sabato 7 maggio 2022
Ombre - 614
E i servizi italiani, che pure ci sono e costano,
anche loro? Non sanno nulla delle ville e gli yacht degli oligarchi russi? Si
potrebbe sostituirli con un abbonamento alle spie americane.
L’Oms stima in 15 milioni i morti di covid nei due
anni – un milione solo negli Stati Uniti. Sono molti, sono pochi? Sono tre
volte le cifre ufficiali comunicate dai vari Stati.
Lia Quartapelle torna dall’Ucraina: “I colleghi
ucraini ci hanno portati alle fosse comuni, dove sono stati rinvenuti resti di
173 persone, il 95 per ceto aveva segni di torture…. Ci hanno raccontato degli
stupri di massa organizzati come arma di conflitto etnico per scoraggiare le
donne a fare figli e ad avere una normale vita familiare. Delle razzie nelle
case: i soldati russi hanno rubato scarpe, giocattoli, televisori, non hanno
lasciato nulla. Fino a un milione di ucraini sono stati deportati in Russia e
ridotti in schiavitù”. Ma dove le prendono – Quartapelle è responsabile Esteri
del Pd?
È imbarazzante l’eulogio che “la Repubblica”
tributa al battaglione Azov, che è all’origine della guerra: l’accolta di nazifascisti
d’Europa e d’America che per sette anni ha combattuto i russi del Donbass, per odio
etnico. Sarà proprio vero che alla sinistra, a quella che si proclama la
sinistra, resta solo la destra?
Paolo Rumiz si sveglia dal suo villaggio sloveno e
apre infine un occhio al suo giornale sugli slavi, la questione irrisolta delle
tribù slave, sulla balcanizzazione continua, sulla guerra
https://www.repubblica.it/cultura/2022/05/05/news/ucraina_raconto_paolo_rumiz_requiem_per_leuropa_continente_schiacciato_fra_due_mondi-348270992/
Con molte cose spiacevoli sull’Europa – in un
“Occidente”, va aggiunto, nozione da tempo, da Clinton, quanto mai ambigua. Ma
Rumiz legge il suo giornale?
“Dal Primo Maggio arrivano dalla Russia 90 milioni
di metri cubi di gas contro i 60 precedenti”. Contro la Russia l’Italia si
premunisce, con la Russia: le sanzioni al rovescio – magari si premunisce a
prezzo maggiorato.
“Al ‘Financial Times’ c’è un allarme che si avvia
quando nella home page del
sito le firme femminili e quelle maschili non sono bilanciate”, Virginia Stagni,
head of business development allo
stesso “Ft”. È un merito? Un vantaggio, una trappola, una prigione?
Al 90mo è fatta, il City del figurino Guardiola ha
vinto, il bolso (tutti noi) Ancelotti ha perso, si spegne la tv, intollerabili
le celebrazioni di sceicchi rapaci e allenatori antipatici. Mentre il meglio
veniva dopo, due gol in un minuto per il pareggio, e un terzo, di Benzemaaaa, per
la vittoria. Quale squadra italiana, fuori Champions al 90mo, sarebbe rientrata
a furor di gol?
Cancelo, colonna della Nazionale portoghese e del
Manchester City, uno che sa fare tutta la fascia destra, è stato un anno all’Inter,
poco usato, e uno alla Juventus, un po’ più tollerato che a Milano (lo
sponsorizzava Cristiano Ronaldo) ma non molto. Il calcio italiano non capisce
niente di calcio.
Il papa si offre di andare da Putin, in pellegrinaggio,
mirabile dictu. In effetti ci lascia a bocca aperta.
Poi dice il patriarca russo Kyrill “chierichetto di
Putin”. Cioè? Fa l’influencer? Pure Lui? E cosa vende?
Le sanzioni al patriarca russo Kyrill, che non ha
beni, sono forse una delle mille trovate delle mille agenzie pubblicitarie inglesi
e americane che ogni giorno fanno la nostra guerra su giornali e tg. Come se
qualcuno volesse mettere in ridicolo Ursula von der Leyen, la combattiva presidente
della Commissione europea, che articola le sanzioni. Ma si possono pensare
anche come la meccanica condizionata degli addetti europei alle sanzioni, che
sanzionano tutto ciò che è russo. Tutto meglio che faticare – pensare,
studiare.
O non saranno state le sanzioni al patriarca uno
sgarbo al papa? Ma se sono trovata di agenzia pubblicitaria, la campagna
comincia a perdere colpi.
Più conseguente l’università di Perugia che, in stile
francescano?, ha dato al patriarca una laurea honoris causa e ora cogita di
ritirargliela – anche i francescani sono militanti, a cominciare dal papa. Ma,
a Perugia, l’università per stranieri?
Draghi conferma quanto questo sito è andato spiegando
da tempo: che boicottava l’ecobonus, col divieto (tramite Cdp, cioè tramite il suo
fedele Franco, ministro del Tesoro) a Bancoposta di scontare anticipatamente il
credito, e con lo stop and go
all’applicazione della legge – tre mesi, sei mesi, no tre mesi, no le case
famigliari, si, no.
Resta incomprensibile perché Draghi abbia scelto
Strasburgo per denunciare, con l’ecobonus, l’ingovernabilità della spesa
pubblica italiana. Può essere il riflesso condizionato del banchiere, che non
riesce a stare dietro alle furbate della spesa pubblica. Ma è quasi “disfattista”, andarlo a raccontare a un’assise
internazionale.
Draghi ha detto peraltro quello che si sa: che il
governo è lui e Franco, i due tecnici – i due tecnici banchieri, ce ne sono
altri nel governo, Cartabia, Cingolani, Colao, ma non contano. La cosa è nota,
e non fa scandalo. Ma assumerla come fa Draghi, al Parlamento europeo, non è incostituzionale?
Un governo che non risponde alle Camere.
Il “Financial Times” denuncia la Svizzera per i conti
russi. Che invece si sa che sono a Londra, quelli che contano. Si vede che qualcuno
era rimasto indietro. In gergo mafioso si direbbe un avvertimento.
L’avvertimento riporta alla memoria le campagne che
il “Financial Tines” e l’“Economist” fecero negli anni 1970\1980 contro gli
“gnomi” svizzeri. A cui, picchia e mena, sono riusciti a sottrarre i conti
ricchi - i conti sono rimasti fiduciari anche a Londra, e esentasse, e la City il rifugio più sicuro per i capitali sporchi. Liberalismo
oblige, la morale anglosassone è ferrea.
Kiev è diventata luogo di gite, politiche. Non c’è
politico americano democratico, ora anche europeo, che non si accia un selfie a
Kiev. Due minuti di notiziari tv assicurati. E l’Occidente è tutto qui, con la
democrazia. Si dirà la guerra la scoperta dell’Ucraina.
Etichette:
Affari,
Il mondo com'è,
Informazione,
Ombre
La tempesta di Serra, dolce
Una “Tempesta” da camera. In un angolo del
grande palcoscenico, sotto un cono di luce, in costumi diafani e toni sommessi,
la tragicommedia del potere Alessandro Serra risolve in funzione battesimale,
rigenerativa, dalla violenza e l’odio, nel perdono. Un adattamento dello stesso
Serra, con parole e tempi centrali tratti da Montaigne, riflessivi. Giusto il
monologo di Gonzalo, il consigliere onesto di Prospero, il duca mago di Milano
esiliato nell’isola, sulla docietà ideale – beni in comune, violenza esclusa, potere
disciolto, anche nel raporto con la natura.
Una “Tempesta” filosofica. Ma sulla funzione del
teatro, più che sui destini umani – “un inno al teatro fatto con il teatro” lo
dice Serra. Un mondo di pura fantasia, il teatro, eppure tanto reale, per la
fisicità della parola, del gesto, le luci, le scene, per la magia che accende illusioni
vive, pur tra le flebili voci. La “Tempesta” canonica del resto termina col
monologo di Prospero, per chiedere nient’altro che il pubblico liberi gli
attori.
Le voci Serra fa qui flebilissime, in diminuendo
– come la scena, in dimmering. Eccetto che per i cattivoni, Antonio
fratello di Prospero e il re di Napoli, e per la comparsate “napoletane” di Stefano e Trinculo, i marinai ubriaconi. E
per Calibano, eretto a contrasto gigantesco, scuro, tonitruante – una prova di
forza e di malleabilità di Jared McNeill. Con esibizione anche nuda dei tre, in
movimento e in gestualità inequivoche, come è di chi vuole “fare le scarpe”
all’altro – una primissima forse in teatro.
