiche: gli atti, i media, le statistiche
giudiziarie, le “irritualità”, le “dichiarazioni”, la corruzione dei magistrati,
perfino pubblica, nessun lavoro di scavo, nemmeno tentato.
Al “Geronimo” basta (191-192) il richiamo alla
confidenza avuta dal ministro dell’Interno Scotti, a cui i servizi segreti,
allora Sisde, confidano che a fine maggio 1992 due
camion carichi sono usciti di notte da Botteghe Oscure, allora la sede del Pci,
e sono scomparsi nel nulla, in direzioni diverse. “Geronimo” collega il fatto
all’incontro che Giovanni Falcone avrebbe dovuto avere col Procuratore speciale
russo Stepankov, se non fosse saltato in aria a Capaci, il 23 dello stesso
mese. Stepankov era incaricato di recuperare i crediti del Pcus, il partito
Comunista sovietico, nei paesi occidentali, e aveva chiesto la collaborazione
di Falcone per sapere come orientarsi.
O la premonizione, straordinaria nella primavera
del 1982, del capo dei servizi, generale Ramponi: “O la Dc e il Psi si
rinnovano, oppure sono destinati a morire”. Da quale Dio?
Geronimo (Paolo Cirino Pomicino), Strettamente
riservato
venerdì 1 aprile 2022
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (487)
Giuseppe Leuzzi
In
quaranta giorni di guerra in Ucraina, malgrado l’asserito enorme spiegamento di
mezzi russo, con bombardamenti e assedi di grandi città, le vittime contate,
vittime civili, si aggirano sul migliaio. Sono poche. Non per cinismo: nel
1799, in un solo giorno, il 20 gennaio, i repubblicani napoletani fecero un
tremila vittime tra i lazzari, che si erano schierati per la monarchia,
cannoneggiandoli da Castel Sant’Elmo.
“Da
Calabria, Sicilia, Molise e Toscana l’assalto italiano alle «tecnologie blu»” -
Luigi Ippolito sul “Corriere della sera”. A Londra, alla fiera Oceanology, di
tecnologie e procedimenti per utilizzare la forza motrice del mare e
salvaguardarne l’habitat. Le università Mediterraneo di Reggio e il Consorzio
Seapower della Federico II di Napoli per produrre energia dalle onde. La Unical
di Cosenza e la società siciliana Atlantis per la protezione dei beni archeologici
marini. La pugliese Fishanalytics per la gestione delle acquaculture con
l’intelligenza artificiale. La siciliana Geo Bio Team per sanitarizzare la ricerca
e produzione di idrocarburi a mare. La molisana Guidotto Ships di Termoli, per
l’ispezione di oleodotti e cavi sottomarini. La casertana Top View per i droni
di ricerca e soccorso in mare. L’intelligenza non manca.
Puglia
e Calabria, scriveva a Stendhal due secoli fa un corrispondente, Lambert, un
funzionario francese trapiantato a Napoli da una decina d’anni, sono tra le
terre più ricche del reame. Ma gli uomini sono morti – soprattutto le donne.
I
Borboni com’erano
I
Borboni, se n’è fatto un’idea Álvaro Mutis, “Amirbar” pp. 119-120, erano di due
specie. Gli eredi del figlio minore di Luigi il Santo manifestano presto “una
curiosa particolarità del carattere”: esercitare direttamente il potere, per il
gusto dell’intrigo, con scarso rispetto della realtà, grazie “all’abilità di
maneggiare le debolezze e le ambizioni dei sudditi e di sapersi sempre mantenere
al margine, o meglio al di sopra, degli accidenti immediati che scatenavano gli
intrighi dei loro accoliti”.
Alcuni
erano bravi a questo gioco, spiega Mutis: Erico IV, Luigi XIV, Luigi XV, Luigi
XVIII. Altri no, Luigi XVI, Carlo X, o in Spagna Carlo IV e Ferdinando VII. I
Borboni sono tutto qui.
Curioso
che dei Borboni si sappia poco in Italia. Lo stesso Gadda, che pure ci scrisse
sopra un libro, “I Luigi di Francia”, si limita a riciclare l’aneddotica. Il
colombiano-messicano Mutis, premio Cervantes, era probabilmente dentro la Spagna
dalle due anime, l’europea e l’oceanica.
Senza
categorizzare, Atanasio Mozzillo, “Stendhal au bout d’Italie ovvero: il viaggio
inventato di Stendhal in Calabria”, ricorda che il re di Napoli Ferdinando IV,
I delle Due Sicilie, re per una sessantina d’anni, non ha mai varcato l’Appennino
o traversato il Sele per conoscere le sue province. Cacciato dai repubblicani
nel 1999 e dai napoleonici nel 1806, lasciò Napoli per Palermo, da corte a
corte. Andava a caccia, questo sì, ma non molto fuori Napoli o Palermo. Andò
anche a Roma, il 5 ottobre del 1798, per ristabilirvi il papa contro la
Repubblica, ma non gli andò bene. Era il figlio e erede di Carlo, il re di Napoli “proprio e nazionale” - che poi però lasciò Napoli per fare il re a Madrid, Carlo III.
No a Ferrero, la nocciola calabrese non si tocca
La Ferrero si era proposta di rilevare l’intero raccolto, per
vent’anni, ai prezzi di mercato. I produttori hanno detto no, “preferiamo
valorizzare le nostre nocciole da soli”. È cronaca di ieri in Calabria: i produttori
della “tonda calabrese”, piccoli produttori su un’area di 350 ettari nel basso
Ionio in provincia di Catanzaro, tra Cardinale e Torre Ruggiero, vogliono
“valorizzarne l’identità”, sul luogo, di modo che “i compratori vengano qui per
comprare il prodotto”: “Il nostro obiettivo”, dichiara il presidente del Consorzio,
Giuseppe Rotiroti, “è lavorare le nocciole in Calabria per creare posti di lavoro”. Un’intenzione che potrebbe andare bene, perché no.
Per ora ci lavorano quaranta persone. Un impianto di trasformazione,
un investimento da mezzo milione, darà lavoro ad “almeno dieci operai”.
