sabato 30 aprile 2022
Ombre - 613
L’Europa fa a gara a fornire di armi l’Ucraina,
carri armati, missili, e siamo tutti contenti. Roba vecchia, di cinquanta e più
anni. E delicata - bisognosa di assistenza: i carri armati, per esempio, sono delicatissimi,
se ne rompono tre su sei a ogni uscita. I missili bisogna saperli indirizzare, con
calcolo trigonometrico e differenziale – quanti ufficiali di artiglieria in
Italia li sanno utilizzare?
Massimo Sideri torna con Ilaria Capua sulla accusa alcuni
anni fa della Procura di Roma, anticipata all’“Espresso”, che ci fece la copertina,
di “procurata epidemia”. Roba da ergastolo. Capua preferisce non rimestare i
fatti. Che sono però raccapriccianti. A Verona, o Venezia, dove la causa passò
per competenza, Capua fu assolta. Ma fu assolto anche “l’Espresso”: niente
diffamazione. Mentre la Procura di Roma, che si era inventata la causa,
travalicando la competenza territoriale, ci fece carriera. Il capo della Procura,
pensionato in Italia, se lo è eletto giudice il papa al Vaticano, si vede che è
un buon cristiano.
L’Italia importa dall’Ucraina meno di un punto percentuale
del grano importato, lo 0,88 per cento. E dalla Russia un quarto di punto, lo
0,24 per cento. Perché pasta e pane dovrebbero triplicare di prezzo?
L’Italia, come tutta l’Europa (Francia, Germani,
Spagna, etc.), e la Cina, importano grano e granaglie dal Canada, dagli Stati
Uniti, dall’Australia, dalla Repubblica Ceca. La Francis è grande esportatore
di granaglie, oltre che grande consumatore, in Spagna, Germania, Cina.
Russia e Ucraina sono in effetti grandi fornitori
dell’area islamica, dalla Turchia al Marocco, e fino al Bangladesh, col
Pakistan incluso. Un’area che però non consuma molti carboidrati.
“Trovare un parcheggio? 35 minuiti al giorno. Tanto
è il tempo trascorso in media dagli automobilisti romani”. Magari non è vero
(qualche volta si trova anche prima), ma rende l’idea. Salvare il pianeta?
Paga la Tari un terzo dei romani – solo un terzo.
Che dire?
No, la verità (Corte dei Conti) è che solo un
romano su tre non paga la Tari. Insomma, si può.
A piazzale Clodio a Roma, accanto al palazzo di
Giustizia, c’è una baraccopoli-discarica. Da anni. Anzi da decenni. Giudici e
avvocati entrano ed escono e non vedono. Perché così, pare, prima o poi si amplierà
il parcheggio per il palazzo di Giustizia, il giorno in cui infine l’accampamento
sarà levato, anche solo, magari, per motivi di igiene, con sollievo di giudici
e avvocati.
Lazio-Milan, 25 mila spettatori. Roma-Salernitana
65 mila. Non c’è partita.Ma. soprattutto, Roma è più Rome.
Si agitano molto le sanzioni come arma letale
contro il paese sanzionato - la Russia. Mentre non lo sono, e anzi danneggiano
i sanzionatori più che i sanzionati. Nel caso della Russia solo l’export digas
può essere danneggiato, e solo per un periodo breve – un export però, nel caso,
di cui la Germania non può privarsi, e anche l’Italia, per almeno un anno, e
forse due. Il petrolio naviga, e viene venduto\ricomprato vorticosamente durante
la navigazione – le sanzioni lo rendono più caro, un poco, ogni intermediario
via fax pretendendo un centesimo a barile. Lo stesso per le merci: arrivano
comunque a destinazione, con un piccolo aggio per gli intermediari.
Non passa
giorno che gli inglesi non abbiano fatto perdere la guerra a Putin: oggi le forze
speciali, ieri i missili anticarro, l’altro ieri i missili antiaereo, e così
via, gli addestratori in maschera, i codici russi svelati, le intercettazioni
dei piani. E naturalmente Johnson-Churchill. Londra patria di 007, Le Carré, la
disinformacija da guerra fredda e ora
antirussa, dopo essere stata patria dei boiardi. Comunque vincente, sempre e ovunque.
Molto ben venduta. Ma solo in Italia, le imprese inglesi non si leggono in Germania
e in Francia, neanche in Austria e in Svizzera. Poco anche nella stessa
Inghilterra.
Sembra che l’Ucraina stia vincendo la guerra, mentre
deve soffrirne guasti anche gravi. Una falsa opinione, sorretta dagli S tati
Uniti. Da un presidente che fa la “faccia feroce” alla Franceschiello sulla pelle
degli ucraini – invece di sfidare Putin, e salvare in qualche modo l’Ucraina,
espone meglio l’Ucraina a più intensi attacchi russi. Possibile che nessuno
veda la visibilissima strategia di indebolire l’Europa, con la distruzione dell’Ucraina?