Una
“Tempesta” di Serra, regia, scene, luci, suoni, costumi. Cui lavora almeno dal
2015, in vari cantieri teatrali. Shakespeare prendendo a pretesto, da “editare”
(riscrivere, interpolare, adattare). Sul solco del precedente Shakespeare dello
stesso regista-autore, il “Macbettu” in sardo, “ispirato a Shakespeare”.
William Shakespeare, La
tempesta, Teatro Argentina Roma
venerdì 6 maggio 2022
Gli affari non vanno male in guerra
La guerra non fa male agli affari. Non ai trader e importatori
di petrolio e gas, che si erano ricoperti, ampiamente, già prima che l’invasione
dell’Ucraina cominciasse , al coperto di quotazioni di colpo triplicate. Così pure per gli operatori dell’agroalimentare: non
ci sono strozzature nei rifornimenti, ci sono congrui aumenti di prezzo, a
titolo cautelativo.
Anche per le banche non sembra andare male. Unicredit ha dimezzato
a causa della Russia l’utile netto del primo trimestre rispetto al 2021. Ma Intesa
annuncia la riduzione di un quarto degli utili netti attesi – in percentuale quindi
la metà della rettifica al ribasso operata da Unicredit (Piazza Affari registra le due contabilità al rovescio, Intesa crolla, Unicredit recupera, ma non fa testo, non economicamente). Dovrebbero seguire le
francesi Société Générale, la più esposta in Russia, con Bnp Paribas e Crédit Agricole,
ma, si ritiene, anch’esse con tagli meno radicali di Unicredit.
Sulla decisione del gruppo ora gestito da Orcel avrebbe pesato
la volontà del nuovo amministratore delegato di fare la pulizia più ampia possibile
col suo primo bilancio. Orcel conferma peraltro il piano di buy-back, e il
mercato gli crede.
In Ucraina il mercato delle madri surrogate
Badanti, e madri in affitto, questo era l’Ucraina per noi. Sembra
preistoria, o fantascienza, ma questo era l’Ucraina per gli italiani, e le italiane,
prima dell’invasione russa. Un paese di donne.
Il ruolo di badanti le ucraine, robuste e lavoratrici, condividevano
con rumene, moldave, bulgare. Quello delle madri in affitto, invece, esercitavano
in proprio: era una sorta di industria nazionale, praticata e agevolata da
molte agenzie di intermediazione – questo mercato, a differenze dalle badanti,
era ricco.
Il 22 luglio
2020 l’onorevole Carfagna, vice-presidente della Camera, depositava un progetto
di legge, di un solo articolo, che estendeva le pene per il reato di
surrogazione di maternità (la reclusione da tre a mesi a due anni di carcere e una
multa da 600 mila a un milione di euro) anche a chi vi ricorreva all’estero. Il
giorno dopo il quotidiano cattolico “Avvenire” spiegava: “In Europa il mercato di elezione
per le coppie eterosessuali è l’Ucraina, dove commissionare un figlio a una
delle decine di agenzie di intermediazione può costare dai 30 ai 50 mila euro,
di cui circa 15mila finiscono nelle tasche della madre gestante”.
Due
settimane prima la stessa onorevole Carfagna aveva chiesto in un’interrogazione
parlamentare se erano stati concessi permessi speciali, contro i divieti alla
circolazione decretati per il coronavirus, a coppie italiane rimaste bloccate a
Kiev, dove si erano recate a prelevare i figli nati con maternità surrogata.
Cronache dell’altro mondo – istruttive (182)
Il presidente Biden ha deciso di abbuonare (cancellare) i debiti
degli studenti verso il governo federale, circa 1.600 miliardi di dollari. Una
misura popolare, così ritiene Biden, che dovrebbe risollevarne le quotazioni ai
sondaggi, giacché interessa 43 milioni di persone. Ma è una decisione che incontra una larga opposizione, da destra,
da parte dei Repubblicani, e da sinistra, all’interno del partito di Biden,
Democratico.
L’opposizione repubblicana Biden può agevolmente superarla, perché
il provvedimento allo studio non dovrebbe passare per il Congresso, dove al Senato
il partito Repubblicano ha potere di blocco.
All’interno del partito Democratico la misura è risentita come una
prevalenza dei professionisti, dei ceti medi urbani professionali, su tutte le
altre priorità del partito. In coincidenza con l’accusa dei Repubblicani che il
partito Democratico rappresenta gli interessi finanziari e intellettuali, anche
all’interno del partito di Biden c’è risentimento: si sostiene da più parti che conta ormai soltanto il “partito dei laureati”, di “piccoli ma
influenti blocchi di attivisti”.
Il governo delle provvidenze – o Draghi l’andreottiano
C’è l’inflazione, il denaro si fa caro, e si prospetta l’ennesima
crisi del debito - lo spread è già a 200 punti. Ma Draghi moltiplica le provvidenze – l’ex banchiere centrale
guardiano inflessibile del valore della moneta. Ora duecento euro per tutti, sotto
i 35 mila euro di reddito, compresi i percettori del reddito di cittadinanza –
ufficialmente un milione e mezzo, tra pensionati e persone in età attiva.
Dopo i tanti “ristori” a pioggia, e bonus di vario tipo, vacanze,
cultura, etc, ora un sussidio senza criteri, a pioggia.
Non si era mai visto tanto spreco del denaro pubblico, non nella deprecata
Prima Repubblica. Dove si rubava, ma era un delitto.
Il sussidio di 200 euro è annunciato per “combattere l’inflazione”.
O non per irrobustirla?
Draghi dice di non voler entrare in politica. Ma voleva diventare
presidente della Repubblica. E ora fa esattamente politica, anche se minuscola,
alla Andreotti – Andreotti, finalmente presidente del consiglio, tolse la tassa
sul sale (cinquanta anni esatti, quasi giorno per giorno).
Cronache dell’altro mondo abortive – (181)
Non c’è una legge federale negli Stati Uniti che regoli l’aborto.
L’aborto si pratica terapeuticamente sulla base di una decisione della Corte Suprema
nel 1973 su un caso specifico, Roe vs. Wade, che ora la stesa Corte
potrebbe rivedere o anche rovesciare. Sulla base del parere già pubblicato di
uno dei giudici della Corte, Samuel Alito, il quale spiega che la Costituzione
americana non lo prevede.
Il parere pubblicato del giudice Alito – fatto senza precedenti nella
storia della Corte, che rende note solo le decisioni - non è ritenuto influente.
Non è nemmeno un parere, è una bozza di parere. E si sa, non da ora, che la
Costituzione americana, 1787, non elenca le libertà e i diritti civili - non
avrebbe potuto, e non è delle leggi costituzionali elencare nel dettaglio le
libertà e i diritti da proteggere. Ma si sa che la Corte suprema è oggi a
maggioranza conservatrice. 5 a 4, o forse – in tema di aborto - 6 a 3.
La pubblicazione della bozza di parere del giudice Alito sarebbe
intesa a promuovere una legge federale che serva da orientamento sicuro agli
Stati. I Repubblicani hanno sempre lamentato che nei decenni 1950-1960 il partito Democratico ha fatto uso della Corte Suprema quale organo legiferante, sostituendola al potere legislativo propriamente costituzionale - nasce da qui il richiamo della bozza del giudice Alito.
Il riferimento alla costituzione potrebbe però aprire la strada alla riconsiderazione, da parte della Corte Suprema, di altri diritti personali avallati in precedenza - matrimonio gay, quote di genere.
Cronache dell’altro mondo - maritali (180)
Nel processo per diffamazione di Johnny Depp contro l’ex moglie
Amber Heard, per un editoriale scritto da quest’ultima, in qualità di femminista
offesa, sul “Washington Post” contro l’ex marito, lei emerge violenta, molto. I
due si picchiavano, ma lui è dovuto andare un paio di volte in ospedale, una
volta con un dito quasi staccato. Questo litigio ebbe luogo dopo che Depp aveva
chiesto alla moglie d regolare il matrimonio con un contratto economico: Amber
Heard, è stato accertato, lanciò contro Depp una bottiglia di vodka, che gli ruppe
le ossa del dorso della mano destra e quasi gli staccò il dito medio.
