sabato 2 aprile 2022
Secondi pensieri - 478
Amore – “Ha come mezzo la guerra, e come fondamento l’odio mortale tra i sessi” è nota proposizione di Nietzsche. Oggi si direbbe finito nell’odio del sesso, trascinato dalla caduta del desiderio, come se ne fosse un’appendice, maschi e femmine uniti nella lotta, o dell’indistinto genere.
Antifascismo – La riduzione
teatrale di “M Il figlio del secolo”, il romanzo di Scurati sull’ascesa di
Mussolini, dal 23 marzo 1919 al 3
gennaio 1925, dalla fondazione dei Fasci di combattimento all’instaurazione del
regime, dopo l’assassinio di Matteotti, vede il teatro pieno, a Milano e a Roma,
nei due mesi di programmazione, con lunghe code di spettatori inesauditi. Il
romanzo e la rappresentazione non dicono nulla più del risaputo, anche attraverso
i vecchi settimanali familiari a larga diffusione, “Gente”, “Oggi”. E la rappresentazione
non fa scintile, anzi segue modestamente l’agrodolce delle rievocazioni, irridendo
D’Annunzio e Fiume, Mussolini e i Fasci, Margherita Sarfatti e Nicola Bombacci,
alla Brecht ma in tono minore, da caricature, perfino mascherate. Il successo
straordinario di pubblico della rappresentazione è dovuto a misconoscenza degli
aneddoti narrati (impossibile, li sanno tutti), all’odio per Mussolini, alla
simpatia per Mussolini? L’antifascismo è sempre un problema, irrisolto,
contestato, tra gli stessi antifascisti. Forse il problema è il fascismo, cioè
come la democrazia ha potuto e può degenerare – non è un problema di olio di
ricino.
L’Italia riservata, di Mani Pulite
Non una delle tante “memorie di un superministro
della Prima Repubblica”, come da sottotitolo. E nemmeno fantapolitica, come era
di moda a fine Novecento – “Berlinguer e il Professore”, etc.. No, sono memorie di uno informato e, a
distanza, bene informato, non il solito chiacchierone. Uno che capisce anche,
oltre che sapere. Sarebbe, sarebbe stato, il più opportuno contraltare alle
celebrazioni di Mani Pulite per il quarantennale.
Fa impressione, a distanza di tempo, per la nettezza
dei fatti riferiti, e delle spiegazioni, in ogni circostanza. E per il fatto che,
a distanza di tempo, non ci sono tentativi di storicizzare l’abbattimento della
politica, di nessun tipo, a parte le polemiche: gli atti, i media, le statistiche
giudiziarie, le “irritualità”, le “dichiarazioni”, la corruzione dei magistrati,
perfino pubblica, nessun lavoro di scavo, nemmeno tentato.
Al “Geronimo” basta (191-192) il richiamo alla
confidenza avuta dal ministro dell’Interno Scotti, a cui i servizi segreti,
allora Sisde, confidano che a fine maggio 1992 due
camion carichi sono usciti di notte da Botteghe Oscure, allora la sede del Pci,
e sono scomparsi nel nulla, in direzioni diverse. “Geronimo” collega il fatto
all’incontro che Giovanni Falcone avrebbe dovuto avere col Procuratore speciale
russo Stepankov, se non fosse saltato in aria a Capaci, il 23 dello stesso
mese. Stepankov era incaricato di recuperare i crediti del Pcus, il partito
Comunista sovietico, nei paesi occidentali, e aveva chiesto la collaborazione
di Falcone per sapere come orientarsi.
O la premonizione, straordinaria nella primavera
del 1982, del capo dei servizi, generale Ramponi: “O la Dc e il Psi si
rinnovano, oppure sono destinati a morire”. Da quale Dio?
Geronimo (Paolo Cirino Pomicino), Strettamente
riservato
venerdì 1 aprile 2022
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (487)
Giuseppe Leuzzi
In
quaranta giorni di guerra in Ucraina, malgrado l’asserito enorme spiegamento di
mezzi russo, con bombardamenti e assedi di grandi città, le vittime contate,
vittime civili, si aggirano sul migliaio. Sono poche. Non per cinismo: nel
1799, in un solo giorno, il 20 gennaio, i repubblicani napoletani fecero un
tremila vittime tra i lazzari, che si erano schierati per la monarchia,
cannoneggiandoli da Castel Sant’Elmo.