L’esito sarà il migliore augurabile. Ma la tendenza è
purtroppo malthusiana: in Calabria si sono abbattuti ovunque i castagni, che ora
alimentano altrove una florida economia, le banane e il gelsomino nella locride,
la conca verde di “arance di San Giuseppe”, o ovale calabrese, alle porte di
Reggio Calabria, una varietà che matura ad aprile-maggio, una benedizione, lo zibibbo dei terrazzamenti di Bagnara e Scilla, una orografia che fa lo splendore delle Cinque Terre, un tesoro, abbandonata al dilavamento. Perfino l’ulivo non se la passa bene: non si contano gli espianti, per farne legno da
parquet. Anche di uliveti secolari, che la legge in teoria protegge – ma basta,
dicono i Carabinieri, dichiarare l’uliveto malato. Anche la “tonda calabrese”
non se la passa bene: ora si producono tremila quintali di nocciole,
quarant’anni fa erano sedicimila.
Nella penisola del Bel Paese, “la società più distruttrice d’Europa” già
nel “Viaggio in Italia” di Piovene del 1957, la penisola calabrese si è da
allora specialmente distinta. La campagna in Calabria sarebbe, come altrove, un bene
inestimabile, una miniera a cielo aperto, nel boom ormai inarrestabile
dell’agro-alimentare, nella nuova coscienza e scienza del vivere sano. Non lo è, per la lontananza dai mercati, per
la scarsezza dei capitali, ma soprattutto pesa, per deficienza, l’endurance,
la resilienza. La resistenza e la costanza – capire adattarsi e insistere: il
“tutto subito” non fa futuro.
Mafia megafoni istituzionali
Scandalo al convegno romano degli editori di libri (Aie) e
giornali (Fieg) “La pirateria nel mondo del libro”: è la Calabria che ruba i libri
- la regione dove, dopo la Sardegna, si legge meno in Italia. Il generale Nisi della
Guardia di Finanza annuncia la conclusione di una “operazione speciale” Ghost
Book, con l’arresto di tre persone, a Roma, e il sequestro di beni per 1,5
milioni: “Una organizzazione”,
dicono i giornali, “con base in Calabria” che produce e vende “materiale
contraffatto”. Anche qualche libro, di “Elena Ferrante”, Rodari o Fabio Volo.
Il convegno ha
accertato 322 mila atti di pirateria al giorno nel 2020, con un danno per gli
editori di 1,88 miliardi di fatturato, e un mancato gettito fiscale di 322
milioni. Ma se non c’è profumo di mafia (Calabria questo vuole dire) non c’è reato.
Analogamente
per l’ecobonus al 110 per cento. Non ci sono statistiche degli abusi – che pure
ci sono (ci sono ma non si danno: sono marginali?). Abusi però si paventano, e
va bene, vigilare è ottimo. Ma solo per un “cartello delle mafie”. Un cartello”,
niente di meno: la teoria del monopolio fatta propria dai capicosca e ‘ndranghetisti,
super, ipercapaci. Ma dove, ma come? “Lo schema delle cosche prevede la creazione
di finte società edilizie. Con l’aiuto di professionisti e funzionari
pubblici”. Come in un qualsiasi falso appalto?
Il
governo non vuole rinnovare il superbonus, e va bene. Ritiene il superbonus uno
spreco e un malaffare - mentre il reddito di cittadinanza no - e va bene. Ma perché
dirlo mafioso, basta toglierlo. Il governo non è il megafono delle mafie. Come
non lo sono i Carabinieri, e nemmeno la Guardia di Finanza.
Sicilia
Nell’ultimo “A Sud” chiedevamo: che si sarebbe
detto se fosse stata la Sicilia, e non l’Emilia-Romagna, a destinare i 20
milioni del Pnrr per i borghi, senza un bando, senza una selezione o qualcosa
di simile, a due minifrazioni spopolate di montagna per crearvi studi
cinematografici e una scuola per scalpellini? Il “Corriere della sera” aveva
pronta la risposta il giorno dopo: “In Sicilia i 20 milioni sono stati assegnati,
senza un bando, senza una selezione o qualcosa di simile, al borgo di Cunziria,
Comune di Vizzini”. Su pronta segnalazione dalla Sicilia.
Molti grandi catanesi sono di fuori città,
anche di fuori provincia: di Vizzini (Verga), Mineo (Capuana, Bonaviri), Pachino
(Brancati), Lentini (il barone Sgalambro) – sulla traccia naturalmente di
Iacopo da Lentini, “il notaro” poeta, padre del sonetto). Il campanilismo non
si esercita tra congiunti? O forse non è siciliano - non si esercita più nemeno
tra Catania e Palermo.
De Roberto, dei nobili catanesi Asmundo
per parte di madre, era nato a Napoli: si fece catanese ai dieci anni, alla
morte del padre, ufficiale borbonico.
Il presidente Mattarella smobilita alla
fine del mandato. Poi, richiamato a furor di popolo, ritorna al Quirinale. Per restarci,
ovvio, il primo presidente che farà due mandati di seguito. Ma senza più un rapporto
di fiducia o riconoscenza con Draghi, che gli aveva consentito di terminare in
bellezza il mandato, e anche la legislatura, obiettivamente difficile da gestire
con un Parlamento frammentato. Ma non sarà, non è, più come prima. Perché
Draghi, fra il trasloco e il rientro dal Quirinale, si era candidato al posto
suo: il proposito siciliano, anche il più ferreo, va interpretato.
In “Nero su nero” Sciascia racconta di una
“signora Goetze”, tedesca, madre di sette figli, che in vacanza in Sicilia, a
48 anni, si risveglia all’amore. “Con un signore siciliano”, col permesso del marito
entusiasta, per due notti consecutive, e dopo di allora è felice: “La Sicilia
fece di me una dea”. La grottesca vicenda indispettisce Sciascia: “Il signore
siciliano di belle maniere” dice “di bocca buona” – la donna “non ha nemmeno la
statura delle donne del Nord, che è per un meridionale attrattiva
irresistibile. E ha il naso a patata”. E immagina “il racconto che quel signore
farà per tutta la vita della sua avventura” nel solito circolo dei notabili,
trasfigurando la donna, “giovane, alta, di un biondo straordinanrio”, con un marito
cornuto - “questo gran cornuto è venuto a ringraziarmi”.
Sciascia è insensibile al grottesco della
vicenda per essere sempre arcigno con “i siciliani”.
Anche Camilleri fa parlare i suoi siciliani
come al circolo dei notabili – che nonn esiste più da molto tempo, e comunque
non parlava come nei racconti. Ma per divertimento, degli stessi notabili.
Leoluca Orlando lascia Palermo, dopo un
quarantennio di controllo politico, come sindaco cinque volte e come politico di
riferimento, con un debito record. Che lo costringe, per evitare il fallimento
giudiziario, con l’aiuto straordinario del governo nazionale, a più che
raddoppiare l’addizionale Irpef comunale: al 17,7 per mille quest’anno, a l19,8
nel 2023 - più del doppio del tetto massimo dell’8 per mille previsto dalla
legge.