Lo psicologo dell’attrice ha testimoniato che Depp ha fatto “cavity
search” sull’attrice, intendendo un’esplorazione digitale della parte intima
della donna, e che lei intratteneva relazioni con Elon Musk e con James Franco,
l’attore.
Al ritorno dall’Australia, Amber Heard ebbe una relazione con Elon
Musk, da lei cercato, che ospitava nell’attico di Depp mentre questi era fuori per
lavoro. Musk conferma la relazione - ma secondo lui Heard e Depp erano
separati. Il rapporto di Heard con James Franco è invece testimoniato dalle telecamere
di sorveglianza nel palazzo dei Depp, al garage, di cui l’attore aveva i codici
di accesso, all’entrata, dove lei scese per portarlo su con l’ascensore, e in
ascensore, con i due abbracciati.
Ma la storia non è vissuta, in tribunale e fuori, come boccaccesca.
Racconto giapponese, cioè sorprendente per gioco
Il ragazzo che a
sedici anni aveva tentato la fuga da casa, da una madre ossessiva, rilegge da
signore benestante, tipografo, in un libro che ha appena stampato, il racconto dei
fatti sensazionali di cui fu testimone nella scappatella. Tra una bella donna
incontrata nella fuga, alla quale si era accompagnato, e un operaio disoccupato
in cerca di lavoro, poi trovato morto.
Un cold case
da cui la verità emerge, ormai prescritta, senza urti né scosse. Con la sorpresa,
Seichō è autore di noir. Ma all’insegna di quella realtà irreale che è il
segno della narrativa giapponese di questi decenni, di Seichō come di Murakami,
Yoshimoto. Il reale è certo sorprendente, ma la brillantezza sembra a perdere, l’ennesimo
esercizio di bravura.
Matsumoto Seichō, Il
passo di Amagi, Adelphi, pp. 66 € 5
giovedì 5 maggio 2022
Letture - 489
letterautore
Alcol(ismo) – È stato per buona
parte del Novecento, e continua oggi, a essere il maggiore propellente delle
lettere americane, di maschi e di femmine. Dopo la morfina e l’oppio del primo
Ottocento. È come se poetare o scrivere in America avesse bisogno di additivi artificiali.
“Mephisto” sul “Sole 24 Ore” limita la lista al solito Hemingway, con l’aggiunta
di Bukowski. Ma la lista è lunga: Kerouac, Berlin, Bukowski, Pirsig, Scott
Fitzgerald, Faulkner, Dorothy Parker, Truman Capote, Chandler, Hammett,
Cheever, Tennessee Williams, Robert Lowell, per limitarsi ai più noti. Come già
Poe, e Jack London.
Conversazione – Stendhal, Svevo,
Saba, nota Giacomo Debenedetti (“Il romanzo del Novecento”, 449), erano o
divennero “irresistibili conversatori” per uscire dal “deserto letterario” – dalla
disattenzione, la mancanza di interlocutori sulle proprie opere. Stendhal “si sentiva
giustamente un misconosciuto: ebbe crisi di malinconia con tentazioni suicide”.
Nel 1833, undici anni dopo l’uscita, scriveva che “De l’amour” aveva venduto
solo 17 copie. E così, “benché timido, si sforzò di rifarsi con successi di
conversazione nei salotti letterari” – una forma di “compensazione, di
rivincita dei fiaschi (così li chiamava lui, all’italiana) sia letterari che
amorosi”. Svevo, afflitto dal silenzio per venti anni, “fu, o divenne, un
irresistibile conversatore”: Saba “non cessava di meravigliarsi della sua
facoltà di rendere interessanti anche gli argomenti più banali, di dare un
avvincente ritmo e sostanza narrativa agli aneddoti più ovvi”. Saba pure era
conversatore fluviale, oltre che arguto – anche in casa Debenedetti, come
testimoniato da Antonio, lo scrittore figlio di Giacomo.
Intermittenze del
cuore –
I ritorni occasionali di memorie, che Proust con la madeleine così battezza,
Giacomo Debenedetti li trova ampiamente in Alfieri: “Nella ‘Vita’, Vittorio
Alfieri racconta esattamente, con la sua scabra e attillata eleganza, come il
sapore di certi confetti gli risusciti la figura dello zio che, a lui bambino,
regalava quei confetti. Quella figura torna, anzi, proprio con quei particolari
secondari ma unici che restituiscono alla persona la sua inconfondibile vita;
qui, per esempio, le scarpe dalla punta quadrata che quello zio dell’Alfieri
soleva portare, tanto che erano divenute uno dei suoi connotati specifici”.
Debenedetti ricorda
che “Benedetto Croce era stato colpito da questo tratto proustiano avanti
lettera dell’Alfieri e lo ricordava volentieri nelle sue conversazioni, specie
con i lettori dell’Alfieri che fossero anche lettori di Proust” – qualche aficionado
del ricordo si trova sempre, e poi il ricordo è ampio, non teme confronti.
Joyce-Freud – Quanto
l’“Ulisse”, il monologo interiore, deve a Freud fu questione dibattuta, già
negli anni 1920, e poi nei 1930 – resta ancora anzi irrisolta, materia per ipotesi
e deduzioni di studiosi e critici, in assenza di riferimenti concreti (una
corposa parte del “Romanzo del Novecento” di Giacomo Debenedetti è dedicato
alla questione, la sezione “Italo Svevo” dei “Quaderni del 1964-65”, un
centinaio di fitte pagine – Debenedetti propende per il sì, non sa farsi ragione
che Joyce non conoscesse Freud o non lo apprezzasse). Svevo, che con Joyce
convisse buona parte delle esperienze triestine dello scrittore dublinese, era
decisamente contro: Joyce non sapeva dio F rued, se non per sentito dire, e non
lo apprezzava. In una conferenza su Joyce tenuta a Milano ai primi di marzo del
1927 (ripresa nei “Saggi e pagine sparse”, la raccolta di Umbro Apollonio del
1954, che più non si è ripresa), è perentorio. Premette di non saper “stabilire
il posto che nel mondo delle lettere spetti all’opera del Joyce e (di) scoprire
la sua relazione con quanto la precedette”, subito stabilisce, benché in base
alla “buona memoria” e non al “senno critico”: “Posso cioè provare che il
pensiero di Sigismondo Freud non giunse al Joyce in tempo per guidarlo alla
concezione dell’opera sua”. Sa che molto depone in senso contrario, prima
ancora dell’“Ulisse”: “Ne resterà stupito”, prosegue, “chi in Stefano Dedalo scoprirà
tanti elementi che sembrerebbero addirittura suggeriti dalla scienza psicanalitica:
il narcisismo,…. quella a madre adorata che si converte in spettro persecutore,
quel padre disprezzato ed evitato, quel fratello dimenticato come se fosse un
ombrello, e infine quella eterna lotta in lui tra coscienza e subcoscienza”. Non
soltanto: “C’è di più ancora. Non è preso dalla psicoanalisi quel pensiero dei
protagonisti che ci viene comunicato all’istante stesso in cui si forma,
sregolato, in una mente sottratta ad ogni controllo?” No, questo procedimento,
Joyce stesso lo dice, è preso dal “vecchio Edoardo Dujardin che l’aveva applicato
trent’anni prima”. Ma sul punto è irremovibile: “In quanto al resto sono io il
buon testimonio: nel 1915, quando il Joyce ci abbandonò, ignorava del tutto la
psicoanalisi. Egli, poi, in allora era ancora troppo debole nella pratica della
lingua tedesca e poteva avvicinarne qualche poeta ma non degli scienziati. Ma
allora tutti i suoi lavori compreso l’‘Ulisse” erano già nati”.
Che Freud avesse letto Dujardin? “Les
Lauriers sont coupés”, 1886, col suo prolungato monologo, fu un libro famoso –
Freud aveva lasciato Parigi già da un anno, ma poteva ben leggere il francese. La
querelle sul freudismo di Joyce è curiosa – Debenedetti si perde in
congetture per cercare il nesso.
E se Freud, come Joyce, o Svevo nel suo
piccolo, forse parte dell’epoca – almeno in parte sicuramente sì, Freud non è
un fiore nel deserto.