“Da
Calabria, Sicilia, Molise e Toscana l’assalto italiano alle «tecnologie blu»” -
Luigi Ippolito sul “Corriere della sera”. A Londra, alla fiera Oceanology, di
tecnologie e procedimenti per utilizzare la forza motrice del mare e
salvaguardarne l’habitat. Le università Mediterraneo di Reggio e il Consorzio
Seapower della Federico II di Napoli per produrre energia dalle onde. La Unical
di Cosenza e la società siciliana Atlantis per la protezione dei beni archeologici
marini. La pugliese Fishanalytics per la gestione delle acquaculture con
l’intelligenza artificiale. La siciliana Geo Bio Team per sanitarizzare la ricerca
e produzione di idrocarburi a mare. La molisana Guidotto Ships di Termoli, per
l’ispezione di oleodotti e cavi sottomarini. La casertana Top View per i droni
di ricerca e soccorso in mare. L’intelligenza non manca.
Puglia
e Calabria, scriveva a Stendhal due secoli fa un corrispondente, Lambert, un
funzionario francese trapiantato a Napoli da una decina d’anni, sono tra le
terre più ricche del reame. Ma gli uomini sono morti – soprattutto le donne.
I
Borboni com’erano
I
Borboni, se n’è fatto un’idea Álvaro Mutis, “Amirbar” pp. 119-120, erano di due
specie. Gli eredi del figlio minore di Luigi il Santo manifestano presto “una
curiosa particolarità del carattere”: esercitare direttamente il potere, per il
gusto dell’intrigo, con scarso rispetto della realtà, grazie “all’abilità di
maneggiare le debolezze e le ambizioni dei sudditi e di sapersi sempre mantenere
al margine, o meglio al di sopra, degli accidenti immediati che scatenavano gli
intrighi dei loro accoliti”.
Alcuni
erano bravi a questo gioco, spiega Mutis: Erico IV, Luigi XIV, Luigi XV, Luigi
XVIII. Altri no, Luigi XVI, Carlo X, o in Spagna Carlo IV e Ferdinando VII. I
Borboni sono tutto qui.
Curioso
che dei Borboni si sappia poco in Italia. Lo stesso Gadda, che pure ci scrisse
sopra un libro, “I Luigi di Francia”, si limita a riciclare l’aneddotica. Il
colombiano-messicano Mutis, premio Cervantes, era probabilmente dentro la Spagna
dalle due anime, l’europea e l’oceanica.
Senza
categorizzare, Atanasio Mozzillo, “Stendhal au bout d’Italie ovvero: il viaggio
inventato di Stendhal in Calabria”, ricorda che il re di Napoli Ferdinando IV,
I delle Due Sicilie, re per una sessantina d’anni, non ha mai varcato l’Appennino
o traversato il Sele per conoscere le sue province. Cacciato dai repubblicani
nel 1999 e dai napoleonici nel 1806, lasciò Napoli per Palermo, da corte a
corte. Andava a caccia, questo sì, ma non molto fuori Napoli o Palermo. Andò
anche a Roma, il 5 ottobre del 1798, per ristabilirvi il papa contro la
Repubblica, ma non gli andò bene. Era il figlio e erede di Carlo, il re di Napoli “proprio e nazionale” - che poi però lasciò Napoli per fare il re a Madrid, Carlo III.
No a Ferrero, la nocciola calabrese non si tocca
La Ferrero si era proposta di rilevare l’intero raccolto, per
vent’anni, ai prezzi di mercato. I produttori hanno detto no, “preferiamo
valorizzare le nostre nocciole da soli”. È cronaca di ieri in Calabria: i produttori
della “tonda calabrese”, piccoli produttori su un’area di 350 ettari nel basso
Ionio in provincia di Catanzaro, tra Cardinale e Torre Ruggiero, vogliono
“valorizzarne l’identità”, sul luogo, di modo che “i compratori vengano qui per
comprare il prodotto”: “Il nostro obiettivo”, dichiara il presidente del Consorzio,
Giuseppe Rotiroti, “è lavorare le nocciole in Calabria per creare posti di lavoro”. Un’intenzione che potrebbe andare bene, perché no.