Dimenticato fra i tanti (il Millennio
purtroppo non ricorda più nulla, solo le ricorrenze che gli vengono imposte dalle
campagne pubblicitarie) Antonio Veneziano, che pure è personaggio avventuroso:
cinquant’anni visse a Palermo nel secondo Cinquecento, tra poesie, in dialetto
per lo più, donne, e libelli contro il governo, che lo portarono a morire in
carcere. A Palermo e anche in Algeri, dove fu in prigionia con Cervantes, che
gli fu amico. Cervantes gli ha dedicato un’epistola in dodici ottave – di cui
recupererà settanta versi nella commedia “El trato de Argel”, il patto di
Algeri – e ne ha fatto un personaggio del racconto “L’amante liberale”, il
prigioniero siciliano che magnifica la bellezza della sua donna in “versi
sublimi”.
Si ricorda volentieri la frase di Goethe
all’imbarco da Messina per tornare sul continente: “Non si può avere la più pallida idea dell'Italia se non si è
vista la Sicilia: qui è la chiave di tutto”. Intendeva dire di storia e di
bellezze, monumentali e naturali. Ma, certo, tutto è tutto. Il siciliano volentieri
ci vede il peggio - non soltanto il pessimista Sciascia.
leuzzi@antiit.eu
Romii e elleni
Libro
di viaggi nella Grecia del Nord (il titolo allude a una Grecia di mezzo,
prospiciente il golfo di Corinto), con alcune digressioni. Una, la più
brillante, Patrick Leigh Fermor fa sulle due anime del greco contemporaneo,
il romios e l’elleno, con una lunga tavola di
caratteristiche psicologiche appaiate per le due entità. Molte caratteristiche
dei romioi sono calabresi, se non tutte: realismo,
individualismo, ambizione privata, leguleismo, istinto, improvvisazione,
empirismo, provincialismo, retorica classica, sfiducia nella legge, saputismo,
incostanza, sensibilità eccessiva, collera improvvisa e violenta... Leigh
Fermor ne elenca 64, e tutte potrebbero essere molto meridionali. La vera
categoria potrebbe essere ionica, come opposta alla attica, o egea.
La filologica digressione è insomma una caricatura, purtroppo non voluta: con
64 caratteristiche, non ce ne è una. Le generalizzazioni delle psicologie
nazionali sono povera psicologia e povera scrittura, per quanto pettegola. Su
una caratteristica romia Leigh Fermor si dilunga, la stenachoria,
l’acedia latina, la malinconia immotivata: “Del tutto inatteso,
questo sovraccarico di energia e estroversione si inietta della più delicata
sensibilità, talvolta di suscettibilità, in cui uno scherzo o uno sgarbo, anche
immaginario, può rendere il mondo nero e precipitare la sua vittima nella
malinconia e il languore, quasi fino al mutismo. È compito degli amici
diagnosticare l’angoscia ed esorcizzarla; non sempre un compito facile. Questo
demone incombente, somigliante alla tribulatio et angustia dei
Salmi, i greci chiamano stenachoria”. Ma per fortuna, dice Leigh
Fermor, “il loro senso della commedia è anch'esso pronunciato”. Cosa, aggiunge,
“tanto più notevole in Grecia se pensiamo ai suoi vicini”, tra i quali mette il
Sud d’Italia. Che invece si esprime al meglio con l’ironia e lo scherzo. Tutto
quello di cui altri viaggiatori britannici si sono dilettati, per esempio in
Calabria Craufurd Tait Ramage, Edward Lear, Norman Douglas - anche se è vero
che l’“abito” meridionale, che si confeziona a Napoli e Palermo, si vuole
tragico (e che Ramage e Douglas erano scozzesi e non inglesi, e che Lear, inglese,
scelse di vivere in Italia).
In un breve ripensamento sulla sua scrittura da giramondo, Leigh Fermor rileva “una
morosa dilettazione a ricordare, quando tutto è finito, squallore e
tribolazione”. E fa questo esempio: “Il mantello calabrese di Gissing si poggia
momentaneamente sulla spalla”. Gissing che si ricorda solo per il suo
pellegrinaggio sulle rive dello Jonio. C’è un distinto anglocentrismo tra gli
scrittori inglesi di viaggi, che per questo sono tristi - non come Ramage, Lear
e Douglas, che invece riuscirono a divertirsi perfino in Calabria. Tra gli inglesi
alcuni però si distinguono per la curiosità, i migliori e più durevoli: Leigh
Fermor, Freya Stark (nata a Parigi e cresciuta in Italia, tra Asolo e Genova),
Robert Byron, Bruce Chatwin. Scrittori che nel secondo Novecento hanno saputo
rinnovare il culto dell’esotico – dell’estraneo.
Leigh
Fermor è grecofilo, al punto che non se ne immagina altra vita che in Grecia,
dove ha vissuto nel dopoguerra. E tuttavia i greci sono per lui “essi”. Non usa
“si dice" ma “i greci dicono”. Non “questo posto si chiama” ma “i greci
chiamano questo posto”. Non che ci sia un altro nome, inglese, turco, chissà,
per lo stesso posto, no. Semplicemente, quello non è posto di Leigh Fermor. Come
di un qualsiasi funzionario di colonia.
Notevole in questo libro, oltre alla riconosciuta capacità di Leigh Fermor di narrare
la filologia, che ne fa il successo, l’assenza di Venezia, se non per quattro
righe e mezza. Non ci fu Venezia nelle isole Ionie, né a Parga, Preveza o a
Lepanto, oltre che a Creta e nel Peloponneso, c'è solo Bisanzio, e i turchi. E
questo è sleale, oltre che impoverire il racconto: gli inglesi sono arrivati
tardi nelle isole ioniche, altrove non ci sono nemmeno arrivati, e ci hanno lasciato
poco, niente eccetto il cricket a Corfù. E Lord Byron, certo - che però vi morì
di polmonite (se non era malaria), mentre andava a caccia. Sapendo della
mancanza, però, il grecofilo riesce a gustare poco o niente di questo “Rumelia”,
e più che altro la buona volontà. I Sarakatzani non decollano, benché siano
soggetto succulento. Di Creta non ne parliamo: la seconda patria dello
scrittore: sembra un articolo di giornale, o un dépliant.