Svevo, comunque, è tassativo, non ha
finito: “Da Trieste egli si recò a Zurigo (1915), la seconda città capitale
della psicoanalisi. Senza dubbio egli colà conobbe la nuova scienza e c’è
ragione a credere che per qualche tempo più o meno vi aderì. Ma io però mai
ebbi la soddisfazione di conoscerlo psicoanalista. L’avevo lasciato ignorante
di psicoanalisi, lo ritrovai nel diciannove in piena ribellione alla stessa,
una di quella sue fiere ribellione in cui scuote da sé quello che impaccia il
suo pensiero. Mi disse: ‘Psicoanalisi. Ma se ne abbiamo bisogno, teniamoci ala
confessione’. Restai a bocca aperta. Era la ribellione del cattolico alla quale
il miscredente aggiungeva una grande asprezza”.
Nel 1915 Zurigo poteva essere “la seconda
città della psicoanalisi”, ma già ben distanziata da Freud.
Madeleine - “un biscotto
panciuto e friabile”, Giacomo Debenedetti, “Romanzo del Novecento” 373. Non
memorabile, se non in quanto suscita memorie.
Roma – È città moderna di non luoghi”. Furio
Colombo, visitando a casa all’Eur, il pomeriggio della notte fatale, è rimasto
colpito dalla totale mancanza di carattere del quartiere. “Sopra il citofono
della palazzina in via Eufrate, all’Eur, c’è scritto «Dr. P. Pasolini». È una
strana casa, uno strano luogo per vivere. Guardo davanti e vedo, sopra quella
targhetta, la palazzina confortevole, senza stile e senza gusto, che è il
condominio dell’Eur, il quartiere residenziale più ambito di Roma. Volto le
spalle alla palazzina, e oltre la strada vedo quel vuoto strano e angoscioso
che circonda Roma. Un vuoto che non è né città né campagna…”. L’Eur non è il
quartiere più ambito di Roma. Ma ha germogliato una forte espansione verso il
mare, Fiumicino e Ostia. Roma così, la città più caratterizzata, anche nei
sobborghi “pasoliniani”, dietro forse solo a Napoli, si è riempita di “non
luoghi”: tutta la città che si è formata nel dopoguerra a ridosso dell’Eu, in direzione
del mare, Fiumicino-Ostia. Eur compreso: L’architettura novecentista degli anni
di Mussolini, che pure ha costruito quartieri con l’anima, alla Garbatella, a
piazza Bologna, a Monteverde Nuovo, ha realizzato all’Eur un “non luogo”
inscalfibile. Lo steso carattere ha mantenuto la città sviluppandosi dall’Eur
al mare: Infernetto, Torrino, Mostacciano, Spianaceto, Casalpalocco.
Svevo – Era e resta un outsider. Restò
ignorato per molti anni, questo si sa. Non si dice invece che scrisse sempre,
prima di diventare industriale e non dopo. Finì impiegato di banca ai diciotto
anni. Per diciotto anni, fino ai 37, ma perché l’azienda del padre era fallita.
Contemporaneamente scriveva: i primi racconti pubblicati su “L’Indipendente”, il
giornale filosocialista cui collaborava come “vice”, col nome di Ettore
Samigli, per le cronache letterarie e teatrali, “Una lotta” e “L’assassinio di
via Belpoggio”, furono dei diciannove-vent’anni. “Una vita”, il romanzo, benché
pubblicato da primario editore, Treves (cui Svevo l’aveva proposto col titolo
“Un inetto”), ai trentun’anni, ebbe tre segnalazioni, una, sul “Corriere della
sera”, per i buoni uffici dell’editore, milanese, e due sui quotidiani
triestini, “L’indipendente” e “Il Piccolo della sera”, e non vendette nulla. Aveva anche una profusa attività d
commediografo – scrissi nei primi anni più drammi che racconti - ma nulla è
stato mai messo in scena.
letterautore@antiit.eu
Flannery in Georgia, bianca tra i neri
Mary Flannery O’Connor,
nel primo viaggio al Nord, a 18 anni, nel 1943, trovò strano nel Massachusetts
che nella classe di sua cugina ci fosse un nero, e nella metropolitana di
Manhattan voleva sedere tra due cugini, per non doversi trovare a contatto con
un nero. Diceva e scriveva “negro”, e non apprezzava James Baldwin. Lasciò cadere il Mary perché “sa si lavandaia irlandese”. A un
intervistatore disse: “Non mi sento capace di entrare nella mente di un negro”.
Su questi paletti Elie, commentatore e critico del giornale cattolico americano
“Commonweal”, ricercatore all’università gesuita di Georgetown, costruisce
un’immagine di Flannery O’Connor da “cancellare”. Se non lo fa antifrasticamente,
poiché la scrittrice esce da questo ritratto ancora più vivace di quanto si
sapeva.
Flannery O’Connor
era nata e ha vissuto in Georgia, dove i neri erano un altro mondo, ma li ha raccontati,
non più strambi dei suoi bianchi. A Baldwuin preferiva Cassius Clay (“si parla
troppo di odio”): “Cassius è troppo buono per i mussulmani” – “se Baldwin fosse
bianco nessuno lo sopporterebe”. Di questo e altro scriveva alla sua amica a
New York, Maryat Lee, commediografa, attivista dei diritti civili – una
corrispondenza quasi quotidiana. Ed è ben l’autrice, tra i tanti racconti e
saggi, di un “The Grotesque in Southern Fiction”. In Georgia è stata letta perfino
come il pendant bianco di Martin Luther King, il georgiano più famoso.
Paul Elie, How
Racist was Flannery O’Connor, “The New Yorker”, 15-22 giugno 2020, free
online
mercoledì 4 maggio 2022
Appalti, fisco, abusi (219)
È andato a Strasburgo, nientemeno, il presidente del consiglio Draghi
per dire che lui l’ecobonus non lo voleva e lo ha boicottato. Un fatto da tempo
palese, con gli stop-and-go al provvedimento, in modo da renderlo inapplicabile.
Ma un fatto grave, in un paese di diritto: cambia nientemeno la costituzione. Il
governo è di due tecnici, Draghi e Franco, il Parlamento e la politica non
contano. Col ricatto: altrimenti ve ne andate a casa. Altrove si direbbe un
golpe istituzionale. Niente di meno.
Le banche che si prospettano all’avanguardia nella gestione dell’ecobonus
in realtà si limitano a scontare le fatture dei lavori già quietanzati,
presso l’Agenzia delle Entrate. Secondo la vecchia norma, certo, solve et repete.
Ma un 10 per cento per lo sconto di un credito, di un debitore così affidabile
come lo Stato, non è troppo? L’unico beneficio della legge i due che contano al
governo, i banchieri Draghi e Franco, hanno voluto e beneficio delle banche.
Una banca di fatto operava secondo i criteri della legge ecobonus,
il Bancoposta, che completava le pratiche di finanziamento dell’opera, sula base
della relazione tecnica, prima dei lavori, in due settimane. Poi anche in una. Ma
presto l’azionista Cdp, ex Cassa Depositi e Prestiti, cioè il ministro del
Tesoro Franco, ha detto basta.
Un’ora persa in un ufficio Tim e un’ora in uno Windtre, con
addetti forse incapaci ma volenterosi, per pagare la bolletta su carta di
credito, e niente, le bollette continuano ad arrivare come prima. Le aziende
vogliono solo il conto corrente alla Posta: “Siamo spiacenti di informarti che
non ci è possibile procedere all’addebito del conto telefonico secondo la
modalità di pagamento da te scelta”, è la risposta. Col consiglio: “Vai sulla App
o area clienti per pagare con la carta di credito”. Che né la app né l’area
clienti invece accreditano.
Con le utilities telefoniche funziona solo l’addebito su
conto corrente mediante iban. L’addebito cioè immediato, senza possibilità di
controllo. Il ricorso a questo tipo di pagamento è stato immediatamente carissimo:
subito due bollette a costi quintuplicati. Per recuperare i quali c’è voluto ricorso
e una mediazione Agcom. Molti mesi e molte pratiche. Con un rimborso senza sanzioni
per il gestore telefonico. Rubare è lecito.