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Sartre non piaceva a Simone – “non sa fare l’amore”
Non sono gli amori
di Beauvoir, il saggio rilegge i primi taccuini pubblicati, “Cahiers de
jeunesse (1926-1930)”, o come una giovane donna “di buona famiglia”, cresciuta
in un liceo femminile di religiose, “arriva tardi alla liberazione sessuale”. All’università
a Parigi, tra dubbi, incertezze, e (piccole) scoperte. Dapprima, quindi ai
vent’anni, con i “tala” della prestigiosa École Normale, i cattolici, Merleau-Ponty,
Élisabeth Lacoin, Maurice de Gandillac, e la rivista “Esprit”, poi con i
“patalas”, René Maheu soprattutto, e gli amichetti Sartre e Nizan. Col pensiero
sempre fisso al cugino Jacques Champigneulle.
La storia degli
amori di Simone de Beauvoir è – sarà – complessa da dipanare – “Beauvoir non si
è fatta in un giorno” è la conclusione del saggio. Intendendo che la storia sessuale della scrittrice, che pure ebbe enorme importanza, nella sua opera
oltre che nella vita, ancora non si può ricostruire, perché i diari e le corrispondenze
sono editate dalla compagna di Beauvoir e esecutrice testamentaria Sylvie Le
Bon - come da quella di Sartre, Arlette Elkaîm-Sartre - con censure e lacune. Molte
corrispondenze, in particolare, sono anche inedite, per esempio quelle di
Simone con gli amanti Claude Lanzmann e Sylvie Le Bon. Per gli anni dell’adolescenza
e la prima giovinezza di Simone, invece, Chaperon ritiene di avere un quadro
esauriente dai primi taccuini. Quanto basta per dirla “manifestamente dotata di
grande sensualità, che traspare da numerosi passaggi”. Specie nei confronto
del cugino Jacques, con il quale non ha una storia, ma che sembra il suo
mentore in questioni d’amore, a distanza – “la profondità di questo amore per
Jacques non manca di sorprendere la lettrice di questa confessioni intime”.
L’apprendistato è
lento e difficile, spiega Chaperon, per il semplice fatto che “la giovane
Simone, come Hélène, la sorella cadetta, hanno conosciuto un’educazione molto
tradizionale e rigida, controllata dalla madre. La loro scolarità si svolge tutta
in una istituzione privata cattolica molto rispettabile, il corso Désir, la
loro madre sorveglia strettamente le loro frequentazioni, le loro letture, le
loro corrispondenze, che legge, fino ai loro 18 anni passati”. Simone ragazza
ha già molti interessi, culturali, sociali, ma “cresce da oca bianca,
spigolando informazioni dalla cugina maggiore Madeleine (le cui conoscenze sono
molto limitate) e poi soprattutto da Stepha Avdicovith, una giovane ucraina
molto più esperta, assunta come governante degli ultimi figli della famiglia
Lacoin nell’estate del 1928”, con la quale discute l’amore fisico”. Qui Chaperon ha forse un lapsus: la cugina
Lacoin era Élisabeth, la vulcanica “Zaza” di tanti suoi futuri racconti, che
morirà nel 1930, Madeleine sarà suora di Carità, e si dirà molto contrariata
dall’abbandono di Dio e della decenza da parte di Simone, se non per i suoi
ricordi di Zaza). Simone però aveva nel 1928 venti anni, la cugina Madeleine-Élisabeth,
“Zaza”, uno di più.
Questi “amori” sono
dei quattro anni di studi di Simone a Parigi, ai corsi dell’Institut Catholique
e dell’Institut Sainte-Marie di Neuilly, poi alla Sorbona, e alla École Nomale Supérieure.
Anni nei quali va a ballare al Jockey Club. Lasciando i “talas” la prima affezione,
duratura e anche emozionata, è per Maheu – benché sposato. Dopo lo scritto dell’agrégation,
il concorso per l’insegnamento, prepara l’orale uscendo per divagarsi con Maheu,
e con la copia Sartre-Nizan. “L’iniziazione verrà con Sartre”, che non si fa gli
scrupoli di Maheu: “Ma quest’ultimo, a differenza di un Merleau-Ponty, di un
Galois, di un Maheu, non ha note distintive nel diario. Nota di tanto in tanto
la sua presenza con indifferenza, ortografa male il suo nome (Sarthe)), la prima
volta che scrive due parole su di lui è per dire che non le piace il suo “occhio
falso”. Sartre sarà il primo a stringerla (“heavy petting”, spiegherà Simone alla
biografa americana Deirdre Bair), e la cosa le piace – il diario registra “l’emozione
di essere serrata contro di lui, abbandonata”. Poi soppeserà Sartre, Maheu, e
il cugino Jacques, con chi mettersi: “È solo dopo l’annuncio del matrimonio di
Jacques che accetta pienamente Sartre”. Ma con riserva, aggiunge maligna
Chaperon: “Retrospettivamente avrà un giuizio più critico di questa prima
esperienza sessuale. A Nelson Algren (suo amante americano negli anni 1940,
n.d.r.) scriverà: «Sessualmente, non fu una riuscita perfetta, essenzialmente a
causa sua, lui non è appassionato per la sessualità»” – Sartre incontenibile
don Giovanni proprio alla don Giovanni?