Freya
Stark in copertina nell’edizione americana ne lodava le riconosciute abilità: “C’è
qui tutto di nuovo: brillantezza, la profusione compiaciuta, l’esuberanza della
cultura e dell’informazione...”. Che era malignamente diminutivo, e finisce per
essere vero, perché Leigh Fermor qui manca, per inaspettate cesure, o censure, la
felicità della narrazione di “Mani” o di “Tempo di doni”. Non ci sono italiani
nemmeno nel Giardino degli eroi di Missolunghi, gli eroi dell'indipendenza
ellenica, che invece ci sono.
Patrick Leigh Fermor, Rumelia, Adelphi,
pp. 291 € 20
giovedì 31 marzo 2022
La mediazione cino-europea che non si è fatta
La Cina si è proposta mediatrice
nel conflitto russo-ucraina insieme con la Unione europea, e non ha ricevuto risposta?
Il summit virtuale cino-europeo
dell’8 marzo, fra Macron, Scholz e il presidente Xi, del “lavorare insieme” e
della “massima moderazione”, poi lasciato cadere dai leader europei, era stato
preceduto da un’articolata dichiarazione del ministro cinese degli Esteri Wang
Yi. Che parte col vantare “un mutamento mai visto da un secolo”, una “potenza
globale responsabile”, cioè la Cina, che esercita “compostezza strategica”. Ma
spiega anche che l’Europa farebbe bene a capire che “multipolarizzazione e
democratizzazione delle relazioni internazionali sostituiranno unilateralismo
ed egemonismo”. Gli europei non hanno dato seguito all’invito, il cui
presupposto era l’autonomizzarsi dell’Unione
Europea.
Wang Yi invitava anche il governo
americano a tornare al “Comunicato di Shangai”, all’impegno sottoscritto
cinquant’anni fa, a conclusione della visita di Nixon in Cina, 21-28 febbraio
1972.
Il Comunicato di Shangai prevedeva
la normalizzazione dei rapporti economici, e due importanti sviluppi politici:
il riconoscimento americano di “una sola Cina”, col ritiro delle truppe da Taiwan
(su Hong Kong, allora possedimento britannico, non ci fu nemmeno bisogni di un
impegno specifico), e il riconoscimento cinese degli interessi americani nel
Pacifico (sottinteso: compresi il mare del Giappone e i mari cinesi, Giallo, Cinese
Orientale, Cinese Meridionale). Nel quadro dei principi kissingeriani (la
visita e il comunicato furono opera di Kissinger, allora consigliere ombra di
Nixon) di rispetto
della sovranità e dell’integrità territoriale degli altri paesi, di non
aggressione, di non interferenza negli affari interni degli altri paesi, di
uguaglianza, di mutuo vantaggio e di coesistenza pacifica.
Il papa non ha divisioni, e divide
Il papa non media nella guerra in
Ucraina, non ha alcun potere sui due contendenti. Sull’Ucraina, di cui
sicuramente conosceva la situazione prima della guerra, di soprusi e violenze, forse
ancora meno che sulla Russia del patriarca nazionalista Kirill.
I patriarchi di ogni chiesa
ortodossa, compresa quella ucraina da poco autocefala da quella russa, non
vogliono bene al papa, e soprattutto non al papa Francesco.
Il papa – il segretario di Stato
Parolin - vanta rapporti sempre amichevoli con l’ambasciatore russo presso la Santa
Sede, Avdeev. È normale, i russi non sono orsi, come si legge nei giornali. Ma
l’ambasciata è simbolica, il papa non ha divisioni corazzate, e nemmeno un territorio,
a parte il giardino per le passeggiate del pontefice. Conta per il suo magistero
teologico, e per quello morale. La teologia è sempre al Filioque
divisivo di mille e passa anni fa. Sul magistero morale niente ha disturbato le
varie ortodossie, compreso qualche residuo patriarca cattolico, in Libano, Egitto, Siria, India, più dell’ecumenismo del papa Francesco. I patriarchi si
sentono minacciati e anzi assediati dall’islam e dalla parallela, molto
accomodante con l’islamismo, secolarizzazione euro-americana. Non c’è documento
(allocuzione, indirizzo, pastorale) che non rimarchi la distanza.
La maternità fa la donna felice
Sarà stato il 2021 l’anno della madre e del
bambino? Capitando di vedere di seguito due storie di maternità, e di coppie
rinate grazie alla maternità, uno si stropiccia gli occhi: ci sono ricorrenze
ormai per tutto, ogni giorno è il giorno di qualcosa, non ci sarà stato un anno
della maternità?
Con le solte divagazioni omosessuali, a letto o
rimosse, Almodovar racconta la storia di due donne, una molto sicura di sé,
l’altra post-adolescente incinta di un party alcolico, che la maternità
rafforza. Anche nelle avversità successive, i rapporti con la propria madre da
una parte, la bambina scambiata dall’altra. Sullo sfondo della campagna
Dignitad Nacional per il recupero in Spagna delle salme nelle fosse comuni dei
quarant’anni di franchismo.
Un film di interni, dialogati,
particolareggiati. Alla maniera di Almodovar, di film-romanzi piuttosto che per
immagini. Ma due forti immagini di donna alla fine lascia, senza effetti
speciali, nella normalità del vivere. Col contrappunto di una madre –
l’attrice, genere che evidentemente Almodovar deve frequentare molto – che
invece alla maternità non si è mai assuefatta, un incidente di percorso, e poi
alla fine anch’essa si riconcilia con la figlia.
La maternità di “Madres paralelas” non è un
mistero, come si sarebbe portati a credere in generale, e in particolare con
Almodovar. O non lo è più, se si richiama “Tutto su mia madre” di vent’anni fa,
una idea o intuizione allora affastellata che ora, in questo film, il regista pigmalione mostra lineare:
la maternità fa la donna, felice.
Pedro Almodovar, Madres paralelas, Sky
Cinema
mercoledì 30 marzo 2022
Ombre - 608
Sberla sonora - altro che cerimonia Oscar - di Elisabetta II Windsor, regina d’Inghilterra, 96 anni, al perbenismo americano, tutto ricatti, di puttane vergini e avvocati a percentuale, sotto il velo del puritanesimo, nel paese meno puritano del mondo, poligamo, ubriacone, drogato. Di cui la stessa regina ha una campioncina in casa, quella che una volta si chiamava attricetta e ora duchessa, che periodicamente la ricatta con interviste e mezze dichiarazioni (il mafioso “avvertimento”). Farsi vedere in pubblico, dopo un anno di lutti e malattie, al braccio fra i tanti del figlio incriminato dalla “giustizia” americana.