Pasolini anacoreta esibizionista
Una raccolta non
remota, del 1995, dell’effimera rivista “Liberal” (Ferdinando Adornato), che
sembra però venire da un mondo altro, di linguaggio insignificante. Se non per
un Pasolini che si esibisce sempre più personaggio mediatico, in posa, e sempre
meno logico, razionale, o realmente appassionato. Odiatore del mondo, già fin
dai primi vagiti, nel 1955, che potrebbe essere anche una cosa interessante, ma
da maestro di scuola, pedante, insistente, respingente - è anche contro la “scuola
di Barbiana”. E non per trauma o carattere, che al contrario tutti assicurano
mite.
Commuove retrospettivamente,
per l’emozione che proietta la sua fine, come un eccesso di realtà che ricopre
a valanga le tante chiacchiere, che però restano zavorra. I giovani sono morti,
il mondo è finito, è il neo capitalismo, la civiltà dei consumi, la borghesia.
La borghesia a ogni riga. E “io voto comunista ma non sono comunista”. Tutto lecito
e anche interessante (vita e convinzioni d’autore), ma ripetuto, per anni e
decenni, un tema insonoro e senza variazioni, e segno di una disperazione che
non è disperata, per niente, è come a comando e sa di artificioso. Programmatico
– “mi si nota di più se…”. Stucchevole.
Si parte col
rifiuto delle interviste, dell’autore più intervistato al mondo (al mondo? probabile,
impossibile che ce ne sia un altro così). “La cultura umanistica è
tradizionale, tipica di una società pre-industriale” – come se ci fosse
“tecnologia” senza cultura umanistica. E la crisi a ogni passo, della cultura, la
letteratura, la politica, la società. Salvo celebrare con Giovanni XXIII, col papa, “la grande
esperienza laica e democratica della borghesia”. Il linguaggio ripetitivo, quasi
burocratico, di una subcultura che ha dominato l’Italia per poi dissolversi
senza residui, se non le rovine: Pasolini si direbbe qui il poeta dalla lingua
di legno.
Qualche verità non
manca. “La persona che ha maggiormente influito sulla mia forza creatrice è da
identificarsi sicuramente con mia madre”. “Marx ha detto delle cose tremende.
Per esempio in materia religiosa. Tutto quello che Marx ha detto della religione
è da prendere e da buttar via, è frutto di una colossale ignoranza”. Il suo teatro
in versi spiega originato dalla lettura dei “Dialoghi” di Platone. Sa la
verità, per quanto incredibile, delle ragazze di periferia,
sedici-diciassettenni, nel 1972, prima del delitto del Circeo, ben cinqunt’anni
prima dei festini su instagram e della droga dello stupro. Libertino, anche se
non del tutto: “Penso che scandalizzare è un diritto, essere scandalizzati un
piacere, e chi rifiuta il piacere di essere scandalizzato è un moralista”.
Ma confuso, moralista
censore del moralismo. Marx è “spiritualista” e non materialista. “Un piccolo
paese non può dare un grande scrittore” – “l’Italia è una piccola nazione,
meschina. Lo ripeto: non può dare un grande libro”. “Non leggo più, come
Fellini” - nel 1965, o 1966. “Non vado mai al cinema. Trovo il cinema brutto e
noioso”. Con quell’essere religioso,
anzi cattolico, anzi sacerdotale, contro il “materialismo ateo e disumanizzante
che è alla base del neo capitalismo e che è la sintesi di tutto ciò che è
condannato dal Vangelo”. E naturalmente col rifiuto – tattico, strategico? – della religione. “Il cattolicesimo non ha
mai contato a Roma”. Fa cinema, invece
di scrivere romanzi, per “esprimere la realtà con la realtà” – se non c’è
niente di più artificioso del cinema. Marxista a ogni riga e, con Fallaci nel
1966, autore già celebrato, ammiratore degli americani, incondizionato. Di estremismo
verbale, in ogni circostanza.
Non lusinghiero per
Pasolini, il ritratto, involontario, di un’epoca. O forse solo di Pasolini, non
si ritrova tanta boria, seppure nella stessa lingua di legno, nei coetanei e
compagni di partito preso Calvino, Fortini, Zanzotto, lo stesso Moravia - che,
dice Pasolini, lo tiene informato delle questioni letterarie. Un anacoreta a tratti
emerge, ma non disperso nella tebaide: al centro della piazza, inamovibile,
concionatore.
Pier Paolo
Pasolini, Interviste corsare
martedì 3 maggio 2022
Cronache dell’altro mondo scolastiche – (179)
Si moltiplicano i procedimenti legali e giudiziari, e le censure,
contro le scuole che propongono corsi di identità di genere, o praticano la critical
race theory, sulle leggi e gli ordinamenti che alimentano il razzismo,
ritenuti “concetti divisivi”. Le contestazioni sono molte centinaia, nella
maggior parte degli Stati, 37 su 50. Stati in prevalenza centro-meridionali,
con governatori repubblicani - ma non sempre. Mentre 17 Stati allargano
l’offerta di insegnamento contestata – in due, New York e Washington, sono
presenti l’uno e l’altro indirizzo.
La scuola sembra il terreno di battaglia del voto politico di
medio termine, per il rinnovo di una parte del Congresso. Una campagna attiva
da parte repubblicana, che ha puntato sulla scuola per arrivare a novembre alla
maggioranza al Congresso. Hanno acquisito rapidamente visibilità
associazioni di contestazione degli ordinamenti scolastici, No Left Turn in
Education, fondata a New York da Elana Fischbein, dottore in Scienze sociali, e
Parents Defending Education, entrambe fondate nel 2020.
Un sondaggio elettorale dà in prevalenza di orientamento repubblicano
le famiglie con figli adolescenti.
Diabolico “Ocean’s Eleven”
Marinelli non occupa
lo schermo come Clooney e Diabolik non è un ladro gentiluomo, è un assassino,
ma questa storia fila come “Ocean’s Eleven”. Non conta fare il colpo, conta farlo
bene, per quanto difficile e aggrovigliato, in barba ai cacciatori più abili e
insistenti. Anche con una storia, per molti, nota e trita – il supereroe delle
sorelle Giussani ha ormai sessant’anni.
In una scena levigata
digitalmente, ma piena di colori, fisionomie, ambienti. Con corse mozzafiato.
In un’epoca remota e presente scandita dalle macchine, Jaguar E, Deesse, Alfa Giulia,
anche una Seicento nello sfondo. Senza smancerie, nemmeno con la bellissima Eva
Kant. E dialoghi minimi, familiari, servili.
I Manetti si sono
divertiti a rifare il genere, con un pizzico di supereroi Marvel – un po’ come
Leone col western americano - e divertono.
Manetti Bros, Diabolik
lunedì 2 maggio 2022
Secondi pensieri - 481
zeulig
Anima
– È umana – è sottinteso, e si dice, “anima umana”,
“non c’era anima umana”. È ora anche animale? E minerale? Per il politicamente
corretto, che si confonde col postumano. Ma si è sempre detto del mondo che è animato.
Complotto - Si può ridere del complotto annunciato, ma non
troppo. Manifesta un disagio, che comunque permane, e conviene vigilare: se il
golpe non c’è, molti però godrebbero che ci fosse.
È un disagio che si manifesta con più intensità
in questa età di benessere e di diritti senza precedenti nella storia. È un
virus dell’abbondanza?
Freud-Jung – Si ripropone inevitabile la maratona di tredici ore tra il maestro
(allora) e il discepolo (allora) della psicoanalisi, la volta che Jung si recò
a Vienna, con la moglie e con l’allievo Binswanger, e Freud lo invitò a pranzo,
da solo, per poi intrattenerlo a conversazione. Nel fumoir, si suppone,
Freud non poteva fare a mano del sigaro. Per tredici ore. Che si vogliono di
fermenti e creatività, ancora si rivivono come una epifania. Come usa per le
estasi e i rapimenti di mistici e santi. Per tredici ore, nel fumo: di
chiacchiere? Con che lucidità? Specialmente deprimenti le memorie dell’uno e
dell’altro dell’incontro, tra “seduzioni diaboliche” e “attrazioni erotiche”.