Sylvie Chaperon, Les amours de Beauvoir: une révolution
sexuelle avant l’heure?, pp. 18, free online
venerdì 29 aprile 2022
Una vecchia invasione stile Pcus, che guerra è questa
Volendo dare una ratio alla guerra della Russia in Ucraina,
è un’invasione di stile sovietico, come quella della Cecoslovacchia nel 1968.
Se non che, non essendoci più (comunisti) locali in appoggio, l’invasione è
finita nel pantano. È lo scenario peggiore.
La preoccupazione per il prolungarsi della guerra è seconda, nelle
cancellerie e negli stati maggiori, alla curiosità, anzi alla paura, di non
sapere o capire di che guerra si tratta. Si fanno le guerre secondo dei piani,
ma Putin non mostra di averne uno. Quella in Ucraina si ritiene il tipo di guerra più
pericolosa, se e finché Putin, che l’ha ordinata e la gestisce, comanderà in
Russia – un Paese dove la “costituzione” di fatto assegna tutti i poteri a un
uomo solo.
Questa guerra è temuta, comunque appassiona il pubblico, per il
bombardamento quotidiano strappalacrime : stupri, bambini, ospedali, scuole, teatri,
fosse comuni, irradiazioni nucleari. Un bombardamento emotivo in singolare
contrasto con il numero delle vittime civili che l’Onu registra, circa tremila in
settanta giorni: sono molte, ma non sono niente quando agiscono le artiglierie,
con i missili, e i cacciabombardieri (sono tremila i migranti morti nel Mediterraneo nel 2021). Irrisorio, poi, il numero delle vittime
militari, che l’una parte addebita all’altra, e dei prigionieri di guerra. Ma è per
ciò stesso, per essere come evanescente, inafferrabile nelle sue logiche se non
nelle distruzioni, che la guerra è temuta.
È temuta dagli Stati maggiori Nato, ed è temuta, con differenti
inflessioni, dai governi europei, perché non se ne individua la ratio.
Non è – non è stata - una guerra lampo, malgrado la sproporzione delle forze.
Non c’è un fronte ma una serie di fronti sparsi vengono aperti e si richiudono.
Se è una guerra di occupazione-liberazione del Donbass (Donetsk e Luhansk), come
già avvenuto per la Crimea, non ha senso la dispersione dell’attacco su altri
tre o quattro fronti. Un altro esito possibile non si vede: non è possibile la
frantumazione dell’Ucraina in più staterelli, non è possibile la russificazione
della fascia litoranea dell’Ucraina, fino alla Moldavia-Transnistria.
Se l’invasione dell’Ucraina è stata pensata così, al modo
sovietico, la guerra può avere tutti gli sviluppi possibili. Dal rivolgimento
di palazzo a Mosca, come usava da Stalin a Breznev col vecchio Pcus, il partito
comunista sovietico, alla guerra totale da resa incondizionata – non necessariamente
dell’Ucraina.
Non è l’unica incertezza. Il quadro è nuovo anche perché l’Occidente
è diviso di fatto. Di fatto gli interessi americani sono ora diversi, e anche
contrari, a quelli dell’Europa. E l’America ha un presidente in caduta
verticale di credibilità, dato sicuro perdente al voto di medio termine fra sei
mesi, per il quale già si corre. Mentre in Europa la conferma di Macron porterà
all’ovvio rilancio della sua “dottrina” europea. A un tentativo, almeno, di
autonomia continentale, politica e strategica. Con la Germania a governo pur
sempre di sinistra, malgrado la presenza liberale, che oscilla tra il vecchio
atlantismo senza riserve e la voglia, anche la necessità, di autonomia – la vecchia
Ostpolitik. Un’Europa con ogni esito possibile.
La regina che fa grande l’Inghilterra
Una pubblicazione
celebratoria, per il Giubileo di Platino di Elisabetta II, settant’anni di
regno tra un mese, e uno sguardo ancora aperto, giovanile, come all’incoronazione nel 1952. Un’evocazione soprattutto de “i Windsor”, e del principe consorte
Filippo, con la numerosa e controversa famiglia della regina. Che una curiosa verità
però fa emergere con le foto, e con l’elenco dei “viaggi” di rappresentanza,
della regina e dei suoi figli e nipoti: non c’è altra Inghilterra nel mondo.