Per ora ci lavorano quaranta persone. Un impianto di trasformazione,
un investimento da mezzo milione, darà lavoro ad “almeno dieci operai”.
L’esito sarà il migliore augurabile. Ma la tendenza è
purtroppo malthusiana: in Calabria si sono abbattuti ovunque i castagni, che ora
alimentano altrove una florida economia, le banane e il gelsomino nella locride,
la conca verde di “arance di San Giuseppe”, o ovale calabrese, alle porte di
Reggio Calabria, una varietà che matura ad aprile-maggio, una benedizione, lo zibibbo dei terrazzamenti di Bagnara e Scilla, una orografia che fa lo splendore delle Cinque Terre, un tesoro, abbandonata al dilavamento. Perfino l’ulivo non se la passa bene: non si contano gli espianti, per farne legno da
parquet. Anche di uliveti secolari, che la legge in teoria protegge – ma basta,
dicono i Carabinieri, dichiarare l’uliveto malato. Anche la “tonda calabrese”
non se la passa bene: ora si producono tremila quintali di nocciole,
quarant’anni fa erano sedicimila.
Nella penisola del Bel Paese, “la società più distruttrice d’Europa” già
nel “Viaggio in Italia” di Piovene del 1957, la penisola calabrese si è da
allora specialmente distinta. La campagna in Calabria sarebbe, come altrove, un bene
inestimabile, una miniera a cielo aperto, nel boom ormai inarrestabile
dell’agro-alimentare, nella nuova coscienza e scienza del vivere sano. Non lo è, per la lontananza dai mercati, per
la scarsezza dei capitali, ma soprattutto pesa, per deficienza, l’endurance,
la resilienza. La resistenza e la costanza – capire adattarsi e insistere: il
“tutto subito” non fa futuro.
Mafia megafoni istituzionali
Scandalo al convegno romano degli editori di libri (Aie) e
giornali (Fieg) “La pirateria nel mondo del libro”: è la Calabria che ruba i libri
- la regione dove, dopo la Sardegna, si legge meno in Italia. Il generale Nisi della
Guardia di Finanza annuncia la conclusione di una “operazione speciale” Ghost
Book, con l’arresto di tre persone, a Roma, e il sequestro di beni per 1,5
milioni: “Una organizzazione”,
dicono i giornali, “con base in Calabria” che produce e vende “materiale
contraffatto”. Anche qualche libro, di “Elena Ferrante”, Rodari o Fabio Volo.
Il convegno ha
accertato 322 mila atti di pirateria al giorno nel 2020, con un danno per gli
editori di 1,88 miliardi di fatturato, e un mancato gettito fiscale di 322
milioni. Ma se non c’è profumo di mafia (Calabria questo vuole dire) non c’è reato.
Analogamente
per l’ecobonus al 110 per cento. Non ci sono statistiche degli abusi – che pure
ci sono (ci sono ma non si danno: sono marginali?). Abusi però si paventano, e
va bene, vigilare è ottimo. Ma solo per un “cartello delle mafie”. Un cartello”,
niente di meno: la teoria del monopolio fatta propria dai capicosca e ‘ndranghetisti,
super, ipercapaci. Ma dove, ma come? “Lo schema delle cosche prevede la creazione
di finte società edilizie. Con l’aiuto di professionisti e funzionari
pubblici”. Come in un qualsiasi falso appalto?
Il
governo non vuole rinnovare il superbonus, e va bene. Ritiene il superbonus uno
spreco e un malaffare - mentre il reddito di cittadinanza no - e va bene. Ma perché
dirlo mafioso, basta toglierlo. Il governo non è il megafono delle mafie. Come
non lo sono i Carabinieri, e nemmeno la Guardia di Finanza.
Sicilia
Nell’ultimo “A Sud” chiedevamo: che si sarebbe
detto se fosse stata la Sicilia, e non l’Emilia-Romagna, a destinare i 20
milioni del Pnrr per i borghi, senza un bando, senza una selezione o qualcosa
di simile, a due minifrazioni spopolate di montagna per crearvi studi
cinematografici e una scuola per scalpellini? Il “Corriere della sera” aveva
pronta la risposta il giorno dopo: “In Sicilia i 20 milioni sono stati assegnati,
senza un bando, senza una selezione o qualcosa di simile, al borgo di Cunziria,
Comune di Vizzini”. Su pronta segnalazione dalla Sicilia.