Le vite e le psicologie dell’uno e dell’altro maestro
sono un ammasso di “contraddizioni” – fanatismi, nevrosi, entusiasmi,
depressioni, autodistruzioni, autocelebrazioni. “seduzioni diaboliche”,
“attrazioni erotiche”,
Potere – Si vuole (dice) totalitario. Mentre non può esserlo, e lo sa: il potere
autoritario è autofagico - cannibalizza fino all’autofagia. Il potere al contrario
è flessibile, mutevole, adattabile. Nessuna analisi del potere è conclusiva
(p.es. Bottomore, Bertrand Russell, Talcott Parsons, Foucault): è un’analisi
delle forme del potere, mutevoli, adattabili. Il potere può essere duro, ma sempre
dev’essere pervasivo, insinuante, amichevole.
Si dice potere, e s’intende in realtà dittatura. Che
è comunque transeunte, adattabile cioè, e in forme diverse, politiche, militari
(la forza), religiose, comunicative.
È lo specchio opposto della libertà, che è dei più,
e sempre s’insinua, anche nelle società meno complesse.
Si esercita con l’esclusione, quindi da
connotarsi negativamente. Il potere più feroce è quello politico, che giudica e
squarta. Più determinato è nella forma religiosa. Il più furbo, naturalmente, è
quello economico, che calcola senza passione. Il più ingiusto è quello intellettuale,
o di genere.
Ma in sé non è demoniaco, e anzi si può dire divino.
Del divino ha l’essenza, la capacità di essere e di fare – che è sempre un
esercizio di potere, anche se non indirizzato a un soggetto suddito o dipendente.
Il potere si dice anche anarchico. Ma solo nel senso
che si frantuma: il potere è tanti poteri, fino ai contropoteri. Di fatto è
costruttivo: flessibile (frammentario), o mobile, ma costruttivo. Non si
costruisce, nella società, nella storia, se non attraverso il potere, esercitando
un comando, un potere - più o meno democratico (flessibile) nella sua gestione.
Il potere, nessun filosofo ci ha mai dato,
perché non c’è una cosa che è il potere. Fuori dalla razionalità, che appunto è
povera - ombre, un mondo sotterraneo di pensieri monchi. “Non potendo rendere
la giustizia forte, hanno giustificato la forza”, è come diceva Pascal.
Storia – “Tutta la storia è un falso, e per conseguenza è inutile”, Paul
Valéry.
“Il passato mi dà sempre angoscia, mi dà un senso di
imprigionamento”, P.P.Pasolini: “Quando il mondo sarà costretto a vivere in
modo nuovo, tutto ricomincerà” (intervista con Federico Rosso, “Politica e
territorio”, luglio-sett. 1974, ora in “Interviste corsare”): “Non ho
nostalgia… Non vorrei rivivere neanche cinque minuti del passato”. Detto da uno
scrittore e intellettuale che lamentava sempre e soprattutto il presente. Il presente
come abbandono del passato, sradicamento, è forse una pointe da intervista
- il bisogno di risollevare a tratti l’attenzione. Ma, in ipotesi, è possibile,
e anzi logico, perché il passato – la storia, la conoscenza - dovrebbe liberare
(arricchire, spiegare) e non opprimere. Il risveglio all’alba da primo uomo
perché non sarebbe l’esercizio della libertà, radicale?
Tolleranza – Sta spesso per verità, per evitarsi di esaminare (accertare-accettare)
la verità. O della verità come indulgenza (generosità, concessione, regalo). In
questo senso Pasolini polemista poteva dire (a Dacia Maraini, “L’Espresso”22
ottobre 1972): “La tolleranza è l’aspetto più atroce della falsa democrazia”. Subito
dopo avere esplicitato, senza rilevarlo, un fatto storico: “È la tolleranza che
crea i ghetti”.
Viaggio – È un’estensione di sé. E una forma di socialità. O è solo un moto
compulsivo, da dromomania? Ci sono anche viaggi celebri di sedentari, ma sempre
in moto con la fantasia, stanno a casa ma non ci sono.
Il viaggio per eccellenza, il primo, omerico, è l’una
e l’altra cosa. È un viaggio di ritorno ma non in linea retta, e per il tratto
più breve: è come se Ulisse dovesse tornare, e lo volesse anche, ma svogliatamente,
ritardando l’evento. Nello stesso tempo è un viaggio che arricchisce, di
fantasie, avventure, novità, curiosità, storie, piccole e grandi.
È dromomania stanziale anche la curiosità per l’altro,
per l’estraneo. Specie in questa epoca di migrazioni, in cui il sopravveniente
è più speso remoto e diverso, sotto tutti gli aspetti, fisici e culturali (lingua,
linguaggi, sentimenti, sensazioni, modi). Mentre succede a emigrati di lunga
data, emigrati definitivi, di restare (volersi) incistati nel gruppo o area di
provenienza, paese, città, lingua, cucina, abbigliamento perfino.
zeulig@antiit.eu
Il virus fa brutti, sporchi e cattivi
Poche scene, poche
pose di Malkovich (barbuto, immobile, parlante) distribuite in tutte le scene,
ogni quindici minuti un ammazzamento, feroce. Un film svelto (di serie B, C, D
?) sulla lotta dell’uomo contro l’uomo nella pandemia da virus incoercibile. Senza
pietà: la persona ricercata che i fucilieri si contendono perché ha gli
antigeni del virus è portatrice sana: infetta i suoi salvatori.
È il quinto o sesto
esercizio in sopravvivenza negli ultimi trent’anni, al cinema e in tv, con lo
stesso titolo. Roba da Anno Mille. Non senza ragione, il millennio è ben già
stato funestato da da tre o quattro virus letali. Ma forse è materia non da film
svelto.
Jon Keeyes, The
Survivalist, Sky Cinema
domenica 1 maggio 2022
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (490)
Giuseppe Leuzzi
Al Coachella Valley Music and Arts
Festival, in California, si sono esibiti dopo David Damiano e i Måneskin, e
l’invito a nozze di Megan Thee Stallion (provare per credere), gli svedesi di House
Mafia, con divertimento.
Gli House Mafia si erano sciolti e si sono
riuniti, la mafia è intramontabile. Un gruppo di tre dj, animato da un Sebastian444 Carmine Ingrosso, che però è di Nacka, vicino Stoccolma.
Nella classifica Eurostat dell’occupazione
nella Ue, suddivisa per regioni, gli ultimi posti sono delle regioni del
Mezzogiorno. L’ultimissimo è di Mayotte, dipartimento francese d’oltremare (le
isole tra Madagascar e Mozambico). Poi però vengono, in questa graduatoria del
disonore, la Sicilia (tasso d’occupazione 41,1 per cento), la Campania (41,3
per cento), la Calabria (42). Segue la Guyana francese, quella della Cayenna, e
quindi la Puglia (46,7 per cento di occupati). Non c’è niente di peggio, in
tutta la Unione Europea, ben 240 regioni censite, del Sud d’Italia.
Nessun dubbio che si tratti di
rilevazioni statistiche non omogenee, per metodologia o per strumentazione – l’Italia
è sempre ultima, in queste statistiche Eurostat. Ma non innocenti.
Emigrazione istruita e
d’impresa
Il grosso dell’emigrazione
italiana, prevalentemente giovanile, il 18 per cento, è partito nel 2018 dalla
Lombardia, che conta dieci milioni di abitanti – sono numeri vecchi, pre-covid,
ma meritano una considerazione. La Sicilia e il Veneto, che contano cinque
milioni di abitanti per regione, venivano al secondo e terzo posto, con il 10 e
il 9 per cento rispettivamente della nuova emigrazione. L’emigrazione non va
col reddito ma con l’intraprendenza.
È un’emigrazione per lo più
istruita: tre su quattro dei nuovi emigranti hanno il diploma di scuola
superiore. Ma non sono grandi numeri, a meno dei rimpatri: nel decennio
1999-2008 sono emigrati 428 mila italiani, e ne sono rimpatriati 380 mila. Ma
sono in forte crescita dopo la crisi del 2007-2008: nel decennio successivo le
emigrazioni sono quasi raddoppiate, 816 mila, mentre i rimpatri sono perfino
diminuiti rispetto al decennio precedente, in tutto 333 mila.
I tassi di emigrazione per
l’estero più bassi, in rapporto alla popolazione, sono delle regioni
meridionali: Campania, Puglia e Basilicata – 1,3 per mille abitanti. Sicilia e
Abruzzo si pongono un gradino più sopra, con un 2,4 per 1.000 abitanti.