Lo stesso Giubilgnomi di Zurigoeo
sarà un evento mondiale. Al momento del massimo isolamento della Gran Bretagna.
Reduce dalla Brexit. Trascurata dalla presidente della Commissione Europea
Ursula von der Leyen, ex London School of Economics, nel suo ultimo “stato dell’unione”,
come un remoto pese dell’Indo-Pacifico. Sfidata da piccole e meno piccole
repubblichette ingrate, che il passato inglese, fatto di ottime leggi e buone polizie, denunciano come imperialismo,
razzismo, sfruttamento, e a mano a mano si sfilano dal Commonwealth.
È curioso, ma l’Inghilterra
è oggi solo una dinastia non inglese. In passato era Churchill, Mary Quant, i Beatles, e poi lungamente Margaret Thatcher, con la City, che aveva soppiantato gli gnomi di Zurigo. Oggi è la regina, che altro? Una di una famiglia che era tedesca fino a che Giorgio V, il
nonno, non inventò “i Windsor”, cosi chiamandosi dal castello dove risiedevano i
Saxe-Coburgo-Gotha che da un paio di secoli erano stati chiamati a fare i re
d’Inghilterra. La più grande politica estera, l’unica si direbbe da molti anni,
a parte l’inconsistente sudditanza alla politica americana, quale che essa sia,
è assicurata dall’equilibrio (sorriso, intelligenza, gravitas e leggerezza)
di Elisabetta II e i sui cari.
Questa sapienza
politica Roddolo attribuisce specialmente al principe consorte Filippo di Edimburgo.
Ma sicuramente deve molto alla sensibilità - che altro? non ha poteri – della regina.
Fin dal primo momento, dall’ascesa al trono nel 1952. A un trono cui non erano
destinati, né lei né il padre Giorgio VI, la linea di successione era quella del
primogenito Edoardo: Elisabetta, nata nel 1926, passò i primi otto anni come una
qualsiasi principessa di casa reale, di un ramo cadetto.
Roddolo richiama
lo storico Schama, che di Elisabetta I, “prima donna in politica della storia
britannica” (veramente, la prima era stata la predecessora, Maria I Tudor),
dice che la sua fama e il suo merito stanno nell’aver reso “gli inglesi felici
di esserlo”, e di aver fatto capire loro “che non aveva a cuore nulla di più
caro che il suo stesso popolo”. E lo stesso, mutando la terminologia, è vero della
“Ditta”, per lo meno con Elisabetta II.
Enrica Roddolo, La
regina Elisabetta, una vita nella storia, Corriere della sera, pp. 63 + 63,
ill., gratuiti col quotidiano
giovedì 28 aprile 2022
Letture - 488
letterautore
Brexit – C’era già stata, prima della
guerra – è nella “natura” dell’Inghilterra? “E finalmente l’Inghilterra”,
scriveva Orwell nel 1938, di ritorno dalla Spagna: “L’Inghilterra meridionale,
forse il più mite paesaggio del mondo. È difficile, quando la si attraversi,
soprattutto mentre ci si riprende dal mal di mare, col velluto di un treno
internazionale sotto la testa, credere
che qualcosa stia accadendo nel mondo…… tutto dormiente del profondo, profondo
sonno dell’Inghilterra, dal quale temo a volte che non ci sveglieremo fino a quando non ne saremo tratti in sussulto
dallo scoppio delle bombe”.
Caimano – Al “Caimano” Berlusconi Moretti
ha lavorato un anno e mezzo, con gli sceneggiatori Francesco Piccolo e Federica
Pontremoli – “tutti i giorni per tutto il giorno” (Piccolo). Leggendo tutti i
libri e gli scritti su Berlusconi, visionando “un’incalcolabile quantità di ore
di filmati e documenti”, riscrivendo in continuazione. Se non che, dopo tanto
lavoro, “alla fine, a sorpresa sarà proprio Nanni Moretti l’attore che interpreta
il Caimano”, fa notare Piccolo – nella scena alla Trump e l’assalto al
Congresso della Befana del 2021. Il che cambia le cose, dando al film, una
sorta di comizio e quasi di propaganda, un senso ambiguo – “Nanni Moretti lo
chiamava «il cortocircuito»”: Moretti, che dentro e fuori del film era
l’antiberlusconismo, fa in realtà il Berlusconi.
Céline – “È l’unico scrittore che sia
stato capace di nominare l’enormità della guerra”, Roberto Calasso,
“L’ossessione perversa di Pound e Céline”, (“Corriere della sera”, 30 dicembre
1975), benché antisemita, collaborazionista, hitleriano e tutto: “Dalla parte
dei buoni nessuno ha trovato la parola”.