Non
è disprezzabile l’opposizione di Conte all’aumento delle spese militari: ha
senso politico, e comunque è giusto che se ne discuta, sotto i facili
entusiasmi dei media: riarmarsi perché? come? Ma dappertutto per questo è irriso, specie su
giornali progressisti, “Corriere della sera”, “la Repubblica”. Si dice sinistra
e si pensa subito a un blocco unanime, compatto, marciante? Nei giornali, che
dovrebbero essere la coscienza critica.
Ci sono sui media solo oligarchi russi. Quelli ucraini no, che pure, a differenza dei russi, comanda(va)no il paese. Ci sono oligarchi buoni e oligarchi cattivi?
Abramovich,
mediatore improvvisato nella guerra per conto di Putin, avvelenato, è invece a
Istanbul, in conferenza con Erdogan e Cavusoglu al palazzo Dolmabahce. E così
pure, s’immagina, i due mediatori ucraini avvelenati con lui. Mentre Patrizia
Hrelia, presidentessa dei tossicologi italiani, si produce sui vari tipi di “agente
nervino” che possono averlo intossicato – lei propende per la forma liquida
piuttosto che per l’aerosol.
I mediatori nella guerra avvelenati non è poi la più
falsa delle false notizie. La guerra è anche un cumulo di false notizie:
atrocità del nemico, meglio se in immagine, possibilmente accurate
(costruzione, taglio, illuminazione), eroismi nostri, meglio se di donne, bambini,
vecchi, malati terminali. Lo è sempre stata, lo è anche per le scienze storiche
col saggio-ricerca di Marc Bloch di cui ricorre il centenario. Ma false subito?
Questa guerra batte tutti i record.
Gli
avvelenamenti sono una specialità dei servizi segreti inglesi - sempre ne trovano,
a carico soprattutto dei russi. Gli stessi che (non) sanno come e perché
Roberto Calvi si trovò impiccato sotto uno dei ponti sopra il Tamigi.
Si celebra l’offerta
generosa del presidente Biden di supplire al gas russo con quello americano
liquefatto. Un po’ più caro, ma non vuol dire. Fino a che “Il Sole 24 Ore”
scopre che il metano liquefatto può arrivare in Europa via Portogallo e Spagna,
che hanno notevole capacità di rigassificazione inutilizzata. Bene per Spagna e
Portogallo. Ma, poi, bisognerà costruire dei gasdotti, verso la Germania,
l’Italia. Lunghi, cari. Lunghi anche a fare. Anche perché nessuno li vuole.
Il petrolio russo
boicottato dalla Ue va in India, a prezzi scontati. Da dove si può ricomprare,
posto che ne abbiamo bisogno, a prezzi maggiorati. E non per il trasporto: il
brokeraggio si fa per telefono e fax, il greggio viene spostato all’ultimo momento
(magari arriva in Italia o Germania, “via India”, dalla Russia). Le sanzioni
operano così, per triangolazioni, per far aumentare i prezzi.
Il generale americano
Petraeus, che come tutti sanno ha vinto le guerre perdute in Iraq e in
Afghanistan, ha largo spazio sul “Corriere della sera” per dire che l’esercito
ucraino è più forte di quello russo preponderante. Insomma, quasi, non proprio,
dipende.
Finalmente, dopo un mese
di guerra, si scopre il battaglione Azov. Due pagine sul “Corriere della sera”,
senza mai dire che è una internazionale di estrema destra, con la runa Wolfsangel
selle SS, creata nel 2014 e subito famigerata per stupri, torture e altri crimini
di guerra nel Donbass, attorno e dentro Mariupol, dove ha eretto un santuario a
Perun, divinità slava ancestrale. Uno dei due battaglioni neonazisti di parte
ucraina, l’altro si chiama Donbass. Entrambi inquadrati nella Guardia Nazionale
ucraina.
È firmata Nicastro l’evocazione
del battaglione Azov sul “Corriere della sera”, ma il giornalista si limita a
firmare un video postato da uno dei capi “leggendari” del battaglione per dire quanto eroico è stato ed è, e a volte scambia battaglione con reggimento.
Ma è vero che il battaglione Azov ha vantato fino a 2.500 volontari. Dell’estrema
destra ucraina: Andriy Biletski, “Bely Vozd”, capo bianco, Nathan Khazin, ebreo
ortodosso russofobo, gli oligarchi Kolomoisky (gas ) e Taruta (acciaio). E per un
quinto, o un quarto, di volontari di altri paesi europei.
La Zeitenwende del
cancelliere tedesco Scholz, la svolta epocale, per il riarmo massiccio della Germania,
era già in atto da tempo. Già nel bilancio 2022 la spesa militare era al 2 per
cento del pil, come richiesto da Trump a Merkel, 71 miliardi. In passato la
spesa è stata anche superiore, in termini di pil: nel 1974, con il “cancelliere
della pace” Brandt, era al 3,2 per cento del pil. Tre anni dopo, col cancelliere Schmidt, anche lui socialdemocratico come Brandt e Scholz, era al 3,4
per ceto del pil.
C’è
una rilevante partecipazione italiana all’industria tedesca degli armamenti.
Leonardo ha rilevato il 25,1 per cento del gruppo Hensoldt (radar, sensori,
avvistatori), fatturato 2020 a 1,3 miliardi, che ha beneficiato di un più che
raddoppio della quotazione di Borsa dopo l’inizio della guerra – l’ha rilevato da
Kkr, il fondo americano specializzato nelle acquisizioni a debito della società
acquisita. Fincantieri è in lizza per l’acquisto di Thyssenkrupp Marine Systems,
specialista di costruzioni navali (sottomarini)., fatturato 2020 a 2 miliardi.
L’Emilia-Romagna ha destinato i
venti milioni del Pnrr per progetti regionali a due frazioni sull’Appennino, La
Scola, sedici
residenti, e Campo, quarantaquattro, per crearvi
degli studi cinematografici. La Sicilia li ha destinati a Cunziria (conceria), per
fare teatro - “la Cunziria”, dice wikipedia, “è un vecchio borgo del settecento
a Vizzini, Sicilia. Il luogo è divenuto palcoscenico naturale per
rappresentazioni teatrali”. O cinema o teatro, il Pnrr è un divertimento – era,
prima della guerra.
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L’Unione
Europea spende 6,6 miliardi per il progetto Iter, l’impianto Tokamak in Provenza
che studia la fusione nucleare. Un impianto per un procedimento che, se
fattibile, consentirebbe di produrre l’energia di otto tonnellate di petrolio
con un solo grammo di idrogeno. Un progetto che Greenpeace dice “miraggio scientifico”
e “abisso finanziario”.