Messina, fasti e miseria
Il nome ritorna con la birra,
che però ora si fa a Massafra, in Puglia, invenzione di Heinecken. Solo notizie
meste da alcuni anni, o forse decenni: ruberie e mafie, piccole e meno piccole.
Da Messina, città a lungo illustre, e solo illustre, che in Sicilia è – era –
un po’ un’eccezione. La storia va così, ondeggia, ha cicli. Ma Messina ha fatto
un salto, verso il basso, e non sembra aver toccato il fondo. Vi si raccolse la crociata del
1192, che riunì i regnanti d’Europa. Quattrocentocinquanta anni fa, poco meno,
fu la base dove don Giovanni d’Austria raccolse le flotte cristiane per la
battaglia di Lepanto – Cervantes, ferito a Lepanto, fu curato a Messina
(perdette l’uso della mano sinistra). A lungo ancora in questo dopoguerra il porto esportava migliaia di barili di succo e polpa di limoni e
arance per il mercato britannico, che allora era grande mezzo mondo, tutto il
Commonwealth. Il porto che tutte le flotte visitavano, americane e britanniche, aperte
alle visite festive. Ora è un pontile d’approdo dei ferries da
e per il continente.
Il futuro cardinale Bembo,
nonché futuro amante di Lucrezia Borgia, il normalizzatore della lingua, dal
1492 al 1494 studiò il greco a Messina, con il famoso ellenista Costantino
Lascaris (1434-1493). Vi si recò con l’amico e condiscepolo Angelo Gabriele.
Arrivarono a Messina il 4 maggio 1492. Restò per sempre memore del suo
soggiorno siciliano, di cui gli rinnovavano il ricordo la corrispondenza con
letterati e scienziati messinesi, fra i quali il Maurolico (1494-1575), e la
presenza del fedelissimo amico e segretario Cola Bruno (1480-1542), che lo
aveva seguito e gli stette vicino per tutta la vita. Tornato a Venezia,
collaborò con Manuzio per la pubblicazione nel 1495 della grammatica greca di
Lascaris, Erotemata, che con Gabriele avevano portato da
Messina.
Mark Twain, in crociera nel
1867, arriva alle due di notte allo Stretto di Messina, d’inverno, ma “il
chiaro di luna”, scrive, “era così brillante che l’Italia da un lato e la
Sicilia dall’altro si vedevano così distintamente come se non fossero separate
che dalla larghezza di una strada”. La cittadona oggi informe dei ferries Twain
dice fiabesca: “La città di Messina, di un bianco di latte, stellata e
scintillante di lampioni, era uno spettacolo fatato”.
Fa grande caso Dumas nelle sue
opere più tarde - specialmente ne “I garibaldini”, dove lo ritrova tra i
sobborghi marinari (allora) di Messina, dai nomi beneauguranti di Paradiso,
Pace, Contemplazione - del capitano Arena, persona e personaggio del suo
romanzo di viaggio “Lo speronare”, un messinese, insieme col giovane militare
francese esule De Flotte: un siciliano dal “volto buono, sempre sereno, anche
nella tempesta”. Anche Genova ha un’Apparizione,
lungo il mare, andando verso Quarto dei Mille - sarà stato un vezzo delle città marinare?
Nel 1953 inventava le grandi mostre, prima di Firenze con i Medici, la mostra che consacrava Antonello. Antonello non vi fu fiore solitario – anche se questo non si studia. Commissionò Caravaggio. Morì a Messina Polidoro Caldara detto da Caravaggio, rifugiato in città da Roma dopo il Sacco – ucciso da un discepolo, Tono (“Tonno”, dice wikipedia) Calabrese, durante un tentativo di rapina: un ragazzetto, per come lo ha lasciato dipinto Polidoro nell’“Adorazione dei pastori” a Capodimonte, uno dei tanti (nel primo catalogo del secolo d’oro, di Giovan Paolo Lomazzo, “Idea del Tempio della Pittura”, 1590, Polidoro da Caravaggio è tra i sette “governatori dell’arte”, lui con Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Mantegna ,Tiziano, e Gaudenzio Ferrari). Ospitò nel Seicento la grande collezione – la più grande probabilmente d’Europa – del principe Ruffo della Scaletta, un calabrese dei conti di Scilla sposato a Messina. I Ruffo furono grandi collezionisti: lasciarono a Scilla, la casa madre, oltre 1.500 tele. Con opere di Raffaello, Tiziano, Veronese, Tintoretto, Rubens, Guido Reni, Mattia Preti, Luca Giordano, Orazio Gentileschi. La collezione fu avviata dal principe Tiberio. Che alla morte lasciò al figlio Guglielmo 650 tele. Alla morte di Guglielmo, nel 1748, la collezione era salita a 1.500 tele. Aveva cominciato don Antonio Ruffo di Bagnara principe di Scaletta – dal nome di un feudo messinese della moglie. Committente tra i tanti di Rembrandt e Artemisia Gentileschi, che protesse alla triste fine. Collezionista di Rubens, Bruegel, Mattia Preti, Poussin, Borgognone, Salvator Rosa.
La città è stata luogo privilegiato delle lettere. Eco forse delle prime Crociate, alcune partirono dal suo porto anche prima del 1192, e dei poemi che le accompagnarono. Tra essi, committenti i nuovi padroni, i Normanni, la “Chanson d’Aspremont”, che diede il nome alla montagna calabrese di là dallo Stretto, trasportandovi il ciclo carolingio, con la liberazione di Reggio (“Risa” nel poema) dai Saraceni. E successivamente nella novellistica. A partire da Boccaccio, con la novella “Lisabetta da Messina”. E una Camiola senese, nel “De Mulieribus claris”, che è invece di Messina, una Caméola o Camiola Turinga, figlia di un Lorenzo di Turingia e di una nobildonna messinese, della famiglia Bonfiglio, detta senese per via del marito, dal quale ereditò una grossa fortuna, che dispose poi a fini filantropici. La storia di Boccaccio piacque a Bandello, che ne fece il tema della 22ma delle sue novelle. E a Shakespeare, che dalla traduzione francese del Bandello trasse il tema di “Molto rumore per nulla”, ambientando la commedia a Messina. C’è Messina anche in Molière. In un apologo Diderot elogia “un calzolaio di Messina”, che del laboratorio fa corte di giustizia. Schiller ha una “Sposa di Messina”. Vittorini “Le donne di Messina”. Fino all’“Horcynus Orca” di Stefano D’Arrigo, 1975 – qui finisce la storia.
Fu sede del secondo collegio per l’istruzione dei non professi, registra la storia dei gesuiti, dei giovani laici - dopo quello aperto nel 1544 a Gandia, la città tra Valencia e Alicante, dal futuro santo Francisco Borgia per i moriscos. Essendo venuto al corrente di quello che era accaduto a Gandia, Jerónimo Doménech pensò di fondare un collegio a Messina, avendovi trovato un’immensa ignoranza nel clero: coinvolse nell’iniziativa Eleonora Osorio, la moglie del viceré di Sicilia, e il 19 dicembre 1547 le autorità cittadine chiesero a Ignazio l’invio di insegnanti, ai quali si garantiva cibo, vestiario e alloggio – poi il collegio fu spostato ad Acireale.
“Eufemio da Messina” è opera –
una tragedia – di Silvio Pellico prima della prigione: Eufemio, turmarca della
flotta bizantina, accusato per gelosia di avere sposato una monaca, si ribella
e finisce dal sultano di Tunisi. Nietzsche ha “Gli idilli di Messina”.
Nietzsche a un certo punto s’imbarcò a Genova, come Colombo proclamandosi Liberator
Generis Humanorum, su un cargo per Messina, dove sbarcò in barella, mezzo
morto, per decretarla, come già Sorrento e poi Roma, sua città ideale: “Questa
Messina è proprio fatta per me”.
È “patria dei barbieri” per
Soldati, della rasatura a mano libera. Più spesso torna nella letteratura
tedesca, Schiller appunto, Goethe, Jünger, Lenz, etc.: per essere stata forse
patria di Evemero, per il quale gli uomini sono dei, o luogo di raccolta di
crociate e flotte, che sempre portò buono ai cristiani, o perché si pronuncia
facile. Per molti era toponimo succedaneo, per chi andava a Taormina, per i
quadri viventi di von Gloeden, e non aveva il coraggio.