Croce – I saggi del “compagno Croce”,
così l’“Avanti!” presentava nel 1900 la raccolta di studi marxisti del
filosofo, “Materialismo storico ed economia marxista”. Quattro anni prima, per
la nascita del giornale, organo del partito Socialista, fondato appena nel
1892, Croce aveva sottoscritto mille lire, somma allora ragguardevole. Erano
gli anni in cui intensificava i suoi studi sul marxismo, in corrispondenza con Labriola,
entrambi in difficoltà per il reperimento dei testi. Introvabili, si lamentavano
vicendevolmente, anche in Inghilterra, e a Vienna, se non in “colpi di mercato”
fortuiti.
La sottoscrizione per l’“Avanti!” pesò
negativamente sulla nomina di Croce a senatore, su proposta di Giustino
Fortunato, da parte di Giolitti, al suo terzo governo, 1906-1909: le
informazioni d’ufficio fornite dai Carabinieri menzionavano anche la
sottoscrizione all’“Avanti!”, e Giolitti si scusò con Fortunato di non poter
procedere alla nomina – Croce fu fatto senatore dal governo successivo, di
Luigi Luzzatti, il banchiere delle Popolari.
Malaparte – Quando Maria
Antonietta Macciocchi, neo direttrice di “Vie Nuove”, lo incaricò di una serie
di corrispondenze dalla Cina, per la quale gli procurava (il Pci procurava a Malaparte) il visto, a fine ottobre 1956, la redazione si oppose, con
le dimissioni del capo servizio di politica interna, del redattore capo Saverio
Tutino, e del grafico Albe Steiner. Alla protesta della redazione si aggiunse a
dicembre una lettera a Togliatti firmata, fra i tanti, da Calvino, Moravia,
Natalia Ginzburg, Ada Gobetti, Paolo Spriano. La lettera chiedeva di cestinare
gli articoli del “fascista Malaparte”. Che già era partito, e li aveva scritti:
verranno pubblicati postumi in volume.
Opinione pubblica – Ancora nel 2013,
meno di dieci anni fa, in “Il desiderio di essere come TUTTI”, premio Strega,
Francesco Piccolo raccontava che due articoli di giornale gli avevano cambiato
la vita. Uno, che si portava sempre dietro nel portafogli, ingiallito e
sbrecciato, di Rosellina Balbi su “la Repubblica” di “molti anni prima”
(1984?), “Vecchie carte da gioco”, gli spiegava, semplice dopotutto, la
“distinzione da fare” tra “l’eguaglianza e il diritto all’eguaglianza” - “la
prima non esiste (per fortuna): ciascuno di noi deve fare la sua corsa”, mentre
è necessaria e va imposta “la parità delle condizioni di partenza”. L’altro era
– vecchio ricordo d’infanzia? Piccolo aveva allora dieci anni – una rubrica
della posta che Goffredo Parise teneva nel 1974, una settimana sì e una non (si
alternava con Natalia Ginzburg), sul “Corriere della sera”. Era una risposta
elaborata, anche risentita, che Parise dava compaesano Framarin, che dal parco
del Gran Paradiso cui sovrintendeva, gli proponeva la solita mozione dei “belli-e-buoni”
della Repubblica: “Spenda qualche parola per queste montagne”, per le Prealpi
vicentine. Parise rispondeva che non intendeva andare contro “la forza delle
cose”, mettersi fuori dal flusso degli eventi, dal Paese così come è. Contestabile,
ma anche inevitabile.
Su che ritagli di giornale oggi
mediteremmo? La sparizione dell’opinione pubblica è improvvisa e recente, con i
social?
Provincialismo – Nell’intervista-battibecco
di Manlio Cancogni con Pasolini, su “La Fiera Letteraria”, 14 dicembre 1967, “Se
nasci in un piccolo Paese sei fregato” (ora in “Interviste corsare”),
l’intervistatore, bolognese, del 1916, che visse molto fuori, in America e altrove,
taglia corto sula geremiade del provincialismo italiano – cui Pasolini
condannava cioè l’Italia e gli italiani: “Non è vero che prima della guerra si
vivesse all’oscuro di quel che accadeva fuori…. Tutti i miei amici a vent’anni
avevano già letto Joyce, Lawrence, Proust, Kafka, Freud, Eliot, Eluard, Rilke,
Trakl, Heidegger, Jaspers, etc. Tale e quale come ora. Forse con maggiore
serietà”.
Ucraina – In letteratura è tutta di
scrittori noti come russi, che scrivono in russo, e si identificano come russi:
Gogol, specie nei racconti delle “Veglie alla fattoria presso Didan’ka”,
Bulgakov, “La guardia bianca”, Isaac Babel, “L’armata a cavallo”, Sklovsky di
passaggio in più testi, la scrittrice francese Irène Némirovsky, nata a Kiev,
che della famiglia (la madre, il padre, le conoscenze), materia di molti suoi racconti
scritti a Parigi, ha solo riferimenti russi, Vasilij Grossman.