Molti grandi catanesi sono di fuori città,
anche di fuori provincia: di Vizzini (Verga), Mineo (Capuana, Bonaviri), Pachino
(Brancati), Lentini (il barone Sgalambro) – sulla traccia naturalmente di
Iacopo da Lentini, “il notaro” poeta, padre del sonetto). Il campanilismo non
si esercita tra congiunti? O forse non è siciliano - non si esercita più nemeno
tra Catania e Palermo.
De Roberto, dei nobili catanesi Asmundo
per parte di madre, era nato a Napoli: si fece catanese ai dieci anni, alla
morte del padre, ufficiale borbonico.
Il presidente Mattarella smobilita alla
fine del mandato. Poi, richiamato a furor di popolo, ritorna al Quirinale. Per restarci,
ovvio, il primo presidente che farà due mandati di seguito. Ma senza più un rapporto
di fiducia o riconoscenza con Draghi, che gli aveva consentito di terminare in
bellezza il mandato, e anche la legislatura, obiettivamente difficile da gestire
con un Parlamento frammentato. Ma non sarà, non è, più come prima. Perché
Draghi, fra il trasloco e il rientro dal Quirinale, si era candidato al posto
suo: il proposito siciliano, anche il più ferreo, va interpretato.
In “Nero su nero” Sciascia racconta di una
“signora Goetze”, tedesca, madre di sette figli, che in vacanza in Sicilia, a
48 anni, si risveglia all’amore. “Con un signore siciliano”, col permesso del marito
entusiasta, per due notti consecutive, e dopo di allora è felice: “La Sicilia
fece di me una dea”. La grottesca vicenda indispettisce Sciascia: “Il signore
siciliano di belle maniere” dice “di bocca buona” – la donna “non ha nemmeno la
statura delle donne del Nord, che è per un meridionale attrattiva
irresistibile. E ha il naso a patata”. E immagina “il racconto che quel signore
farà per tutta la vita della sua avventura” nel solito circolo dei notabili,
trasfigurando la donna, “giovane, alta, di un biondo straordinanrio”, con un marito
cornuto - “questo gran cornuto è venuto a ringraziarmi”.
Sciascia è insensibile al grottesco della
vicenda per essere sempre arcigno con “i siciliani”.
Anche Camilleri fa parlare i suoi siciliani
come al circolo dei notabili – che nonn esiste più da molto tempo, e comunque
non parlava come nei racconti. Ma per divertimento, degli stessi notabili.
Leoluca Orlando lascia Palermo, dopo un
quarantennio di controllo politico, come sindaco cinque volte e come politico di
riferimento, con un debito record. Che lo costringe, per evitare il fallimento
giudiziario, con l’aiuto straordinario del governo nazionale, a più che
raddoppiare l’addizionale Irpef comunale: al 17,7 per mille quest’anno, a l19,8
nel 2023 - più del doppio del tetto massimo dell’8 per mille previsto dalla
legge.
Dimenticato fra i tanti (il Millennio
purtroppo non ricorda più nulla, solo le ricorrenze che gli vengono imposte dalle
campagne pubblicitarie) Antonio Veneziano, che pure è personaggio avventuroso:
cinquant’anni visse a Palermo nel secondo Cinquecento, tra poesie, in dialetto
per lo più, donne, e libelli contro il governo, che lo portarono a morire in
carcere. A Palermo e anche in Algeri, dove fu in prigionia con Cervantes, che
gli fu amico. Cervantes gli ha dedicato un’epistola in dodici ottave – di cui
recupererà settanta versi nella commedia “El trato de Argel”, il patto di
Algeri – e ne ha fatto un personaggio del racconto “L’amante liberale”, il
prigioniero siciliano che magnifica la bellezza della sua donna in “versi
sublimi”.
Si ricorda volentieri la frase di Goethe
all’imbarco da Messina per tornare sul continente: “Non si può avere la più pallida idea dell'Italia se non si è
vista la Sicilia: qui è la chiave di tutto”. Intendeva dire di storia e di
bellezze, monumentali e naturali. Ma, certo, tutto è tutto. Il siciliano volentieri
ci vede il peggio - non soltanto il pessimista Sciascia.
leuzzi@antiit.eu