De Amicis vi iniziò la breve
carriera militare, sottotenente. Melville vi assistette alla prima del
“Macbeth”, ancora incompiuto, diretta da Verdi - Verdi a Messina? che soggetto, inesplorato. Fu l’ultima ad arrendersi ai
Savoia, dopo Gaeta, il 13 marzo 1861. Ma era stata la prima a sollevarsi nel
1848. Emerson ricorda che “in un giorno di pioggia tutte le vie si accesero di
ombrelli rossi”. Era stata la città che per prima aveva chiesto la Costituzione
nel ’48, finendo per dare il nome al Re Bomba, Ferdinando II delle Due Sicilie,
che la distrusse per due terzi, raccapricciando l’Europa.
Messina ebbe anche una delle
prime università italiane. Pascoli, che ci abitò con la sorella Mariù, per insegnarvi
all’università, ne mantenne ricordo ottimo: “Io ci ho passato i cinque anni migliori,
più operosi, più lieti, più raccolti, più raggianti di visioni, più sonanti
d’armonie della mia vita”, scriverà qualche anno dopo, il 10 luglio 1910 a
Ludovico Fulci – deputato radicale di Messina per vent’anni, mazziniano,
docente di Diritto Penale.
Oltre a Pascoli, e Debenedetti, altre personalità vi hanno
insegnato: Salvemini, Galvano Della Volpe, Alessandro Passerin d'Entrèves,
Amaldi, la serie è lunga, Giuseppe Renzi, Camillo Pellizzi, Concetto Marchesi, Eugenio Donadoni, Giuseppe Cocchiara, l’etnologo dietro le
“Fiabe italiane” di Calvino, Federico Caffè, Marialuisa Spaziani. Una università di grandi
numi, fino a Salvatore Pugliatti, insigne giurista, amico di Quasimodo, e di
Giorgio La Pira – ma è già di un altro mondo.
Nietzsche
a Messina, dopo il mal di mare, nel lungo viaggio da Genova su un mercantile a
vela di cui era il solo passeggero, doveva passarci la vita o almeno un anno.
Resistette solo pochi giorni, tre settimane esatte, dal 30 marzo al 21 aprile
1982, ma bastanti per comporre “Gli idilli di Messina”. Se ne allontanò
avvilito dallo scirocco, ma qualche settimana dopo, l’8 maggio, da Locarno
scriverà a Rée: “Ancora scirocco intorno a me, il mio grande amico, anche in
senso metaforico; ma alla fine penso sempre: senza lo scirocco sarei a
Messina”.
Pochi
mesi prima della morte, nell’inverno 1881-1882, Wagner aveva risieduto a
Palermo, con Cosima e le figlie, mentre componeva il “Parsifal” - una cui prima
stesura avrebbe debuttato a Bayreuth in estate. Finito il soggiorno, passò da
Messina, negli stessi giorni in cui c’era Nietzsche. Arrivò l’11 aprile,
preceduto da un annuncio sulla “Gazzetta di Messina”. Ci passò due notti.
Passeggiò per la città, visitando il Duomo. Mentre Cosima e le figlie
visitavano il monastero di san Gregorio per il polittico di Antonello – secondo
Paul Rée “la seconda figlia (Blandine?) si sarebbe fidanzata con un conte
siciliano”. Che faceva Nietzsche in quei giorni, nell’albergo in piazza Duomo
dove era sceso, dove sicuramente ci sarà stata eccitazione per la visita del
compositore molto illustre? Non si sa. Ma dieci giorni dopo lasciò la “città
del destino”: è stato lo scirocco oppure Wagner invadente di chiara fama ad
allontanarlo?
Curioso
è anche che la guida alla Sicilia del console tedesco a Messina, August
Scheneegans, che onorò Wagner al passaggio, faccia posto, luogo per luogo, alle
citazioni o altre forme di interesse di autori tedeschi, e per Messina si
limiti a citare Goethe (“Nausicaa” nel “Viaggio in Italia”) e Schiller (“La
sposa di Messina”), ma non l’autore degli “Idilli”, che pure era stato in città
nel suo consolato. Messina non era la città del destino, Nietzsche stesso lo
confessa alla partenza. Scrivendo a Gast ai primi di marzo lo spiega senza lo
scirocco: Nausicaa lo attira, “un idillio con le danze e tutto lo splendore meridionale
di quelli che vivono al mare”, ma “alla fine del mese vado alla fine del mondo:
se lei sapesse dov’è!”.
Il “larario” di Heius a
Messina, attesta Cicerone, la collezione domestica di immagini votive, aveva un
Cupido di Prassitele, un Ercole di Mirone, e due Canephorae, le
“portatrici di cesto” (dell’abbondanza) nelle processioni greche. È messinese
Giuseppe Sergi, fine folklorista (1841-1936), cui si deve la scoperta che gli
europei in blocco vengono dall’Abissinia. Giunti in Europa, presero due direzioni,
il Nord baltico e il Sud mediterraneo. Quelli del Sud, dice Sergi, “per
parecchio tempo dovemmo difenderci dai barbari ariani”. L’ultimo guizzo ha
avuto con Stefano D’Arrigo, negli anni della signora Carlyle. Successivamente
Ceronetti diventò “corrispondente dal Piemonte” della “Gazzetta del Sud”, il
giornale di Messina, per il quale ventenne si spacciò per giovane antropologo,
discepolo o parente di Lévi-Strauss – “non mi credettero, ma feci lo stesso
molte corrispondenze”.
Ma qualcosa era nell’aria.
“Vista dal ferry boat che attraversa lo Stretto dal continente, Messina appare
una piccola città portuale ragionevolmente prospera, con alcuni grandi moderni
palazzi di uffici, soprattutto banche, sul lungomare, e con ville graziose di
media grandezza distribuite sulle colline dietro la città. L’impressione è
falsa. Messina è di fatto una città morta”. È la silhouette che
della città disegna Margaret Carlyle, “The Awakening of Southern Italy”, 1962.
Avendoci vissuto in quegli anni per fare le scuole, non si può che
testimoniarlo: era città gradevole. Di grandi e gradevoli
famiglie, di qualità e dignità, i Marullo, i Martino, gli Stagno d’Alcontres. Villa Marullo era enorme sopra la città,
allora a corona sul mare, sul porto naturale a falce, donazione di un fascista poi
diventato barone rosso, Sergio Marullo
di Condojanni. Che fosse morta però non si vedeva. Sarà
accertato qualche anno dopo, quando la città e la gloriosa università
riusciranno anche a imbruttirsi, nello squallore. La storia come freccia può
andare al rovescio.
leuzzi@antiit.eu
L’irrealtà dei sentimenti, lombarda
La necrofilia resa attuale,
in virtù della teorica della Scapigliatura lombarda, dell’indistinzione fra
“reale” e “immaginario”. L’amante vuole l’amata a riposare “sul marmo della mia
tavola, per rivelare al mio coltello il segreto della sua bellezza”. Chi parla è
un giovane professore di medicina, viennese, che pregusta con gli amici il
godimento che avrà di una bellezza intravista in un caffè – Vienna ci vuole per
il caffè, o all’epoca per lo sciovinismo.
Ma il
saggio di bravura del Boito junior non è questo fluttuare al caffè, viene dopo. L’anatomista diventa a sua
volta immaginario-reale, il morto amante: “La figura di quel giovane mi era
sembrata sinistra. I vetri sugli occhiali nascondevano lo sguardo, i capelli giallicci
scendevano sulle spalle; ma quel moto giovanile mi fece l’impressione del viso
di un morto (rabbrividisco!), di un morto che dica: t’amo!”.
Si trascura la Scapigliatura,
nel filone leghista della critica letteraria, da Dionisotti
al compianto Paolo Mauri. Che invece è proprio lombarda, non è imitazione, non c’è l’analogo
in altra letteratura contemporanea. Un concentrato di realtà-irrealtà. Non pratica - quella
c’è, del “lavorerio” e dei “dané” o “ghèi”: quella dei sentimenti.
Camillo Boito, Un
corpo
Iscriviti a:
Post (Atom)