Umorismo – Pasolini lo vuole “borghese” –
una dei tenti borghesismi che lo tormentavano. A Cancogni sulla “Fiera
Letteraria” a fine 1967 spiega che anche il “senso umoristico” è “un tipico
carattere della borghesia”: “Parlo dell’epoca moderna, dall’Ariosto in poi. L’umorismo
è un atteggiamento della classe al potere. Quali sono i caratteri
dell’umorismo? Il senso di colpa e la riduttività. Ora, il borghese si sente in
colpa (perché detiene il potere) e tende a stare in ciabatte. È un uomo
pratico. L’umorismo è un atteggiamento di difesa di chi ha una visione
rimpicciolita, quotidiana, del la vita”.
Wilderness – Fa parte della formazione
dell’autore americano – insieme con i mestieri. Il mito del selvaggio, della
vita al naturale: “Nessun uomo dovrebbe vivere senza avere sperimentato almeno
una volta la sana anche se noiosa solitudine della wilderness, scoprire
di dover dipendere da se stessi e per questo tirar fuori la vera forza
interiore” – Jack Kerouac, “Viaggiatore
solitario”.
letterautore@antiit.eu
La verità è del romanzo
Molta mafia in
queste cogitazioni di Sciascia, pubblicate via via su “L’ora,” il “Corriere
della sera”, “La Stampa”, tra l’estate 1969 e il 12 giugno 1979. Con il
fascismo, altro tema obbligato. Ma non mancano i guizzi. Fino al ‘500 in
Sicilia i nomi di donne erano “inventati”, fastosi, poi dolore e pena. A causa
della Controriforma (o non sarà stato l’influsso spagnolo?)? Con un po’ di
libertinismo. Rivarol. Il “sesso che parla”, di Diderot, e di Foucault. La
signora Goetze che a 51 anni, onusta di marito e figli, trova l’amore in
Sicilia e lo racconta a tutta la Germania - con codicillo: “Qualcuno ha detto
che il pudore delle donne è un’invenzione degli uomini”. La Laura onorata e
riverita dei Sade, fino al noto marchese incluso, “oggetto di un seviziamento
impareggiabile da parte di Francesco Petrarca”. E la verità del romanzo: “Il
romanzo può dire verità che i libri di storia non sanno o non vogliono dire” - il
riferimento è all’amato Stendhal, alla battaglia persa per gli shrapnel, che ancora non si
chiamavano così, Shrapnell era il comandante inglese che ne fece per primo uso
a Waterloo: lo Stendhal-Del Dongo però ne descrive gli effetti.
Qualche polemica –
velenosa con Scalfari, su Moro e non solo. Le Br – che diceva “stupidi”,
accigliatissimo, in un famoso non-intervento tv. Il famoso, di nuovo, “estremismo
di centro”, che agita l’Italia. Non senza il pessimismo: “La lettura dei
giornali mi dà neri pensieri”, non per le cose che raccontano, per il modo. “neri
pensieri sui giornali appunto, sul giornalismo”.
Quanto manca.
Leonardo Sciascia,
Nero su nero, Adelphi, pp. 271 € 24
mercoledì 27 aprile 2022
Problemi di base - 695
spock
È lecito fare il male a fin di bene?
Se è giusta la guerra giusta. Oppure è necessaria.
Se necessario è più giusto che giusto.
Se il diritto alla felicità non genera infelicità.
“È lecito essere felici, anche se questo crea infelicità”, Ettore Scola?
I dispiaceri si elidono o si accumulano (si accumulano)?
spock@antiit.eu
Donne e guai
Chi, soffrendo dell’arboriana
“pasqualite” (“vediamo come va a finire”), si sia sorbettato fino all’ultimo la
serie franco-belga bizzarramente importata da Rai 1 (forse per dimezzare la audience?),
ha avuto in effetti grosse sorprese. Cioè non molte, una: la donna porta guai. Che
non è una novità, volendo, ma sì in ottica “di genere”, paritaria.
Non c’è intrigo,
cattiveria, violenza che le povere donne – anche qui le donne sono “povere”,
vittime – i personaggi femminili tutti, madri, figlie, mogli, amiche, si e ci
risparmino. Sorprendente, incerto senso realistico e giusto, anche vero, anche se
non divertente – anzi, nel caso, demoralizzante. La vecchia sindrome, riciclata
in abito femminista? O è quello che ci aspetta?
Frank Ollivier, La
scogliera dei misteri
martedì 26 aprile 2022
Agricole cavaliere bianco di Bpm
Contro Unicredit e altri malpensanti, il raid di Agricole
su Bpm era concordato, una mossa da “cavaliere bianco”? D’accordo col management
di Bpm, se non con gli azionisti – ma Agricole ha una storia e una struttura
analoghe alle risparmio, di cui s’è farcita in Italia, e alle popolari)? Alla
terza settimana dal fatto, la mancata reazione di Bpm avalla questa lettura.