Nel 2050
dovremo smaltire 78 milioni di tonnellate di impianti solari esausti nel mondo
- in Italia 2,1 milioni di tonnellate.
Entro il
2030 in Italia si dovranno sostituire pale eoliche, già obsolete, per 30-40 mila
tonnellate. Praticamente non riciclabili.
L’inquinamento
oceanico da plastica proveniente da fiumi è per l’86 per ceto in Asia, per il
7,8 per cento in Africa, per il 5,45 per cento in America Latina, per lo 0,25 per
cento in Nord America, per lo 0,28 per cento in Europa, per lo 0,02 in Australia-Mari
del Sud. I buoni propositi dell’Occidente sono globalmente inutili.
Un buon
18-20 per cento della plastica mondiale nei mari viene dai fiumi delle Filippine.
In lode del matrimonio, e della maternità.
Quattro coppie si dissolvono, non essendo state
giuridicamente mai sposate (il prete era un truffatore), ma alla fine si
ritrovano d’amore e d’accordo. C’è chi scopre che la compagna non vale la (ex)
moglie. E che il lavoro non vale il marito e, possibilmente, un figlio. Mentre
l’adulterio è solo un passatempo, fastidioso anche.
Un tema anticonformista, promettentissimo. Con
facce note del genere brillante, Gerini, Angiolini, Crescentini, Pandolfi,
Bizzarri, Kessisoglu, Fabio Volo. Peccato che sceneggiatura e dialoghi, dello
stesso Costella, con Genovese, maestro del genere, e Antonella Lattanzi, non
seguano l’idea promettente: non si ride – si aspetta solo che finisca (ma non
ci sono sorprese).
Paolo Costella, Per tutta la vita, Sky
Cinema
martedì 29 marzo 2022
La guerra col cuore
“La storia
diplomatica ha spesso il difetto di non tenere conto della forza effettiva di
un paese”, esordiva da Ginevra Max Salvadori in una lettera all’“Espresso” del
3 agosto 1975, a seguito di un’evocazione sul settimanale della seconda guerra
mondiale. Forza che spesso è mentale più che militare, argomentava lo storico
(fratello di Joyce Lussu), con una breve analisi che si attaglia alla guerra in
corso in Ucraina.
Si sapeva
che la Francia, benché armatissima, non si sarebbe opposta a Hitler. Mentre la
Gran Bretagna, in disarmo e adagiata nell’appeasement, in poche
settimane fece fronte: “Non eravamo in pochi a ritenere negli anni Trenta che i
francesi (senza distinzione di partito o di classe) non potevano ripetere lo
sforzo compiuto nel 1914-18, che pur avendo le armi non possedevano la capacità
di servirsene, e che in caso di attacco tedesco avrebbero ceduto; e che (di
nuovo senza distinzione di partito o di classe) fino al marzo 1939 i britannici,
a parte lo stato miserevole dell’esercito e della marina e la pochezza delle
forze aeree, non volevano affrontare una guerra. L’occupazione di Praga da parte
dei tedeschi fece una profonda impressione sui cittadini britannici, prima che
sul governo: una nazione di «appeasers» si trasformò in una nazione di persone
decise a combattere. Cosa rara ma non eccezionale, si verificò nel marzo 1939 fra
i britannici (ma non fra i francesi, né allora né dopo) una rivolta morale”.
Cronache dell’altro mondo - da Oscar (177)
Il
presidente Biden in Polonia ha fatto un favore a Putin, trattandolo come se
fosse un generale sudamericano, da “cortile di casa”, e ha creato problemi ai governi
europei nella guerra, e dopo. I media si chiedono se lo ha fatto d’istinto, per
carattere, o se non sia la politica americana.
“Chiedo
uno dei più grandi investimenti in sicurezza nazionale”, ha scritto il presidente
Biden al Congresso, proponendo un aumento della spesa militare del 4 per cento
nel prossimo bilancio, che verrà discusso dal Congresso a settembre. Un aumento
del 6 per cento era stato già ottenuto da Biden per l’anno in corso. Con l’aumento
proposto del 4 per cento la spesa militare salirebbe a 813 miliardi di dollari annui.
L’Oscar per il miglior
film a un modesto rifacimento di un film francese di successo, “Coda – I segni
del cuore”, è in realtà un risarcimento a Appletv. Per compensare i tanti Oscar
andati ultimamente alla rivale Netflix, per film altrettanto, se non di più,
modesti, avvantaggiandola troppo sul mercato.
Mussolini tutto esaurito
Una scena ronconiana, molto semovente, costumi
alla Brecht, e una recitazione affettata (ironica), sempre alla Brecht, con richiami a Petrolini,
Fellini, Buazzelli-Strehler, et al., per l’adattamento dello stesso Popolizio
del primo romanzo mussoliniano di Scurati. Quello che va dal 23 marzo 1919 al 3
gennaio 1925, dalla fondazione dei Fasci di combattimento all’instaurazione del
regime, dopo l’assassinio di Matteotti - il conflitto con i socialisti è singolarizzato
in scena nella figura di Matteotti. Con l’accentuazione dei ruoli femminili,
forse per far digerire meglio il polpettone.
L’adattamento è infatti volutamente piatto, non è commedia e non è dramma. Sul filo sempre dell’irrisione, del fascismo
burletta – Marinetti, D’Annunzio, Balbo, Bombacci, lo stesso Nenni, la stessa
Sarfatti. Non da Brecht, come si vorrebbe - Brecht non combatte i cadaveri. Sui
toni da cabaret o stand-up comedy – Mussolini è per lo più Tommaso Ragno, un
gentiluomo, molto british. Ma non si ride. Per tre ore: tre ore di ripetizione
delle solite cose che si sanno e si sono ridette del fascismo. Un successo.
Un successo che dire enorme è dire poco: è questo
lo spettacolo. Ventisette recite dal 4 marzo a domenica prossima 3 aprile a
Roma tutte esaurite. Quindici a febbraio al Piccolo Strehler tutte esaurite –
per una capienza di mille posti, contro i settecento del teatro romano (è una
co-produzione Piccolo-Teatro di Roma-Luce Cinecittà, con la collaborazione del
ronconiano Centro Teatrale Santacristina). Ieri lunedì la compagnia ha saltato l’ultimo
turno di riposo per una recita straordinaria. Lo spettacolo è dovuto cominciare
con un’ora di ritardo, tanta era la fila al botteghino – determinata, fino all ultimo posto disponibile.
C’è bisogno d’informazione? Sul fascismo fritto
e rifritto? Pochi i ragazzi, il pubblico delle lunghe code era ieri in età, chissà
quante volte se lo è sentito ripetere, che i fascisti erano brutti e sciocchi –
e pochi? C’è bisogno di consolazione?