I precedenti sembrano confermarlo. Bpm temeva l’assorbimento in
Unicredit, le cui attenzioni, dopo il fallimento della trattativa per il Monte
dei Paschi, erano solo ovvie. Mentre aveva abbandonato da tempo l’asse in
discussione con Bper, la banca di via Stalingrado autoqualificandosi da sola
come “terzo polo” bancario - col sottinteso che Bpm avrebbe avuto un ruolo subalterno
nella fusione.
Il nuovo socio di maggioranza è invece una garanzia e una
prospettiva. Una garanzia in quanto socio francese.
Crédit Agricole Italia si vuole l’erede della cassa di risparmio
di Parma e Piacenza, 1860 – acquisita nel 2007, quando Intesa dovette cederla,
fondendosi con Sanpaolo Imi. Ma essere una banca francese non sarebbe d’impedimento,
e anzi in un certo modo una garanzia. Di garanzia contro ogni eventuale ipotesi
di assorbimento di Bpm, che andrebbe soggetto a autorizzazione governativa.
La natura della banca, invece, in Francia e in Italia, molto
proiettata sul territorio, e sulle piccole e medie imprese, sarebbe garanzia di
una partnership utile – non soltanto, come si scrive, sulla bancassurance. Con
Agricole Italia, col suo nugolo di ex casse di risparmio (Firenze, Friuladria, Valtellinese,
Spezia, Rimini, Cesena, San Miniato) Bpm può fungere da ammiraglia, senza
subordinazioni societarie.
L’autore si fa compagnia con gli animali
Non un repertorio etnografico, una raccolta d’autore. Attorno all’Aspromonte, si fiuta, s’indovina, per le
radici mai negate di Strati, toscano d’elezione, ma non di più. Apologhi di
animali per lo più. E leggende di alcuni santi. In chiave narrativa, alla La
Fontaine, non esopica. Arguta più che moralista, anzi senza morale. Con tratti
ariosteschi, di semplice invenzione.
Fiabe forse
ascoltate, ma non si direbbe: nuove e spesso complesse. Antonio Delfino, che
presentava questi “racconti”, li dice “espressione del popolo calabrese”. E in
questo sì, sono connotati localmente, regionalmente. E più per lo spirito
scherzoso che accomuna questi animali, beffardi, arguti. I buoni e anche i
cattivi. La Calabria c’entra per l’ironia, il garbo, la tristezza di fondo.
Racconti di vecchio
stile naturalmente, non woke, non
corretto e anzi scorretto. Il lupo è cattivo, la volpe è sempre furba e ladra,
il lupo è anche stupido.
Storie di animali
invece che di uomini. Racconti della solitudine, dello scrittore. La raccolta è
pubblicata in proprio, nel 1985 – mentre i romanzi uscivano ancora da
Mondadori, e erano ancora premiati, ma senza echi.
Saverio Strati, Miti, racconti e leggende di Calabria,
Gangemi, pp. 233 € 18
domenica 24 aprile 2022
Ombre - 612
Intesa, Unicredit e Bper ricorrono al Tesoro contro il blitz di Agricole sul banco Bpm. Certo, le banche non si scambiano come giocattoli. Ma, come già per il Credito Valtellinese, non sono nemmeno istituzioni, da trattare con la diplomazia: vanno pagate.
Carlo
Pesenti “personaggio” del “Corriere della sera”, una paginona di figli e avi, senza
mai nominare il nonno, dello stesso nome, nonché creatore delle fortune di
famiglia, che per un quindicennio, fino a che non si arrese e cedette il
cedibile, banche, Italcementi, fu accusato di ogni turpitudine, dalla frode al
terrorismo nero. Milano ha la memoria corta, di comodo.
Non
ci fu, nella stagione dei golpe settimanali,
nel senso che uscivano a date alterne su “L’Espresso” e su “Panorama”, atto di
terrorismo nero che non venisse ricondotto a Carlo Pesenti – e\o a Cefis. Che
naturalmente non c’entravano, né lui né Cefis, ma servivano ai servizi segreti,
che fornivano i golpe, compresi di dialoghi, per deviare l’attenzione. L’opinione
pubblica non è mai stata solida (intelligente) in Italia.
Si celebrano come un fallimento
i sesssant’anni della scuola media unica, dell’obbligo scolastico portato, per
tutti, ai 14 anni. Senza ricordare che era bellissima agli inizi, anche se partì
con una buona metà dei docenti improvvisata (studenti universitari…), tara che
ancora si porta dietro. Impoverita, anzi immiserita, dai tagli di bilancio e dalla
politica buonista degli anni 1970, della promozione assicurata.
Non un cenno, nelle tante
evocazioni del varo della scuole media dell’obbligo, che fu una delle prime
riforme del centro-sinistra, il diritto allo studio. Un’esperienza politica di
governo che fu una delle più elevate concentrazioni di riforme. Mancanza di
memoria? È sempre compromesso storico – l’eterna Dc (il centro-sinistra vide la
Dc condizionata dal partito Socialista, fino al divorzio e al nuovo diritto di
famiglia).
Grilo che chiede un vitalizio al
“suo” partito, 300 mila euro l’anno, non è una sorpresa: è sempre stato uno
furbo. La sorpresa è che l’Italia non è un Paese, una comunità strutturata, ancorata
a valori: vive (sopravvive) di scemenze. I giornali che si leggono non sono
migliori delle concioni di Grillo – che almeno, va ripetuto, è uno furbo.
Non c’è staio affare di letto
tra la preside romana e il suo alunno di cui “la Repubblica” ha fatto grande
scandalo. Non ci sono i whatsapp né i video che la incriminavano. Ma questo al
quotidiano non basta: ben due cronisti dicono di avere visto i wahtsapp e
ascoltato gli audio amorosi della preside. Quando è chiaro che il ragazzo se li
è inventati. I giornalisti non dovrebbero avere una patente professionale,
avere passato un esame?
Dei 6 milioni di cittadini ucraini
residenti all’estero, il 53 per cento è un Russia - più un 6 per cento in
Kazakistan. E allora?
Anche degli sfollati, in fuga
dalla guerra, quattro milioni, un dieci per cento risulta in Russia. Ci sarà un
motivo.
Si finge che l’ecobonus al 110 per
cento funzioni e abbia rimesso in moto l’edilizia. Mentre è vero il contrario:
i general contractor (quelli che fanno tutto loro) sono fermi da otto mesi.
E le banche fanno il gioco delle due carte: anticipare la liquidità per pagare
i lavori fatti, al costo di un prestito personale, e poi scontare la fattura –
tenendosi il 10, anche il 12 per cento. Questa è prassi che ognuno sperimenta
in banca, ma di cui non si ha notizia.
La verità, dell’ecobonus come di
ogni altra provvidenza, ristori compresi, è che il Parlamento decide, ma il
governo è gestito da un presidente del consiglio e un ministro del Tesoro
tecnocrati, attenti solo ai flussi di cassa.
Molto si spiega anche con l’arretratezza
delle banche. Bper, che con video, webinar, contatti personali, molto s’illustrava
come provveditrice dell’ecobonus, in realtà richiede pratiche lunghe e
complesse come per un mutuo – con l’esito finale di dover anticipare il
pagamento dei lavori, e poi, dopo settimane e mesi, scontare la fattura.
Il Banco Posta si era subito illustrato
per chiudere la pratica eco bonus in due settimane, poi anche in una. Ma la Cdp,
la Cassa Depositi e Prestiti, cioè il Tesoro, cioè lo Stato, l’ha subito
fermato: che efficienza è questa?
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La fine dei Valdesi in Calabria
In realtà la storia
della persecuzione e fine dei Valdesi in Calabria, nel 1561, della colonia di
Guardia Piemontese. Per una serie di equivoci, da una parte e dall’altra, che
portò a un confronto, e alla presa della roccaforte di Guardia. Una vera storia
dei Valdesi pare non si possa fare per “l’incredibile assenza di fonti”,
Una comunità di
riformati che viveva tranquilla, con accordi ormai pluridecennali con la
famiglia feudataria degli Spinelli, e con le autorità ecclesiastiche, si fa
d’improvviso militante, sostituendo il pastore (“barba”, occitanico per zio) della
convivenza con uno venuto da Ginevra, calvinista radicale. Si denuncia Spinelli
al Tribunale Reale. Controquerela di Spinelli. Giudici speciali giungono da Napoli, con due battaglioni di truppe, per
fare osservare le decisioni dei giudici. Il barone Castagneto, comandante dei
battaglioni, viene ucciso. Un nuovo comandante con più truppe viene mandato da
Napoli. Lo stesso viceré si sposta a Cosenza per seguire la questione. Pastori
e teologi valdesi ascoltati dalle autorità suscitano ammirazione per la
compostezza. Ma l’assedio si conclude con l’espugnazione della roccaforte e la
dissoluzione della comunità – impiantata, oltre che a Guardia, anche in comuni viciniori,
Montalto Uffugo, Vaccarizzo, San Sisto, e altri minori.
Erano più di tre secoli
che comunità di valdesi giungevano dalle Alpi Maritime, con contratti di
enfiteusi, fitto e altre tipologie. In una regione non ancora del tutto “latinizzata”
(soggetta al papa), benché cristiana. E abituata a ricevere cristiani di altre
obbedienze, come gli albanesi, e i greci ortodossi. Guardia Piemontese era in
origine Guardia Lombardorum, una colonia longobarda.
In appendice, in francese,
il racconto di un discendente del “barb” Gilles, che nel 1559 si volle sostituire
a Guardia.
Vincenzo
Tedesco, Storia dei Valdesi in Calabria,
Rubbettino, pp. 116 € 12
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