Massimo Popolizio, M Il figlio del secolo,
Teatro Argentina, Roma
lunedì 28 marzo 2022
L’Europa non è slava
Gli slavi sono ancora da integrare in Europa. Non nella Ue, buona
parte di essi ci sono già, da tempo, con profitto, ma nella storia e la
cultura, la forma mentis, il modo di pensare e regolarsi – il modo
“occidentale”.
Il tema non è nuovo, Magris lo poneva qualche anno fa parlando
della Germania, che non sa ancora che cosa farsene. Rumiz, altro triestino, lo
rappresenta nei suoi racconti. Le guerre fra gli slavi del Sud, ex Jugoslavia,
e i rapporti sempre antagonisti fra Ucraina e Russia da un secolo a questa
parte (Ucraina “bianca” contro l’Armata Rossa, etc.), ora finita in guerra
senza sbocco, sono la parte evidente del problema.
Si dice Europa, s’intende “Occidente”, la civiltà greco-romana,
ossia del diritto romano. Di cui si è fatta bandiera la stessa Germania, anche
nelle crisi peggiori di teutonismo. O l’Inghilterra, che il sostrato celtico
(come del resto la Francia) ha votato alla latinità, sia nella forma della
repubblica che in quella dell’impero, regolato, normato. Un’eredità ampliata a
dismisura dagli Stati Uniti, il vero Occidente, come lo dice la sua
costituzione, pieno a ogni canto di partenoni e campidogli.
Niente di tutto questo nell’altra metà dell’Europa, slava. Dove il
principio tribale ancora e (quasi) unicamente governa. L’eredità di Roma vi
viene rivendicata, soprattutto a Mosca, la Terza Roma, ma nella forma di
Bisanzio, che parlava greco ma non aveva nulla di greco-romano, né partenoni né
campidogli - un impero d’Oriente, asiatico.
L’Occidente è diviso
La guerra di Putin sembra aver fatto rinascere l’Occidente, come
ai tempi della guerra a Hitler, e della guerra fredda. Ma solo sembra: gli
interessi di Stati Uniti e Europa sono diversi e anche in contrasto, in questa
guerra. Nei suoi prodromi e nei suoi sviluppi.
Per quel tanto che la guerra si potesse evitare - prendendo cioè
per buona l’accusa di Mosca a Kiev di avere disatteso gli accordi di Minsk del
2015 su Crimea e Donbass - questo è avvenuto col sostegno dei tre governi
americani che si sono succeduti da allora, Obama, Trump e Biden. È comunque un
fatto che, pur non essendo l’Ucraina eleggibile alla Nato in base agli statuti
dell’Organizzazione, gli Stati Uniti lo hanno lasciato credere dal 2008, amministrazione
Bush jr. uscente, in poi.
Nessuna soluzione è ora possibile alla guerra: le sanzioni
economiche non consentono una mediazione, e il riarmo dell’Ucraina si fa
limitato, per quel tanto che non consenta una soluzione militare.
Gli effetti collaterali della guerra in Europa vano a beneficio degli
Stati Uniti. Il calo (crollo) della tensione in Estremo Oriente, attorno a
Taiwan. L’indebolimento di molti settori concorrenti europei, automotive,
aeronautica, armamenti, chimica, a causa delle sanzioni - gestite dagli Stati
Uniti, hanno di fatto un costo solo per l’Europa, come questo sito ha già
spiegato. Il rilancio dell’industria estrattiva americana, di carbone e
idrocarburi, già bloccata dalla normativa ambientale.
L’accordo sul nucleare arma l’Iran
I due ex segretari di Stato di area repubblicana,
Kissinger (Nixon, Ford) e Schulz (Reagan), già diciotto mesi prima avevano
ammonito l’amministrazione Obama, vicepresidente Biden, sulle insidie dell’accordo
nucleare con l’Iran. Il 7 aprile 2015, ad accordo firmato, spiegavano come l’accordo,
che ora Biden riprende, potenzialmente dà all’Iran l’armamento nucleare.
C on tutte le buone intenzioni, spiegano, l’amministrazione
Obama ha aperto la competizione nucleare nel Medio Oriente. L ’Iran ha
rovesciato la trattativa, “mescolando abilità diplomatica e sfida aperta alle
risoluzioni Onu”: “Per vent’anni, tre presidenti di entrambi i maggiori partiti
hanno sostenuto che l’armamento nucleare iraniano era contrario agli interessi
americani e globali”, l’accordo dà all’Iran “questa possibilità, anche se non
piena per dieci anni”. Senza peraltro controlli reali, praticamente impossibili
in “un paese vasto e con grandi possibilità di camuffamento”. E senza possibili
contromisure: le sanzioni che l’accordo cancella saranno difficili da reimporre
all’Onu (in effetti non sono state reimposte dopo la denuncia dell’accordo da
parte di Trump), e potrebbero isolare gli Stati Uniti più che l’Iran. L’accordo
riconosce all’Iran la capacità e il diritto all’arricchimento dell’uranio, che
era ciò che si voleva prevenire: “L’Iran ha moltiplicato le centrifughe da 100
all’inizio del negoziato dodici anni fa a quasi 20 mila”.
Qualche tempo prima, in “Ordine mondiale”,
pubblicato a settembre 2014, Kissinger esaminava in ipotesi l’armamento
nucleare dell’Iran. L’Iran è un grande paese, ricordava, di lunga e
densa tradizione e cultura, con ambizioni di potenza regionale radicate e
robuste, contro un mondo arabo che per più aspetti ha sempre
considerato e considera avverso: religiosi, etnici, militari. I quarant’anni di
militantismo khomeinista hanno radicalizzato questo scontro: con l’Irak,
col sunnismo in Libano e Siria, e ora nello Yemen, contro l’Arabia Saudita e
gli Emirati del Golfo. L’armamento nucleare è inteso a sancire la rivincita. Ma
allora la proliferazione sarebbe incontrollabile: gli arabi confinanti non
vorranno restare indietro.
Kissinger non ne faceva tanto un problema di
Israele (Israele è, come l’Europa, la grande assente dai suoi scacchieri), ma
di reazione del sunnismo, nel Golfo, nel Medio Oriente, Egitto compreso, in
Pakistan. Una questione che per un lettore qualsiasi può sembrare marginale, e
invece no.
Henry Kissinger-George P. Schulz, The Iranian
Deal and its Consequences, “The Wall Street Journal”, 7 aprile 2015
domenica 27 marzo 2022
Cronache dell’altro mondo – bellicose (176)
L’indice di apprezzamento della presidenza Biden è risalito da un
minimo storico del 39-40 per cento a febbraio al 47-48 per cento un mese dopo.
Critico verso l’inflazione, ma positivo per il confronto con la Russia.
Il partito Repubblicano, che aveva all’orizzonte una larga
vittoria al voto di medio termine a novembre, studia come fra fronte al ritorno
di popolarità di Biden sul terremo del confronto con la Russia,
Gli Houthi yemeniti, che hanno bombardato con i razzi i depositi
petroliferi sauditi alla periferia di Gedda, sono stati tolti a gennaio dalla lista dei
terroristi interazionali da Biden, su richiesta del governo iraniano.
Biden ha rimesso in circolo con Teheran l’accordo Jcpoa (Joint Comprehensive Plan of Action) per il nucleare iraniano, che si ripromette di firmare presto – il
rilancio dell’accordo, sottoscritto da Obama e cancellato da Trump, era atteso per
fine febbraio, prima dell’attacco russo all’Ucraina.
L’accordo fu a suo tempo criticato da Kissinger in quanto non preclude
a Teheran l’accesso alle armi nucleari, ma solo lo rinvia di dieci anni.
Ecobusiness
Le 16
obsolete centrali a carbone dei Balcani occidentali inquinano più delle altre
296 in funzione nel resto d’Europa – Air Quality-AirCare.
“L’auto
elettrica comprta costi aggiuntivi del 50 per cento - Carlos Tavares (Stellantis).
Volkswagen
progetta un’auto elettrica economica, fra due anni, al costo di 18 mila euro.
Gli
investimenti per migliorare la tecnologia dell’auto elettrica nei prossimi
cinque anni sono calcolati in 330 miliardi di dollari.
Ma la
guerra in Ucraina sta ribaltando i piani d’investimento: tutte le risorse, in
Europa e negli Stati Uniti, si indirizzano per i prossimi anni alla produzione
e il trasporto del gas, e alla messa in attività di giacimenti petroliferi a
bassa resa - greggi pesanti, scisti – e a forte inquinamento nella fase produttiva,
di estrazione e raffinazione.
"Sulla strada" sulla traccia di "Senza famiglia"
La bohème a New York con Kerouac (un centenario –
della nascita – che anche l’America ha dimenticato) e tanti amici, di lei,
Frankie Edith Kerouac-Parker, e di lui, che formeranno la beat generation.
Negli anni della guerra, dal 1940 al 1945. Compreso il matrimonio in
carcere, dove lo scrittore era rinchiuso per favoreggiamento – un matrimonio
necessario per sbloccare l’eredità di Edie, e poter pagare la cauzione per il
rilascio. Raccontata con la stessa spensieratezza, vigile, con la quale è stata
vissuta. Perché allora se ne è dissociata? “Erano tutti coinvolti nel giro della
droga, mentre io lavoravo a tempo pieno per poterli mantenere”, di notte, come
carrellista, nei grandi dock sull’Hudson. Con fotografie d’epoca.
Si parla molto di Allen Ginsberg, perfino un bel
ragazzo, quando aveva i capelli, ancorché bassino, e di William Burroughs. E degli
amici che rifluiranno in molti personaggi di “Sulla strada”: Lucien Carr, bellissimo,
spensieratissimo, che finisce male, uccidendo il vecchio caposcout gay che lo perseguita,
padre dello scrittore Caleb Carr, Henri Cru, Neal Cassady, Seymour Wise, molto Joan
Vollmer Adams. prima che finisse annegata nella benzedrina, e poi, moglie di
Burroughs, vittima di lui, maniaco delle armi, in un gioco alla Guglielmo Tell.
Con pochi soldi e molto alcool. E, con l’entrata nel gruppo di Herbert Huncke,
più anziano, le droghe.
Con ritratti notevoli anche della famiglia
Kerouac: la madre Gabe lavoratrice e devota, il padre strano, la sorella maggiore.
Nonché della propria famiglia di Edie, di una borghesia operosa, a Detroit. Si
può dire la storia di due “mammisti”: “Nessuno dei due se ne andò più di casa”
dopo la separazione, nota il curatore Bill Morgan, “rimasero con le rispettive
madri per il resto della vita, pur se entrambi risposandosi più volte”. Entrambi
due volte. La terza moglie di lui, Stella Sampas, sorella di Sebastian Sampas, il
migliore amico di Kerouac, si occuperà per anni dello scrittore alcolizzato
cronico, e della sua madre, paralizzata da un ictus. Edie e la sua famiglia,
madre, padre, sorella, nonna ricorrono nella semiautobiografia di Kerouac, “Verità
di Duluoz”.
Una vita complicata e allegra. Come Frankie-Edie
sarà ancora quarant’anni dopo, nella testimonianza di Timothy Moran, che ne ha
raccolto le confidenze, malata e indomabile, con 28 gatti in casa. Nel 1942
abortisce, di “un bambino maschio con i capelli neri”, che presume di Jack. Senza
drammi, in tre o quattro righe - meno di uno dei tantissimi pasti arrangiati o
delle tante bevute, dettagliate. Jack ha avuto una figlia dalla seconda moglie,
che però ha disconosciuto.
Ricordi apparentemente confusi – a imitazione
della letteratura beat. Con una costante, la celebrazione di Kerouac:
Jack è sempre molto intelligente, molto colto, molto affettuoso, sa di scacchi
ma odia l’azzardo, è molto moralista, e non guida. Con un segnale preciso, però,
per i suoi cultori e studiosi: l’influenza francese. Nel patois che parlava
in casa, franco-canadese, anche negli anni di New York, quando i genitori vi si
erano trasferiti da Lowell per stargli vicino. Ma soprattutto per la scrittura.
Jack ritorna di continuo come grande lettore, al bagno e fuori, soprattutto della
Bibbia e di Shakespeare. Ma a Edie confida che quando parla pensa sempre in francese.
Il sodalizio con Edie si stabilisce col comune proposito di trasferirsi a
Parigi, dal primo incontro all’ultimo. In una foto del 1944 posa “come un personaggio
di Gide”. E “Sulla strada” Edie avvicina involontariamente a Malot, “Senza
famiglia”, che era piaciuto molto a entrambi, libro e film: Henri, “Sulla
strada”, è Rémy Boncoeur di “Senza famiglia”, p. 42.
Edie Parker-Kerouac, La mia vita con Jack,
Stampa Alternativa, pp. 191, ill. € 16
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